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martedì 21 gennaio 2014

Cambiare l'Europa - Processo liberista all’euro e all’Italia che non sa crescere (da ilFoglio.it)

Un articolo molto interessante su cosa si può cambiare in Europa. Argomento che ovviamente da qui alle prossime elezioni seguirò con maggiore attenzione. Perché l'Europa diventi sempre di più la nostra nuova patria.
FMM

(...) L’altro aspetto che secondo me è importante ricordare è che noi siamo entrati nell’euro come meccanismo di credibilità della nostra politica monetaria e della nostra politica fiscale. Se avete fatto gli studi classici, ricorderete l’esempio di Ulisse che si fa legare all’albero maestro della nave per non farsi attrarre dalle sirene, è un esempio bellissimo di quello che si chiama una politica di legarsi le mani in anticipo per un fine strategico. La nostra entrata nell’euro ha avuto esattamente questa funzione.

Questa è stata pensata contro un rischio di inflazione e di eccesso di spesa. Oggi però ci troviamo in una situazione molto diversa, dove i rischi maggiori sono i rischi di fallimento dello stato e di deflazione. Il grosso rischio è dire: noi ci siamo legati le mani per non fare certe strategie, però se Ulisse fosse andato contro gli scogli per colpa della strategia di legarsi all’albero, quella si sarebbe rivelata la strategia peggiore visto che sicuramente, finendo contro gli scogli, non si sarebbe potuto liberare. In qualche senso noi siamo oggi in questa situazione: da un lato abbiamo ottenuto grossi vantaggi che abbiamo sprecato, e dall’altro lato non abbiamo una flessibilità di cui abbiamo bisogno – di cui l’Europa avrebbe bisogno – in questo momento. Allora quali sono le cose che si possono fare in un semestre europeo a presidenza italiana per cercare di cambiare questa situazione? La mia visione è che senza un cambiamento radicale della politica europea, questa situazione non sia nel lungo periodo sostenibile. Dopo di che questo non vuol dire che non possa essere sostenuta per molti anni, ma se sostenuta per molti anni ha dei costi che vi illustrerò a breve. Allora, cosa si può fare?

Secondo me. ci sono tre canali importanti su cui operare. Il primo è molto semplice, è stato iniziato, ma non è stato realizzato in maniera corretta: ovvero come permettere una Unione bancaria che tratti tutti nello stesso modo. Qual è il problema? Lo sapete ormai tutti, c’è un circolo vizioso tra solvibilità dello stato e solvibilità delle banche, per cui in un mondo in cui le banche hanno implicitamente un supporto da parte dello stato, gli stati ricchi hanno le banche solide, gli stati poveri hanno delle banche non solide. E delle banche non solide creano problemi economici che rendono gli stati ancora meno solidi; è un circolo vizioso da cui non è facile uscire. Quindi l’idea di dire “facciamo un’assicurazione sui depositi a livello europeo”, come è stato iniziato con l’Unione bancaria, e “facciamo una vigilanza bancaria a livello europeo”, secondo me è corretta. Come è corretta la posizione tedesca di dire: “Noi non vogliamo semplicemente fare chi paga per gli errori altrui”. Il modo più corretto per risolvere questo problema è di recidere radicalmente questa connessione tra solvibilità dello stato e solvibilità delle banche, e questa garanzia implicita dello stato nei confronti delle banche. Con un collega di Harvard, ho lavorato a un meccanismo di pronto intervento sulle banche per evitare che si arrivi alla situazione in cui gli stati devono intervenire. Se noi avessimo una situazione di “pronto intervento” uguale per tutti gli stati europei, avremmo due vantaggi: il primo, interromperemmo questa spirale tra banche e stati; secondo, metteremmo tutte le banche europee sullo stesso piano. Invece il meccanismo che ha prevalso nell’Unione europea è un meccanismo in cui inizialmente – è vero – sono i creditori delle banche a pagare il costo, però alla fine c’è anche un fondo comune e in parte però rimane la possibilità per gli stati di intervenire. Perciò oggi, implicitamente, le banche tedesche hanno una maggiore solvibilità delle banche italiane.

