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mercoledì 10 aprile 2019

Segnalazione: Siamo razzisti? O forse siamo stanchi di essere soli? (Nuove Radici)

Segnalo che il sito Nuove Radici ha pubblicato un mio intervento, in cui tento di comprendere alcune delle dinamiche che segnano il difficile rapporto fra italiani e immigrazione.
Spero possa servire a capire, prima di giudicare.

In ogni caso, approfittatene per approfondire la conoscenza di Nuove Radici, un bell'esperimento portato avanti da Cristina Giudici e altri, e che merita di essere seguito

Buon tutto

Francesco Maria Mariotti

"Approfitto della presenza di Nuove Radici.World e degli stimoli che mi sono pervenuti dalla lettura dei vostri interventi per proporre un ragionamento sul perché — di questi tempi — in tanti, temo, abbiamo rischiato di diventare razzisti. Forse razzisti è parola grossa, ma a volte ci si sente “condannati” così, quando si esprimono dubbi sull'immigrazione e sulle politiche di accoglienza; e così ci si sente sempre più soli. Non mi pare di essere affetto da “etnocentrismo” o cose simili, in realtà; ma da “solitudine” sì; e credo di non essere solo, come accennavo: non siamo razzisti ma cittadini che si sentono poco rispettati nella loro intelligenza, da un progressismo (chiamiamolo così, con qualche timore per la semplificazione) che ha fretta (comprensibile, sotto alcuni aspetti, visti i ritardi italiani), ma molto poco “attento” a dinamiche collettive tutto sommato elementari. (...)
È anche per questo che a mio avviso è stato “disastroso”, dal punto di vista politico (e direi etico, se non fosse parola troppo impegnativa), portare avanti la battaglia per una legge — per quanto giusta come potrebbe essere quella sulla cittadinanza — presentandola come un’istanza suprema, spartiacque di civiltà.
Al di là della questione nel merito, la cui complessità non può essere risolta sulla base di slogan, potrebbe anche essere utile tentare di capire alcune reazioni che si provocano nel tessuto sociale: in un momento di grave crisi economica, l’estensione della cittadinanza forse viene percepita anche come ulteriore concorrenza dell’immigrato rispetto al cittadino già italiano.
Si dirà: “ma facciamo pochi figli, gli immigrati ci pagano le pensioni”, e via così dicendo; il che è vero, ma non dovrebbe stupire che sottolineando questa “dipendenza” aumentino ansia e timori, nel confermare la sensazione che l’Italia rischia di non farcela “da sola”. (...)

Andando da richiamo morale a richiamo morale: l’emergenza umanitaria è stata in questi mesi messa spesso al centro dell’attenzione per giustificare l’accoglienza; naturalmente questo è sacrosanto, nel momento in cui donne e uomini fuggono da morte o sofferenze pressoché certe. Ma anche qui, temo che si sia sottovalutato l’impatto duplice e ambivalente di un tale richiamo. (...) 
Un incendio fa paura. Di per sé; e mentre chiamiamo i pompieri comunque guardiamo attentamente cosa succede, e se le fiamme da quel palazzo non rischino di venire verso noi. E se per caso sorge il sospetto che fra quelle persone ci sia proprio uno di quelli che ha usato con leggerezza il gas o i fiammiferi nella casa in fiamme… beh, forse saremmo molto guardinghi nell'accettare la vicinanza dei fuggitivi. Perché sembra così inaudito ad alcuni che i sentimenti si mischino e che gli esseri umani abbiano difficoltà a essere totalmente solidali con chi scappa da una tragedia? Cosa c’è di difficile nel capire che — in una situazione di emergenza — mentre si dà un bicchiere d’acqua, è legittimo e normale (e sano, per un “animale” sociale che si vuole autoconservare!) che “si tenga d’occhio” chi arriva? Che si abbia paura che l’emergenza si scarichi anche su chi aiuta? È una “doppiezza”, un’ambiguità, inevitabile. È legato a questa difficoltà a capire questa mescolanza di cose, mi pare, l’errore più tragico dello schieramento progressista, (...)
c’è chi preferisce inorgoglirsi delle buone azioni, dei richiami contro l’indifferenza, dei paragoni con la seconda guerra mondiale e con la battaglia contro il nazismo. Forse c’è qualcosa di vero, ma si sono persi molti compagni di strada, su questa “via alla santità”. Di fatto aprendo le porte alla situazione attuale, alle “inutili cattiverie” dei porti chiusi, alle decisioni affrettate e dannose sulla protezione umanitaria. (...)"

