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domenica 5 maggio 2019

Engy Riead: «Chiamarci stranieri a questo punto è sbagliato. Io sono qui da 16 anni. Voglio la cittadinanza. Poter votare. E lavorare in un ospedale pubblico» (Nuove Radici)

Engy Riead, 26 anni, egiziana, in Italia da 16, medico, membro di presidenza di Amsi, l’associazione dei camici bianchi in Italia, lavora in una struttura privata perché nel pubblico, non avendo la cittadinanza, non le è consentito. Nella sua condizione ci sono 19 mila medici che diventano 80 mila se si considerano i parasanitari: «Sbagliato considerarci stranieri, medici stranieri. Sono in Italia da così tanto tempo che ci vorrebbe un’altra parola per definirci».

Dottoressa Riead, come è finita in Italia la sua famiglia?

«Mio padre ci veniva già per lavoro dalla fine degli anni Ottanta. Già allora lavorava come cuoco. Cosa che fa anche adesso, cuoco della cucina romana più tradizionale. Alla fine ha deciso di riunire a Roma tutta la famiglia. Io sono arrivata da piccola, ho fatto in tempo ad iscrivermi alla terza elementare. A luglio dell’anno scorso mi sono laureata in Medicina».

È cittadina italiana?

«Ho un permesso di soggiorno. Alla mia famiglia non era mai venuto in mente di richiedere la cittadinanza. Alla fine l’hanno ottenuta. Con loro anche mia sorella in quanto minorenne. Io e mio fratello siccome abbiamo più di 18 anni la stiamo ancora aspettando. Io la aspetto dal 2013. In teoria una risposta avrei dovuto averla in quattro anni. Adesso dipende dal Ministero dell’Interno».

Lavora ma per questo non può lavorare nelle strutture pubbliche…

«Esatto. Mi sono laureata a luglio dell’anno scorso nei canonici sei anni. Medicina è una facoltà che richiede grande impegno. All’inizio nel mio corso eravamo in 200 ma ci siamo laureati in 20. Per noi stranieri è importante dimostrare quello che valiamo anche nello studio».

Sono medico in una struttura privata e sto aspettando di fare il test per la specializzazione in Medicina legale. Ma quello di poter lavorare in un ospedale pubblico, in un Policlinico universitario, rimane un grande sogno per tanti medici come me. Dopo tutti questi anni di studio, alla fine vorrei solo fare il lavoro che mi piace nel Paese che mi piace.(...)"

mercoledì 10 aprile 2019

Segnalazione: Siamo razzisti? O forse siamo stanchi di essere soli? (Nuove Radici)

Segnalo che il sito Nuove Radici ha pubblicato un mio intervento, in cui tento di comprendere alcune delle dinamiche che segnano il difficile rapporto fra italiani e immigrazione.
Spero possa servire a capire, prima di giudicare.

In ogni caso, approfittatene per approfondire la conoscenza di Nuove Radici, un bell'esperimento portato avanti da Cristina Giudici e altri, e che merita di essere seguito

Buon tutto

Francesco Maria Mariotti

"Approfitto della presenza di Nuove Radici.World e degli stimoli che mi sono pervenuti dalla lettura dei vostri interventi per proporre un ragionamento sul perché — di questi tempi — in tanti, temo, abbiamo rischiato di diventare razzisti. Forse razzisti è parola grossa, ma a volte ci si sente “condannati” così, quando si esprimono dubbi sull'immigrazione e sulle politiche di accoglienza; e così ci si sente sempre più soli. Non mi pare di essere affetto da “etnocentrismo” o cose simili, in realtà; ma da “solitudine” sì; e credo di non essere solo, come accennavo: non siamo razzisti ma cittadini che si sentono poco rispettati nella loro intelligenza, da un progressismo (chiamiamolo così, con qualche timore per la semplificazione) che ha fretta (comprensibile, sotto alcuni aspetti, visti i ritardi italiani), ma molto poco “attento” a dinamiche collettive tutto sommato elementari. (...)
È anche per questo che a mio avviso è stato “disastroso”, dal punto di vista politico (e direi etico, se non fosse parola troppo impegnativa), portare avanti la battaglia per una legge — per quanto giusta come potrebbe essere quella sulla cittadinanza — presentandola come un’istanza suprema, spartiacque di civiltà.
Al di là della questione nel merito, la cui complessità non può essere risolta sulla base di slogan, potrebbe anche essere utile tentare di capire alcune reazioni che si provocano nel tessuto sociale: in un momento di grave crisi economica, l’estensione della cittadinanza forse viene percepita anche come ulteriore concorrenza dell’immigrato rispetto al cittadino già italiano.
Si dirà: “ma facciamo pochi figli, gli immigrati ci pagano le pensioni”, e via così dicendo; il che è vero, ma non dovrebbe stupire che sottolineando questa “dipendenza” aumentino ansia e timori, nel confermare la sensazione che l’Italia rischia di non farcela “da sola”. (...)