Ricordatevi che i tedeschi, che sono contro tutti i “bailout” (o salvataggi, ndr) degli altri paesi, hanno fatto un bailout enorme delle loro banche, specie di quelle locali, all’indomani della crisi. Queste banche erano piene di titoli tossici americani e lo stato tedesco ha trasferito un grosso ammontare di risorse verso tali istituti di credito. Quindi la prima cosa da combattere è questo sistema di due pesi e due misure. (...)

Il secondo punto importante è un meccanismo di redistribuzione fiscale. Durante la crisi, in Italia c’è stata una forte pressione verso gli Eurobond. Questa mi pare una strategia sbagliata. Noi non possiamo, a livello europeo, andare a dire “voi dovete pagare i nostri crediti”, perché è una strategia che non funziona. Siccome nessun paese ha un grosso interesse a pagare i crediti altrui, noi possiamo chiedere quello che vogliamo ma non andremo da nessuna parte. Invece possiamo fare una differenza – e il semestre europeo a presidenza italiana per questo è un’enorme opportunità – dicendo: quello che noi vogliamo non è un meccanismo permanente di redistribuzione dal nord al sud, considerato che nessuno al nord vorrà questo meccanismo. Tuttavia un’area comune con una moneta comune deve avere dei meccanismi di stabilizzazione automatica con fondi comuni, quindi meccanismi che assicurino un certo “smoothing” del ciclo economico tra le varie aree europee.

Qual è il meccanismo automatico di stabilizzazione migliore che noi conosciamo? Sono i sussidi di disoccupazione; quindi la vera battaglia che noi come italiani dobbiamo fare durante il semestre europeo, è di dire: “Noi vogliamo un meccanismo di assicurazione della disoccupazione a livello europeo pagato con dei fondi europei”. Il bello di questo meccanismo è che non è un meccanismo permanente di trasferimento dal nord al sud. (...). Tra l’altro il grosso vantaggio di una iniziativa di questo tipo è anche di tipo politico, se posso permettermi di dirlo visto che io non sono un esperto in materia: nel senso che oggi l’Europa soffre una crisi di consenso generalizzato; nella misura in cui i disoccupati vedessero arrivare un assegno con il simbolo dell’Europa sopra, essi avrebbero una passione per l’Europa sicuramente molto maggiore di quella che è presente oggi. E di fronte agli estremismi che vedono l’Europa come una creazione di un’élite molto limitata, avere invece un meccanismo come quello di assicurazione contro la disoccupazione, riduce questo rischio.

Il terzo punto che è spesso ignorato ed è molto importante, riguarda chi e come disegna la regolamentazione. Naturalmente ogni paesi fa i suoi interessi; però essendo la Germania, e in parte la Francia, molto influenti, sia per dimensione sia anche per qualità del proprio personale burocratico, noi abbiamo oggi una situazione in cui la regolamentazione a livello europeo è una regolamentazione franco-tedesca. (...) Quindi la terza cosa che andrebbe fatta in questo semestre è un ripensamento degli effetti competitivi della regolamentazione, soprattutto sulle imprese del sud Europa.(...)

giovedì 10 gennaio 2013

Sul Reddito Minimo Garantito (Van Parijs - Vanderborght, Il reddito minimo universale, Università Bocconi editore)