domenica 7 settembre 2014

L'Invincibile Debolezza Della Politica

Non so a chi fossero esattamente rivolte le parole del Presidente del Consiglio contro i "tecnici" che sarebbero cresciuti all'ombra della prima Repubblica.​ Ma è il caso di annotarle, insieme alle parole contro le élites che si riuniscono a Cernobbio, e quelle contro i professoroni e le parti sociali.

Forse sono parole di successo; successo facile; ma questo non toglie che possano assumere un significato inquietante, e che denotino più frustrazione che non vera capacità di leadership.

Frustazione che è la frustrazione della politica, italiana e non solo, angosciata - comprensibilmente - dalle difficoltà che incontra nel tentativo di riacquistare un'"autonomia" che non può più avere; questo non perché vi siano Tecnocrati Cattivi che complottano insieme ai Grandi Magnati della Finanza sulle rive di un lago, ma perché il mondo dopo il Muro si è svelato nella sua complessità, e si è reso (più) evidente che non puoi guidare la macchina-Stato senza relazionarti con le altre realtà. E se sbandi, puoi anche avere il 90% dei voti, ma prima o poi le altre vetture ti chiedono di accostare e di far guidare chi è più "competente". 

In quanto al desiderio di "saltare" le mediazioni sociali, c'è chi può giudicarla come la rivendicazione democratica dell'eguaglianza del voto dei cittadini. 
Legittimo pensarlo così, ma  - temo - falso.

La rete delle regole democratiche non vive d'aria, ma si "incarna" in una data società, in un dato tempo, in una data condizione di rapporti sociali, che non vengono "annullati" dal voto; certo, il voto eguale è un elemento essenziale della nostra comunità politica, per fortuna. Ma il giorno dopo il plebiscito, le rappresentanze sociali riprendono il loro "autonomo" (per quel che possibile) significato, e pretendono - inevitabilmente - di essere ascoltate dalla politica.

Dire che si possono "saltare" i corpi sociali, può significare quindi solo immaginare una società politica semplificata, ma falsa. E le rappresentanze sociali sarebbero comunque presenti, magari sotto aspetti peggiori (questo il rischio, per esempio, nella continua denigrazione dei sindacati confederali, certo bisognosi di profonda riforma: che - sconfitti loro - possano apparire al loro posto sindacalismi non regolati e poco inclini alla mediazione; altro che scomparsa del conflitto...).

Conviene accogliere con sano scetticismo, quindi, le "prove di forza verbali" della politica. 

Sarà lungo - e non semplice - il cammino che può portare una politica europea a rifarsi forte e autorevole; e non passerà per i bei discorsi, ma per arricchimento di "competenze" e capacità di costruire relazioni complesse, senza desiderio di abbattere avversari fantasiosi e troppo comodi.

Francesco Maria Mariotti

Leggi anche: 

domenica 16 febbraio 2014

L'AutoSfiducia Pd: Analisi Di Un Grave Errore

Ho provato a spiegare perché secondo me la scelta fatta dal Pd è un errore, temo grave. 

Inevitabilmente il discorso risente di valutazioni personali, e forse di semplificazioni di chi vive la cosa fra "esterno" e "interno" (non sono iscritto, ma seguo abbastanza da vicino le vicende), e questo può non aiutare.