Andando da richiamo morale a richiamo morale: l’emergenza umanitaria è stata in questi mesi messa spesso al centro dell’attenzione per giustificare l’accoglienza; naturalmente questo è sacrosanto, nel momento in cui donne e uomini fuggono da morte o sofferenze pressoché certe. Ma anche qui, temo che si sia sottovalutato l’impatto duplice e ambivalente di un tale richiamo. (...) 
Un incendio fa paura. Di per sé; e mentre chiamiamo i pompieri comunque guardiamo attentamente cosa succede, e se le fiamme da quel palazzo non rischino di venire verso noi. E se per caso sorge il sospetto che fra quelle persone ci sia proprio uno di quelli che ha usato con leggerezza il gas o i fiammiferi nella casa in fiamme… beh, forse saremmo molto guardinghi nell'accettare la vicinanza dei fuggitivi. Perché sembra così inaudito ad alcuni che i sentimenti si mischino e che gli esseri umani abbiano difficoltà a essere totalmente solidali con chi scappa da una tragedia? Cosa c’è di difficile nel capire che — in una situazione di emergenza — mentre si dà un bicchiere d’acqua, è legittimo e normale (e sano, per un “animale” sociale che si vuole autoconservare!) che “si tenga d’occhio” chi arriva? Che si abbia paura che l’emergenza si scarichi anche su chi aiuta? È una “doppiezza”, un’ambiguità, inevitabile. È legato a questa difficoltà a capire questa mescolanza di cose, mi pare, l’errore più tragico dello schieramento progressista, (...)
c’è chi preferisce inorgoglirsi delle buone azioni, dei richiami contro l’indifferenza, dei paragoni con la seconda guerra mondiale e con la battaglia contro il nazismo. Forse c’è qualcosa di vero, ma si sono persi molti compagni di strada, su questa “via alla santità”. Di fatto aprendo le porte alla situazione attuale, alle “inutili cattiverie” dei porti chiusi, alle decisioni affrettate e dannose sulla protezione umanitaria. (...)"

giovedì 31 ottobre 2013

Non E' Quello Il Problema (legge elettorale e preferenze)


No alle preferenze. Non è quello il problema della legge elettorale. 


Non mi interessa esprimere una preferenza, se la campagna elettorale arriva a costare cifre impensabili e se i partiti non sono in grado di fare un lavoro collettivo e plurale che garantisca stabilità, governo e al tempo stesso capacità di ascolto dei cittadini. 

Perché la preferenza - con un peso eccessivo delle spese elettorali e con partiti deboli (che non è lo stesso di leggeri, forse oggi abbiamo partiti pesanti e deboli...) - è totalmente inutile, è una parvenza di democrazia.

Non è la preferenza che fa il buon rappresentante, ma un insieme strutturato di pratiche e regole che fanno sì che il lavoro delle Camere sia ben compreso dai cittadini, e controllato alle scadenze naturali (non in ogni secondo con il ricatto di una tv...). 

La forza della politica è la solidità delle istituzioni, e non dipende dal voto dei cittadini. Costituzionalismo e liberalismo sono precedenti alla - e indispensabili premesse della - democrazia.

FMM

domenica 25 agosto 2013

Geografia, Piazze, Identità

Sul “domenicale” de “Il sole 24 ore” dell’11 agosto, il geografo Franco Farinelli – che avremo il piacere di ascoltare il 30 settembre a Milano nella cornice del Festival di Cultura ebraica “Jewish and the City”, a proposito della storia degli ebrei come geografia – ha ricordato che il mondo non è un insieme di luoghi, di parti l’un l’altra irriducibili perché ciascuna dotata di valori propri e qualità specifiche, ma è uno spazio che occorre interpretare, avendo come criterio di lettura la piazza, ovvero un luogo pubblico dove tutti sono parti e nessuno è escluso. Il che richiede che si abbia, anche, una diversa accezione di ciò che di solito chiamiamo “generale” o “particolare”, “collettivo” o “individuale”, “specifico” o “condiviso”. In altre parole che si dia un contenuto, meno esclusivo e più articolato (o almeno maggiormente problematico) alla parola identità.

giovedì 8 novembre 2012

Il Ruolo Del Cittadino Non Finisce Con Il Voto (il discorso di Obama - da ilFoglio.it)

(...) Stanotte avete votato per l’azione, non – come al solito – per la politica. Ci avete eletto perché ci concentrassimo sul vostro lavoro, non sul nostro. E nelle settimane e nei mesi a venire mi aspetto di aprire un dialogo e lavorare con i leader di entrambi i partiti per discutere delle sfide che possiamo vincere solo lavorando assieme. Ridurre il deficit. Riformare il codice tributario. Emendare il sistema dell’immigrazione. Renderci liberi dal petrolio straniero. Abbiamo un sacco di lavoro da fare.

