(...) Terribili sono soprattutto le storie che arrivano dall’India. La vera terra promessa dell’utero in affitto, legalizzato dal 2002 e al centro di un business in crescita sregolata, favorita dalle tariffe concorrenziali rispetto agli altri paesi dove pure la pratica è legale (Stati Uniti, Spagna, la citata Ucraina). A raccontare in che cosa consista quel mercato che solo in India, oggi, è valutato in due miliardi di dollari, arriva lo studio di una ong con sede a Nuova Delhi, che dal 1983 si occupa di diritti delle donne: il Centre for social research (Csr), molto attivo anche contro l’aborto selettivo delle femmine e le sterilizzazioni forzate, altre feroci piaghe indiane. Nelle 168 pagine del rapporto, intitolato “Surrogate motherhood. Ethical or commercial”, troviamo i risultati di un sondaggio che ha preso in considerazione cento madri portatrici e cinquanta coppie di committenti (quasi sempre di indiani ricchi residenti in paesi occidentali dove l’utero in affitto è vietato), intervistate a Mumbai e a Nuova Delhi. E’ questa la vera novità dello studio del Crs: a parlare in prima persona sono stavolta anche quelle donne povere e poverissime che accettano di portare avanti una gravidanza su commissione per puro bisogno, a condizioni che non è esagerato definire di tipo schiavistico.
Vediamo così che i contratti stipulati tra queste donne e gli aspiranti genitori (le cliniche in questa fase non compaiono, così non tocca a loro rispondere se qualcosa andasse storto) sono normalmente firmati dopo il secondo trimestre di attesa, una volta consolidata la gravidanza (nelle fecondazioni in vitro c’è un’alta percentuale di aborti spontanei). La maggior parte delle madri surrogate non possiede copia del contratto e spesso non è nemmeno a conoscenza del suo contenuto: a contattarle, magari per strada, è stato uno dei tanti agenti che incassano una commissione dalle cliniche. Oppure ad attirarle è stata un’inserzione pubblicitaria che promette soldi alle madri portatrici. Gli stessi agenti sono, per il settantasette per cento delle donne consultate nel sondaggio, l’unica fonte di informazione su quello che le attende.
Queste e altre circostanze fanno concludere al Csr che, in India, “la libertà della madre surrogata è un’illusione”. Se il neonato mostra un’anomalia o il suo sesso non è quello specificato nel contratto, per esempio, i committenti possono ottenere che la madre surrogata abortisca, spesso con “comodi” metodi chimici somministrati nelle stesse baby factory. Queste donne, durante la gravidanza, vivono nelle cliniche o in case rifugio: ufficialmente per essere al riparo da circostanze che potrebbero metterle a rischio, in realtà per essere controllate: inzeppate di farmaci ormonali prima dell’impianto embrionale, soggette a qualsiasi somministrazione da parte dei medici, dopo.(...)
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