Inevitabilmente il giudizio è anche probabilmente troppo generalizzato, nei confronti della dirigenza del Pd. Sicuramente questa è un po' un'ingiustizia, e mi scuso con chi magari potrebbe sentire un eccesso di severità.

Spero comunque che la riflessione - un po' lunga - possa aiutare a farsi un'idea.

Buona domenica e buon tutto

Francesco Maria

***

Sgomberiamo il campo da moralismi: la partita per il potere è sempre cosa dura e poco raffinata. Un amico che è in politica - quando discutiamo di queste cose - cita l'eterno Rino Formica: "la politica è sangue e merda"; se non sopporti la vista del primo o l'odore della seconda è meglio che cambi mestiere. Giusto, o quasi.

Comunque, dico questo solo per precisare che il problema che si è aperto in questi giorni con l'autosfiducia Pd (la chiamerei così, per far capire il paradosso cui sembriamo assistere; paragoni con tradizioni politiche di altri paesi mi sembrano fuori luogo) votata dalla Direzione nazionale non è un problema di "buone maniere", ma politico; certo,anche di stile; ma in questo caso lo stile non è un orpello inutile, ma più banalmente il modo in cui gestisci il rapporto con gli elettori, con i cittadini, e con le istituzioni (che non sono casa tua, anche se sei un partito glorioso).

Sgomberiamo il campo anche da altri possibili fraintendimenti: a tutti noi può essere capitato di "tradire" un principio a cui si era legati, votati, verso cui si era giurata fedeltà; la carne è debole, diceva un Tizio abbastanza più saggio di molti di noi; ma soprattutto a volte la vita ti pone di fronte a dinamiche che non puoi controllare totalmente e a conflitti di valore, o a situazioni nelle quali sei comunque costretto a scegliere. 

Secondo molti si diventa "adulti" così, quando si sceglie intimamente - prima ancora che esternamente - cosa sia più importante per noi, di fronte a opzioni radicalmente alternative ed escludentesi; ci si trasforma proprio perché si "taglia" una parte di noi, la si tradisce appunto; si comprende che la realtà richiede un sacrificio, e lo si interiorizza.

Quindi è giusto, a volte, "tradire" se stessi. Ma era questo il caso? E se sì (cosa di cui è lecito dubitare), è stato il comportamento del Pd - e dei suoi dirigenti, almeno della maggior parte (purtroppo in questa sede è inevitabile generalizzare) - consono a questa scelta che non è mai affatto semplice? Così non è parso: per velocità (direi fretta) e difficoltà di spiegare.

Qui non è in questione il fatto che la scelta politica sia l'ennesima conferma dell'ambizione dell'attuale segretario del partito (per chi come me non l'ha quasi mai avuto in simpatia non sarebbe una novità; ma di per sé questo non sarebbe un problema); qui è in questione che una scelta politica non è stata portata davanti al Paese con l'adeguata attenzione - anche umana - che una decisione così lacerante avrebbe meritato.

Tanto per citare un piccolo segno (non ho purtroppo avuto possibilità di verificare i particolari, prendetelo veramente come un segno "di costume", nulla di più), poco dopo la Direzione alcuni dirigenti avrebbero festeggiato le decisioni prese con un aperitivo, non proprio un comportamento da "scelta dura e dolorosa, ma necessaria". 

Qui preciso ancora: chi scrive non è un "democratico sempre e comunque"; credo che a volte nella gestione delle cose di Stato, colui che è chiamato a responsabilità di governo debba assumersi l'onere anche di mentire, se necessario per il bene della comunità. Ma una cosa è farlo per il bene della comunità, altro è farlo per il proprio tornaconto personale. 