Ma questo non vuol dire che il vostro lavoro sia concluso. Il ruolo del cittadino nella nostra democrazia non finisce con il voto. L’America non si è mai affidata a quello che può essere fatto per noi. L’America si affida a quello che possiamo fare per noi, assieme, attraverso il processo a volte duro e frustrante, ma necessario, dell’autogoverno. Questo è il nostro principio fondatore. La nazione ha più benessere di qualsiasi altra, ma non è questo ciò che ci rende ricchi. Abbiamo l’esercito più potente della storia, ma non è questo ciò che ci rende forti. Le nostre università, la nostra cultura, sono invidiate da tutto il mondo, ma non è questo che continua a far arrivare il mondo presso le nostre coste.


Quello che rende eccezionale l’America sono i legami che tengono unita la nazione più variegata del mondo. La convinzione che il nostro destino sia comune; che questa nazione funzioni soltanto quando accettiamo che esistono certi obblighi l’uno verso l’altro e verso le generazioni future. La libertà per la quale così tanti americani hanno lottato e per la quale sono morti si accompagna a responsabilità così come ai diritti. E fra questi, l’amore, la carità, il dovere, il patriottismo. Ecco cosa rende grande l’America.(...)

lunedì 9 luglio 2012

L'Europa Dia Soldi ai Disoccupati (Primo Passo di un Nuovo Welfare)


La disoccupazione rischia di distruggere il collante che tiene unita una nazione, e ancor più facilmente un continente. Per questo andrebbero pensate misure straordinarie che facilitino l'impiegabilità di chi rimane senza lavoro, o che comunque - almeno - aiutino i singoli a non sentirsi "senza patria" e "senza speranza". Luigi Zingales esplicita oggi un tassello di questa strategia, parlando di un sussidio di disoccupazione che venga dato a livello europeo. Eventualmente, ma è una aggiunta mia in linea con quanto scrivevo in passato, con uno "scambio" che dia occasione alle persone di fare un servizio civile per questa nostra nuova patria europea. Un primo passo per un welfare europeo che sia base anche per una nuova spinta alla crescita: "fermare" la paura della povertà e della solitudine è parte integrante del progetto europeo; da qui deve passare la ricerca di una nuova crescita, che non sia solo economica, ma anche civile e politica.

Francesco Maria Mariotti

(...) Per evitare un avvitamento dell'economia sul modello greco, un'unione monetaria dovrebbe avere un programma automatico di trasferimenti, non solo per le banche, ma anche per i disoccupati. Un sussidio alla disoccupazione, omogeneo a livello europeo, finanziato con fondi europei, e amministrato a livello europeo, avrebbe notevoli vantaggi. Ridurrebbe i costi di aggiustamento delle economie in difficoltà senza per questo eliminare la pressione finanziaria per le riforme, perché i soldi verrebbero dati direttamente alla gente e non ai governi. Come per le banche, trasferendo a Bruxelles il potere di supervisione, ridurrebbe gli effetti devastanti della corruzione politica prevalente in sud Europa. Ma, ancora più importante, aiuterebbe a cambiare l'immagine negativa di Europa che si sta diffondendo, attenta agli interessi delle banche, ma non a quelli dei cittadini. Poco servirebbe salvare l'euro, distruggendo il consenso. Senza il quale l'Europa muore.

domenica 29 gennaio 2012

La Cittadinanza Non Basta (Giovanna Zincone sulla Stampa)

Già in novembre - a partire dalle parole del Capo dello Stato - ho scritto sull'idea di dare la cittadinanza ai figli degli immigrati, esprimendo alcune idee sul fatto che questa giusta proposta andava contemperata alla situazione attuale del paese, costruendo su questa idea un nuovo patto sociale. 
La cittadinanza oggi è un patrimonio da condividere lavorando su un progetto comune
Segnalo in questo senso l'articolo - problematico, ma molto lucido e interessante - di Giovanna Zincone: su questo tema è sconsigliabile muoversi in un'ottica esclusivamente valoriale, ma è necessario valutare i molti fattori che incidono sui processi di integrazione.

Francesco Maria Mariotti

"(...) Ma se non convincono le motivazioni di chi, in materia di cittadinanza, non vuol concedere nulla, suscitano dubbi anche quelle di chi vuol dare tutto e subito. Quest'ultima è la posizione dei promotori del referendum di iniziativa popolare: la loro legge attribuirebbe la cittadinanza ai figli di immigrati che hanno un soggiorno regolare anche solo da un anno. Mi sembra poco per stabilire se quella famiglia con il suo bambino vorrà davvero vivere nel nostro Paese, né mi sembra in grado di far quagliare intorno a sé una maggioranza parlamentare. C'è spazio però per soluzioni bipartisan intermedie, già emerse, che collegano la concessione della cittadinanza a un ragionevole tempo di soggiorno regolare dei genitori o del bambino stesso.


