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sabato 7 dicembre 2013

L'eredità di Mandela. Quel neo-capitalismo cauto (da ilSole24Ore.it)

(...) Le cose cambiarono alla fine di gennaio 1992, quando Mandela e F.W.de Klerk furono invitati al World Economic Forum di Davos, accolti come rock star dal capitalismo occidentale. «Ragazzi, dobbiamo scegliere - disse Mandela al vertice dell'Anc una volta tornato a Johannesburg -. O ci teniamo le nazionalizzazioni e non otteniamo gli investimenti. O rinunciamo al nostro atteggiamento e ci teniamo gli investimenti». Passarono altri quattro mesi. Poi l'Anc diffuse un opuscolo di 45 pagine: «Pronti a governare», era il titolo. Per la prima volta sparivano le nazionalizzazioni. L'alleanza con il Partito comunista e il Cosatu, il grande sindacato, restavano e sono ancora oggi fondamentali. Ma l'African National Congress entrava con cautela nel capitalismo. (...)
 
Da quando ha lasciato la presidenza, Madiba non ha mai usato la sua credibilità per interferire nel lavoro dei successori. Ma ora la sua morte lascia un vuoto morale in cui la gestione di Zuma risplende per mediocrità. Il personaggio più diffuso di questa stagione è il "tenderpreneur", il funzionario pubblico Anc che offre contratti e appalti solo all'imprenditore iscritto all'Anc o suo importante finanziatore. Quest'assenza di distinzione fra politica e affari, una specie di socialismo di ritorno malato, mina l'economia più delle illusioni della Nazione Arcobaleno (...)
 
con articoli di Ugo Tramballi e Stefano Biolchini - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/4hYug

venerdì 30 marzo 2012

Questa nuova fase non è una "parentesi" (lettera di Monti al Corriere)

(...)  La percezione errata è quella che porta ad attribuire essenzialmente al governo («tecnico») il merito dei rapidi cambiamenti in corso. Il forte dubbio discende da quella percezione: è il dubbio che il nuovo corso possa essere abbandonato quando, dopo le elezioni parlamentari, torneranno governi «politici».
Finché la percezione errata e il dubbio non saranno dissipati, la fase attuale verrà considerata come una interessante «parentesi», degna forse di qualche investimento finanziario a breve termine. Ma le imprese straniere, come del resto quelle italiane, saranno riluttanti a considerare l'Italia un luogo conveniente nel quale investire e creare occupazione.
Non è facile modificare le opinioni su questi due punti. Ma credo sia dovere del presidente del Consiglio cercare di farlo con ogni interlocutore. Gli argomenti che ho utilizzato a Tokyo, riportati correttamente dai corrispondenti italiani presenti, ma «letti» in Italia fuori contesto, sono stati i seguenti.
Se da qualche mese l'Italia ha imboccato risolutamente la via delle riforme, lo si deve in parte al governo, ma in larga parte al senso di responsabilità delle forze politiche che, pure caratterizzate da forti divergenze programmatiche, hanno saputo dare priorità, in una fase di emergenza, all'interesse generale del Paese.
E lo si deve anche alla grande maturità degli italiani,che hanno mostrato di comprendere che vale la pena di sopportare sacrifici rilevanti, purché distribuiti con equità, per evitare il declino dell'Italia o, peggio, una sorte simile a quella della Grecia.
E dopo le elezioni? Certo, torneranno governi «politici», come è naturale (perfino in Giappone, ho dichiarato che il sottoscritto sparirà e che il «montismo» non esiste!). Ma ritengo che ciò non debba essere visto come un rischio.
Le forze politiche sono impegnate in una profonda riflessione al loro interno e, in dialogo tra loro, lavorano a importanti riforme per rendere il sistema politico e istituzionale meno pesante e più funzionale.(...)


L'integrale della lettera di Monti sul sito del Corriere della Sera