E se per caso - ma è veramente questo il caso? - tornaconto personale e bene della comunità si avvicinano troppo (a volte può avvenire) non c'è da stare allegri; anche per il (preteso) leader è dunque il caso di aumentare l'autosorveglianza, non al contrario "sbracare" ed eccedere (a questa sorveglianza, teoricamente, servirebbero gli organismi dirigenti di una forza politica).

Perché la politica in democrazia è bestia strana: è vero, occorre a volte furbizia, ma mai troppa; occorre anche spregiudicatezza, ma da dosare con equilibrio. Perché comunque in democrazia c'è un "sentimento pubblico" di cui devi tenere conto, c'è una "fiducia complessiva" che regge il sistema e che può essere "zittita", "messa in sordina", "messa in tensione", ma fino a un certo punto. 

Perché se poi - per qualche sfortunata combinazione di fattori (che temo si sia verificata, in questo caso) - si supera il limite invisibile e impalpabile che separa la "tragica ma necessaria menzogna di governo" dalla "recita (un po' ridicola) del politicante", la rottura della fiducia rischia di essere totale, ingenerosa, e diffusa; e forse irreparabile. Temo che sia questo il caso, anche al di là della volontà dei singoli dirigenti.

Forse la troppa fretta, le poche spiegazioni, un combinato disposto di contraddizioni sia della maggioranza che dell'opposizione interne al partito; un approccio totalmente sbagliato nei confronti della persona di Enrico Letta; un approccio troppo visibilmente "eccitato" della persona del segretario del partito; una gestione approssimativa della partita delle riforme, che ora sembrano essere state accantonate (se si vuole durare fino al 2018), dopo aver promesso la velocità, la speditezza, la conclusione di tutto in pochi mesi.

Tragica contraddizione o ridicola messa in scena? Ahinoi, sembra prevalere la seconda.

Ora siamo costretti a "tifare" un governo, perché l'alternativa rischia di essere il disastro collettivo; ma proprio per evitare questi ricatti, esiste la politica; proprio per gestire queste dinamiche e "diminuire" l'azzardo - non esaltarlo - dovrebbero esistere le forze democratiche, i partiti.

Ultime considerazioni riassuntive:

1. Il guaio principale di questa dinamica, per il Pd, è che la "colpa" del leader è stata condivisa dalla quasi totalità della Direzione nazionale. Anche qui la cosa è ben strana: anche solo per furbizia tattica, si sarebbe potuto far vedere che c'era una dialettica. Lo spettacolo di giovedì è stato come vedere un esercito che si muove tutto e troppo velocemente verso un obiettivo che è poco definito, quasi un miraggio. E vien da dire: chi cura le retrovie? una qualsiasi forza organizzata sa che deve "spargersi", non muoversi tutta verso l'indefinito. Sa che deve gestire lo strappo, non esaltarlo. Perché poi se le retrovie sono sguarnite, l'avversario ha spazio per circondarti.

2. Il problema ulteriore - e qui ritorno a qualcosa di già detto in altri ragionamenti - è che le promesse fatte prima probabilmente erano troppo audaci, ma sarebbe meglio dire quasi assurde: "saremo diversi", "serietà è dire ciò che si fa e fare ciò che si dice", "noi non siamo come loro", "i vecchi riti della politica non ci appartengono". E via così dicendo. Ma appunto è quello forse il vero errore, o una sua componente essenziale: fingere che la politica - che è sempre anche"tattica", "mezze bugie", "complotto di palazzo" - non esista, che il Grande Leader di turno possa neutralizzare le dinamiche che - mi verrebbe da dire "in natura" - esistono e che non puoi evitare. Se si fosse stati meno "nuovisti", forse la sensazione di delusione non sarebbe stata così forte.