"Nell’Utopia di Thomas More (1516) il viaggiatore Raphaël argomenta con l’Arcivescovo di Canterbury che un reddito minimo contribuirebbe alla lotta alla criminalità più della pena capitale. Oggi Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght (Il reddito minimo universale, Università Bocconi editore, 190 pagine, 14 euro) sostengono la superiorità di un reddito di cittadinanza individuale, universale e incondizionato, erogato dalla comunità politica a tutti i suoi membri, rispetto a ogni altra forma di welfare, basando la loro affermazione su argomenti etico-filosofici, ma sostanziandola con una puntuale analisi economica.
In buona sostanza, solo con la sicurezza di un reddito minimo universale i cittadini, secondo i due autori, potrebbero dirsi effettivamente liberi di compiere ogni altra scelta di vita, senza lo spettro della necessità di sussistenza.
Il dibattito sul reddito minimo universale, pur trovando degli antecedenti fin dal XVI secolo, diventa di vera attualità con la rivoluzione industriale e con i connessi bisogni di protezione sociale. Van Parijs, che insegna etica economica e sociale a Lovanio e filosofia politica ad Harvard, è uno dei protagonisti del dibattito, soprattutto europeo, sul reddito di cittadinanza degli ultimi venti anni. “Per alcuni”, scrivono gli autori nell’introduzione, “il reddito minimo universale costituisce un rimedio decisivo a numerose piaghe sociali, a cominciare dalla povertà e dalla disoccupazione. Per altri, è soltanto un’assurda chimera, economicamente impraticabile ed eticamente ripugnante”. Van Parijs e Vanderborght non fingono di essere neutrali, ma cercano di fornire al lettore le basi intellettuali per affrontare con cognizione di causa il dibattito.
Le resistenze all’introduzione di un automatismo che distribuisca una uguale somma di denaro a ogni cittadino, miliardario o nullatenente, impiegato, disoccupato o estraneo per scelta al mercato del lavoro sono “concettuali e morali prima ancora che di bilancio”, spiega nella prefazione Chiara Saraceno, ed è proprio a queste obiezioni che i due autori rispondono, in dettaglio, nel libro.
In queste pagine aleggia una certa fiducia nel fatto che il reddito minimo universale si sia affrancato, nell’ultimo quarto di secolo, dalla zona d’ombra dell’utopia, per avvicinarsi ad essere una reale possibilità. L’unico luogo al mondo in cui è realtà, anche se in piccola scala, è l’Alaska. Dal 1981 parte degli introiti derivanti dallo sfruttamento del sottosuolo sono divisi in parti uguali tra i cittadini, anche se la cifra risultante non è particolarmente significativa. (...)"


Le due versioni del reddito minimo garantito europeo (laStampa)

Il presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, lo invoca. Persino Mario Monti nella sua famosa agenda lo richiama. Il reddito minimo garantito è sempre stato un cavallo di battaglia della sinistra sociale, ma ora anche autorevoli liberisti ne sembrano affascinati. In Europa solo Grecia e Italia ne sono prive. In altri paesi, Regno Unito, Francia, Germania, paesi scandinavi si sono da tempo attrezzati. In sintesi, le formule sono due, l'obiettivo uno solo: evitare che con la diffusione della disoccupazione ampi strati di popolazione cadano nella condizione di povertà. Le due versioni di reddito minimo garantito sono: una legata alla condizione lavorativa, l'altra legata alla lotta alla esclusione, indipendentemente dalla condizione lavorativa. (...)




lunedì 9 luglio 2012

L'Europa Dia Soldi ai Disoccupati (Primo Passo di un Nuovo Welfare)


La disoccupazione rischia di distruggere il collante che tiene unita una nazione, e ancor più facilmente un continente. Per questo andrebbero pensate misure straordinarie che facilitino l'impiegabilità di chi rimane senza lavoro, o che comunque - almeno - aiutino i singoli a non sentirsi "senza patria" e "senza speranza". Luigi Zingales esplicita oggi un tassello di questa strategia, parlando di un sussidio di disoccupazione che venga dato a livello europeo. Eventualmente, ma è una aggiunta mia in linea con quanto scrivevo in passato, con uno "scambio" che dia occasione alle persone di fare un servizio civile per questa nostra nuova patria europea. Un primo passo per un welfare europeo che sia base anche per una nuova spinta alla crescita: "fermare" la paura della povertà e della solitudine è parte integrante del progetto europeo; da qui deve passare la ricerca di una nuova crescita, che non sia solo economica, ma anche civile e politica.

Francesco Maria Mariotti

(...) Per evitare un avvitamento dell'economia sul modello greco, un'unione monetaria dovrebbe avere un programma automatico di trasferimenti, non solo per le banche, ma anche per i disoccupati. Un sussidio alla disoccupazione, omogeneo a livello europeo, finanziato con fondi europei, e amministrato a livello europeo, avrebbe notevoli vantaggi. Ridurrebbe i costi di aggiustamento delle economie in difficoltà senza per questo eliminare la pressione finanziaria per le riforme, perché i soldi verrebbero dati direttamente alla gente e non ai governi. Come per le banche, trasferendo a Bruxelles il potere di supervisione, ridurrebbe gli effetti devastanti della corruzione politica prevalente in sud Europa. Ma, ancora più importante, aiuterebbe a cambiare l'immagine negativa di Europa che si sta diffondendo, attenta agli interessi delle banche, ma non a quelli dei cittadini. Poco servirebbe salvare l'euro, distruggendo il consenso. Senza il quale l'Europa muore.