Inclusione prima, democrazia poi
In un contesto di democrazia non consolidata, è sul concetto di inclusione che si devono concentrare quanti cercano un’uscita dalla crisi.
Anche se tutte le mediazioni tentate non hanno portato risultati, è essenziale che le parti, a partire dal nuovo governo, si sforzino sinceramente per negoziare una rapida cessazione della violenza che metta da parte i progetti propri di ciascuna fazione.
Anche se le vicende degli ultimi giorni non sembrano andare in questa direzione, l’esercito dovrebbe facilitare una transizione inclusiva che coinvolga tutte le parti in causa, sperando che le dinamiche dell’Egitto portino a un evoluzione simile a quella della Turchia di fine anni ‘90.
Per conservare il sostegno della maggioranza della popolazione, i militari devono evitare atti di violenza come quelli degli ultimi giorni che iniziano a portare defezioni all’interno del fronte dei suoi sostenitori.
A Mohammed El-Baradei, da luglio vice premier del nuovo governo, è stato affidato il compito di spiegare al mondo intero che quello in Egitto non è stato un golpe, ma semplici dimissioni di un premier.
Ancora una volta, dopo aver eliminato il nemico comune, il fronte che ha portato al rovesciamento del governo Mursi rischia quindi di spaccarsi. In questo fronte confluiscono liberali, giovani, copti ed ex mubarakiani con idee diverse circa il ruolo che spetta ai militari.
Difficilmente il sostegno di cui gode ora l’esercito sarà illimitato. A mostrarlo è anche la ricomposizione del vecchio fronte di opposizione al regime militare, nel quale inizia a confluire l’anima giovanile del Tamarrod, la campagna che ha organizzato la prima manifestazione per la deposizione di Mursi. -
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