3. La logica complessiva che segna l'itinerario dell'attuale segretario del Pd sembra seguire le tracce di Craxi, le stesse seguite da Berlusconi e anche un po' da D'Alema. "Questo paese  è ingovernabile, e ci vuole una Grande Riforma"; il Grande Alibi che fu del leader socialista e che è diventato l'alibi di tutta una classe dirigente: non riusciamo a fare le cose perché non siamo "presidenzialisti", non siamo 'Stato forte', non siamo la Francia. La Francia intanto è in forte crisi, anche se lo "nasconde" bene. E la più "banale" Germania ha spiccato il volo con partiti 'classici' senza mutare il suo quadro costituzionale. L'Italia è un paese complesso. Forse sarebbe meglio imitare la Germania. Dobbiamo governare, non 'comandare'

4. Ecco, forse in questo "comandare" - verbo che indica il voler evitare la fatica di costruire un percorso, e la difficoltà di una condivisione - troviamo la tentazione ultima che è segno di questi tempi, e di questa politica. E' tragicamente vero che la velocità delle decisioni oggi è tale che a volte è necessario assumersi una responsabilità solitaria; ma è un attimo, un passo di troppo, una disattenzione - anche umana - che si fa strada; e la decisione diventa prepotente, troppo forte, incapace di essere sorretta. E il Paese non capisce, resiste. Frena. E non c'è "gaullismo all'amatriciana" che tenga. La politica anche più coraggiosa fallisce. 

E' inevitabile che avvengano gli scandali; e forse è bene che ci sia questo "scandalo"; perché in qualche modo la verità della politica poi torna a galla.

Oggi i cittadini sofferenti non hanno bisogno di facili slogan, ma di verità. Anche magari condita da qualche forzatura, da qualche compromesso, da qualche bugia. Ma - proprio perché ci aspettano scelte difficili - la verità del percorso difficile e lungo di qualsiasi politica non può essere nascosta.

Francesco Maria Mariotti

domenica 22 dicembre 2013

E' politica, quella dei bei gesti?

Non vorrei sempre fare il bastian contrario, ma ho qualche dubbio sul bel gesto (indubbiamente bello e coraggioso) del giovane deputato pd Khalhd Chaouki che si è rinchiuso nel centro di Lampedusa. I deputati avrebbero altri mezzi - le ispezioni, per esempio - per far prevalere le tesi politiche e difendere i cittadini. 

Il rischio è che involontariamente questi bei gesti (come lo sciopero della fame per la legge elettorale, per esempio, gesto diversissimo ma analogo per "violenta non violenza") siano sistemi un po' "ricattatori" ("non esco finché...") che delegittimano di fatto l'istituto parlamentare e non risolvono il problema. 

Nell'urgenza imposta dal parlamentare, probabilmente verrà in qualche modo "tappato il buco", magari verrà risolto il problema di alcune persone (magari gli attualmente presenti), ma difficilmente verrà governato sul serio il problema. E comunque rimane discutibile il mettere in gioco il proprio corpo e la propria persona. 

Capisco l'intento molto nobile - un po' come quando un ambasciatore si infila fra profughi in guerra per tutelare delle vite umane (ma un ambasciatore è un ambasciatore, un parlamentare un parlamentare) - ma rimango perplesso sulla torsione "testimoniale" che sta prendendo la politica italiana. 

Se un parlamentare si mettesse a digiunare con i malati di Stamina e si lasciasse morire se il ministero non la autorizzasse, dovremmo pensare che quella "cura" (si fa per dire) è giusta? Si è persa completamente la capacità di creare le propspettive di una discussione generale e razionale sui problemi?

sabato 7 dicembre 2013

Rischio Italia? Crisi Oltre Il Livello Di Guardia?

Chiusi i seggi delle primarie Pd, che sembrano attrarre attenzione oltre il loro reale valore politico, e indipendentemente da chi vincerà, è urgente per tutti volgere lo sguardo alle tensioni del Paese: si annunciano giorni difficili, sia a livello nazionale che internazionale (vd. articoli che seguono). In un momento in cui l'accordo storico del WTO potrebbe far ben sperare nelle prospettive per la crescita mondiale, l'Italia sembra non essere ancora pronta per rimettersi in piedi.

