«Una potente esplosione, da un camion bomba condotto da un terrorista kamikaze, si è verificata martedì presso il quartier generale dell'Onu a Bagdad, nei locali del Canal Hotel. Secondo fonti Onu vi sono almeno 20 morti e un centinaio di feriti. Tra le vittime dell'attentato c'è anche Sergio Vieira de Mello, rappresentante speciale per l'Iraq del segretario generale dell'Onu Kofi Annan. Tra i morti vi sono anche operatori stranieri». Così, il pomeriggio del 19 agosto 2003, Corriere.it dava - in base alle prime, confuse ricostruzioni - la notizia della più grande tragedia della storia delle Nazioni Unite. I morti furono 23, e tra le vittime «straniere» c'era un ragazzo di 33 anni nato e cresciuto a Roma. Il nome esotico, Jean-Sélim Kanaan, riassumeva una ricchezza di identità dai tratti romanzeschi come la vita breve che ne è scaturita: padre egiziano cristiano copto, funzionario Onu; madre francese di fede protestante; infanzia tra il francese colto del liceo Chateaubriand e il romanesco puro delle strade della Capitale. Un pezzo di adolescenza a Pechino al seguito del padre, che in Cina muore, come si dice in questi casi, prematuramente, freddo avverbio che non rende il vuoto che lascia in un ragazzo la perdita della figura che gli segna la vita.
UNA STORIA SIMBOLO - Perché, a 10 anni dalla carneficina irachena, è giusto ricordare la storia di Jean-Sélim? Perché poche storie come la sua simboleggiano le guerre dell'ultimo ventennio e le contraddizioni dell'«ingerenza umanitaria», formula vaga con cui il mondo civile modula di volta in volta la sua capacità di vincere l'indifferenza. Ecco, «La mia guerra all'indifferenza» era il titolo che Jean-Sélim Kanaan aveva scelto un anno prima di morire per il libro in cui aveva raccontato la sua esperienza di giovanissimo volontario nelle ong prima e di brillante funzionario dopo. Un libro magnifico nella sua autenticità che ora il Saggiatore ripropone con una doppia prefazione: quella di Adriano Sofri, che dieci anni fa ebbe il merito di far sapere all'Italia chi fosse Jean-Sélim, e quella di Laura Dolci-Kanaan, la moglie italiana incontrata in Bosnia. Pagine di dolore asciutto, scritte per il compagno e il figlio nato poche settimane prima del camion bomba, che insieme a quelle del protagonista andrebbero lette nelle scuole - e per fortuna capita già spesso.
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