Ho sostenuto prima che facilitare l'accesso alla cittadinanza può aiutare a integrare, pur se non è l'unica determinante. Sono molti i fattori che incidono sui processi di integrazione: l'istruzione, l'apertura del mercato del lavoro, la congiuntura economica. Non sappiamo quale sia il peso specifico della cittadinanza in questo processo, perciò è difficile elaborare in questo campo quella linea di azione che Weber predilige e definisce «razionale allo scopo», cioè orientata a valutare i mezzi e la loro capacità di ottenere risultati. Ma è anche impossibile in questa materia evitare di agire con un orientamento ai valori, un comportamento pubblico in cui Weber, come Sartori, vede a ragione rischi di derive ideologiche.



A mio avviso, però, in certi ambiti la coerenza ai valori è un ingrediente non solo inevitabile, ma salutare, purché la si coniughi con la razionalità strumentale, la ricerca di mezzi adeguati. Dagli orientamenti rispetto alla riforma della cittadinanza in Italia traspaiono valori di fondo, atteggiamenti emotivi distanti: una maggiore simpatia o antipatia per gli immigrati, una maggiore fiducia o sfiducia rispetto a sistemi politici e sociali aperti.



Come suggerisce Weber esplicito i miei valori: confesso di appartenere al secondo gruppo. Ma non dimentichiamo la buona, vecchia, prudente razionalità strumentale. Simpatizzare per gli immigrati, auspicare una società aperta non basta, se non si individuano soluzioni capaci sia di ottenere i consensi politici necessari nell'immediato, sia di funzionare bene per il futuro. Non basta essere puri come colombe se non si è anche astuti come serpenti."


martedì 22 novembre 2011

Educazione Civica e Servizio Civile - Per Una Nuova Cittadinanza


La riflessione di Napolitano ci pone - come sempre, negli ultimi tempi - di fronte alle emergenze di questo periodo: quella su cui ci ha richiamato oggi - l'immigrazione e i diritti di cittadinanza dei nati in Italia da non italiani - è lo stimolo per definire anche in termini non improvvisati cosa vogliamo come futuro e ambizione del nostro Paese.
Per questo però il discorso sul diritto di essere italiano per chi nasce in Italia è punto necessario ma non sufficiente per definire in prospettiva la nostra(le nostre) identità comunitaria(e), come Italia e come Europa.
Solo per dare i titoli di un discorso che andrebbe ampliato: educazione civica e servizio civile (obbligatorio? forse, se necessario...).
Non sto parlando qui- in realtà- dei soli immigrati.
Oggi, anche per combattere al meglio la battaglia economica di questa crisi ("la necessità di forze nuove" è uno dei motivi che Napolitano propone come giustificazione dello ius soli) dobbiamo trovare il modo di ridefinire il nostro collante nazionale - e di qui la necessità di riprendere una programma leggero ma innovativo di educazione civica; ma soprattutto, anche di fronte ai dati che ci dicono di un numero impressionante di giovani che sono completamente inattivi (non in  formazione, senza lavoro, e non in ricerca di lavoro) è forse inevitabile - anche se dal punto di vista liberale rappresenta un grave azzardo - che la mano pubblica rientri in campo per stimolare  uno sforzo collettivo di azione e riqualificazione dei cittadini.
So che così si rischia - e io lo sento come un gravissimo rischio - di "mettere in divisa" (di Protezione Civile, ma pur sempre divisa) di un gran numero di persone, con tutte le tentazioni che ne possono derivare. Ma l'alternativa, dato che la ripresa economica si farà aspettare a lungo, è di avere un numero consistente di cittadini fermi, bloccati (non per colpa, né per demerito) nel definire un proprio orizzonte, e dunque sempre più facilmente bersaglio di solitudine, demagogia, populismo.
Dagli ospedali ai territori da rimettere in sesto (Liguria docet), dalle nuove povertà e solitudini alla sicurezza contro la microcriminalità: i cittadini italiani -  e quelli europei, pensando a un programma continentale di occupazione dei cittadini UE, con scambi ad hoc - possono esser chiamati a dare il loro apporto al bene della comunità, nel frattempo imparando (o re-imparando) un lavoro.
Sto parlando dei nati qui (indipendentemente dalla nazionalità dei loro genitori), ma non solo.
Sto parlando dei giovani, ma non solo.
Perché la cittadinanza non è un diritto definito una volta per tutte, ma è una costruzione, a maggior ragione la cittadinanza europea.
E' un "artificio", quindi, e come tale è sovente da rinsaldare e ridefinire.
Francesco Maria Mariotti