La combinazione di instabilità politica - dovuta in parte alla ecessiva sopravvalutazione degli effetti della sentenza della Corte costituzionale (è segno innegabile di crisi del pensiero politico, se si dipende troppo dalle regole), in parte al già citato eccesso di attenzone alle primarie del Pd - e proteste contro la crisi economica - su cui paiono volersi innestare movimenti interessati allo sfascio - può essere fatale per la nostra democrazia.

Paradossalmente i momenti di "uscita" da una crisi possono essere i più rischiosi: perché si percepisce il cambiamento, ci si muove disordinatamente per tentare di coglierlo, ma magari si perde l'occasione (o non si è capaci di gestire il momento), e la scossa impressa alla comunità - causa perdita dell'equilbrio - diventa una caduta più rovinosa. E il progresso visto in nuce diventa reazione violenta. Per questo è sempre negativo - e alfine reazionario - predicare una rivoluzione senza avere gli strumenti per porla in essere. 

Non è per amore di stabilità fine a se stessa, che personalmente preferisco per i prossimi mesi questo governo (anche se sono evidenti tutti i suoi limiti), ma perché la partita che vede coinvolto il nostro Paese anche in Europa (si legga Cingolani su Linkiesta, forse un po' troppo sbilanciato sul passato, ma interessante) è di fondamentale importanza. 

In una fase storica in cui l'antieuropeismo sta diventando uno slogan troppo facile, la politica non deve diventare la cassa di risonanza del malumore, ma la guida concreta di un cambiamento di strategia. E questo non avviene a colpi di slogan (tanto il manifestante urlerà sempre più forte del politico di governo), ma con piccoli passi, purché tangibili.

Nei prossimi giorni potranno certo esserci incidenti, anche gravi; ma se Presidenza della Repubblica, Governo (che è nel pieno dei suoi poteri), Parlamento (che non è delegittimato), partiti e rappresentanze sociali responsabili, forze dell'ordine e d'intelligence sapranno coordinarsi pur nella diversità dei ruoli, l'inevitabile tensione potrà essere gestita. 
Abbiamo superato momenti ben peggiori: non prevalga la paura.

Francesco Maria Mariotti

(...) Questo non vuol dire che la storia si ripeta. Rispetto a due anni fa oggi esistono strumenti come il meccanismo salva stati che rappresenta senza dubbio un passo avanti rispetto alla lettera del trattato. Non è gratis, gli aiuti vengono concessi a dure condizioni, ma alla fin fine sono le stesse della lettera inviata dalla Bce il 5 agosto 2011 a Italia e Spagna senza che fosse accompagnata da nessun assegno. Inoltre, oggi la congiuntura migliora, anche se troppo lentamente, come ha ricordato giovedì scorso Mario Draghi. Il presidente della Bce sostiene di avere ancora una intera santabarbara a disposizione per soffocare ogni ulteriore attacco all’euro. Tuttavia ha glissato sulle domande a proposito dell’unione bancaria e delle operazioni per rafforzare le banche (compresa quella italiana). Conosce bene le insidie delle prossime settimane e incrocia le dita perché il consiglio europeo non si chiuda, come sembra probabile, rinviando di altri sei mesi tutte le questioni calde. Se sarà così, allora davvero c’è da aspettarsi che l’area euro torni a ballare. Incombe sempre, del resto, la sentenza dell’alta corte tedesca sulle Omt, le Outright monetary transactions, in sostanza l’acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario, un altro strumento per spegnere i fuochi della speculazione. (...)

