mercoledì 28 agosto 2013

L’attacco alla Siria sarà uno strike di punizione oppure “Kill Assad”? (ilFoglio.it)

(...) Ieri però il Wall Street Journal già spiegava in un editoriale ambizioso che l’obiettivo dell’intervento dovrebbe essere il regime change a Damasco e che: “The problem is Assad”. “Lanciare un po’ di missili cruise da distanza di sicurezza sarebbe la risposta peggiore”, scrive il Wsj, gettando le fondamenta teoriche di ogni possibile piano per uccidere il presidente siriano. Questa opzione “Kill Assad” richiede come detto un accordo politico sottobanco con l’establishment governativo siriano (che in passato qualche frattura l’ha mostrata) e anche un secondo accordo con l’opposizione non jihadista, perché accetti una riconciliazione. Vasto programma, come si vede. Sembra un’acrobazia diplomatica a bassa probabilità di riuscita.(...) 
Chris Harmer è l’autore di uno studio ampiamente circolato (ne ha parlato anche il Foglio, venerdì scorso in prima pagina) sulla fattibilità di uno strike con soli missili contro la Siria. Harmer è un analista navale specializzato nel targeting, nell’acquisizione di bersagli, e sostiene che è possibile paralizzare l’aviazione siriana con un numero limitato di strike, senza rischi e dal costo limitato. Però mette in guardia in un secondo studio pubblicato dal sito Understandingwar: se prima non c’è una definizione strategica di cosa si vuole ottenere da una guerra, allora intervenire è inutile, forse è peggio. “Le azioni tattiche in assenza di obiettivi strategici di solito sono senza senso e spesso controproducenti”, scrive. “Concetti come gli ‘strike punitivi’ per fare deterrenza contro l’uso di armi chimiche non si possono tradurre in una scelta di bersagli. Intraprendere un’azione militare per provare che l’America non starà a guardare non è una strategia. Non è nemmeno un buon criterio per la pianificazione di un’operazione, perché non offre ai militari un traguardo che possono raggiungere” (...)

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