La parola d’ordine? «Demolire il sistema. Polentoni e terroni, destra e sinistra saranno con noi, in piazza, a partire da domenica notte, e andremo avanti fino a quando questa classe politica fatta di cialtroni e delinquenti non andrà a casa». 
Mariano Ferro é uno dei leader storici del movimento dei «Forconi», che nel 2012 paralizzò la Sicilia. «Tre giorni fa dissi al prefetto di Catania che l’Italia stava per diventare una nuova Grecia. E il prefetto mi rispose: “Lo so”. Vedrete quello che succederá...». Minaccioso come lo può essere l’Etna di questi giorni con le sue eruzioni, il leader dei Forconi disegna scenari apocalittici a partire dalle prossime ore. A partire da domani notte, con presidi e blocchi di strade, autostrade, ferrovie e porti in tutto il Paese, dalla Sicilia al Nord, da Torino a Verona a Modica e Pozzallo. (...)

Una protesta capillare che rischia di degenerare. È questo il timore degli analisti del Viminale alla vigilia della manifestazione organizzata dagli autotrasportatori e dal «movimento dei forconi», alla quale potrebbero aderire pure i Cobas. Sono oltre trenta i presidi già pianificati da domani sera nelle strade e nelle piazze di tutta Italia. Ma il vero pericolo riguarda i blocchi stradali e ferroviari per paralizzare completamente la circolazione in alcune regioni, prima fra tutte la Sicilia, proprio come accaduto lo scorso anno. Perché i segnali captati negli ultimi giorni parlano di possibili infiltrazioni dei gruppi di estrema destra, determinati a compiere «azioni di resistenza passiva». Ma anche di una mobilitazione «non governata dalle principali sigle sindacali di categoria che dunque potrebbe gravi conseguenze». (...)


giovedì 28 novembre 2013

Dubbi Democratici - Il Populismo Che Non Governi

C'è un dato positivo, uno solo a mio avviso, nel percorso elettorale di Renzi. E cioè il tentativo - più o meno esplicito - del sindaco di Firenze di "catturare politicamente" il malcontento dei cittadini, un misto di malumore, rabbia, e a tratti disperazione che si è creato nel nostro paese con solide ragioni e che per il momento ha trovato pochi sbocchi politici, spesso non utili a un reale miglioramento delle cose. Tutta la retorica antipolitica (o meglio "anticasta") - dalla "rottamazione" in poi - avrebbe un senso, se fosse capace di sottrarre voti alla pura protesta per incanalarli verso obiettivi più concreti.

Detto ciò, però il problema dello "stile" politico che accompagna la campagna di Renzi, che oramai dura molti mesi, a me pare sia pesante; perché in realtà questione non solo di stile; ma problema di una campagna che in qualche modo si fa facilmente "populista" (mi perdonino gli amici renziani, non mi viene una parola migliore...) e che rischia di non sortire gli effetti positivi che al momento ci si aspetta.

Dal caso Ablyazov alla legge di stabilità, dal no (anche comprensibile, ma mal presentato) a grazia e indulto al caso Cancellieri, Renzi sembra voler dire di continuo: "io sono in sintonia con il paese reale, io saprò fare meglio; contro tutto ilvecchio (in cui vengono accomunati Berlusconi, Letta, e - sia pure in modo meno appariscente, ma comunque con forza - lo stesso Napolitano) io saprò vincere in nome di tutti voi, che non ne potete più di loro".

Renzi per fortuna non è solo un populista; e sicuramente alcuni contenuti (oggi Michele Emiliano a Omnibus annunciava alcune idee in tema di giustizia) possono essere interessanti.

Ma quando inizi a cavalcare la demagogia, o hai la forza di governarla (ma devi essere veramente molto bravo) o il rischio è che tu venga disarcionato, senza tanti complimenti. Magari anche senza cadute apparenti o plateali; perché forse rimarrai formalmente capo, ma la tua politica sarà sempre "sotto ricatto", sotto il ricatto della delusione, e della reazione del disincanto, che spesso colpisce gli innamoramenti politici...

Per dirla in breve, i rischi che mi sembra corra Renzi, ma con lui - purtroppo - tutti noi, sono due:

1. una volta che si critica così ripetutamente il governo (teoricamente amico) e si alzano le pretese, quando arriva il proprio turno non ci si può abbassare a nessun compromesso: si è criticato Letta su Ablyazov? Cosa succederà quando ci sarà un qualsiasi incidente di questo tipo in un futuro governo Renzi? Si volevano le dimissioni di Cancellieri? Alla prima telefonata sospetta di uno dei suoi ministri, sarà lecito scatenare la guerra... Si critica la legge di stabilità? L'anno prossimo - se ci sarà un governo Renzi (io spero ci sia ancora Letta) - si dovrà saper fare molto meglio ( e l'anno prossimo il Fiscal Compact - se non vado errato - inizia a chiedere il rientro del debito). Insomma; come ha detto lo stesso sindaco di Firenze: "non ci saranno più alibi". Ottimo, teoricamente. Ma se non si è in grado di soddisfare tutte le pretese che si sono volute alimentare facendo polemica contro il vecchio, il rischio di un "rinculo" è molto alto. 

Sono tanti gli uomini forti che hanno tentato di cambiare l'Italia con energia, promettendo Grandi Riforme o addirittura Rivoluzioni (liberali...); non pare ci siano riusciti. Perché? Qui veniamo al secondo punto, che è forse l'altra faccia del primo

2. L'idea  di politica che Renzi esprime è semplice; anche se alla fine del suo ultimo discorso alla Leopoda è sembrato voler porre un freno ("guardate che non basto io"), tutta la dinamica di questi giorni è fatalmente (anche per ragioni di competizione) focalizzata su di lui, sulla sua personale capacità, sulla forza che il capo potrà mettere nel portare avanti le sue idee. Ma questo non basta, in Italia. Per gli stessi motivi per cui sarebbe fallimentare una riforma presidenzialista, una politica dell'uomo forte può forse funzionare per qualche mese, ma va poi fatalmente a scontrarsi con il fatto che un uomo solo al comando non può gestire un paese complesso e stratificato come il nostro. 

L'impatto delle riforme - se fatte - crea inevitabilmente malcontento e lacera quella "facile alleanza" che - dietro al capo - si crea in fase elettorale, quando le promesse non vengono verificate, e non si guarda con attenzione alle conseguenze delle parole. 

L'uomo solo al comando rischia così di rimanere intrappolato nelle dinamiche parlamentari, che sempre ci saranno, e che magari prendono avvio da questioni concrete. Il capo che diceva di non voler occuparsi della bassa e volgare politica (quella che facevano i vecchi) rischia così di dover venire a compromessi molto tattici e di poco respiro (vi ricorda qualcuno? Anche Berlusconi si presentò - ed era, in un certo senso - uomo forte e nuovo)...

Non basta più - se mai è bastato - cambiare il "vertice" del paese. Una vera politica di riforme è fatta anche di "accompagnamento nel quotidiano": troppe volte belle riforme progressiste sono diventate pesanti - e vissute come negative - per la mancanza di attenzione alle quotidiane conseguenze che portavano, per la mancanza di ascolto dei cittadini coinvolti (si pensi a come è stato tradito l'art.18 dello Statuto dei lavoratori, che troppi cittadini e troppe aziende oggi vivono come nodo di privilegio, e non garanzia di diritti, come dovrebbe essere).
Ad accompagnare le riforme, forse, servirebbero buoni partiti, infatti.

Ho già scritto troppo. Solo un'ultima annotazione: poche ore fa è decaduto Berlusconi, come anni fa Craxi fu sconfitto, non proprio politicamente. Dopo la "caduta" di Craxi, non vinse la parte progressista. Anni dopo, Veltroni vinse le primarie, e cominciò a fare "pungolo" al governo Prodi, naturalmente con le migliori intenzioni. Alle successive elezioni, non vinse la parte progressista. 

Oggi pungolo al governo amico e caduta non-politica dell'avversario si fanno vicini. 

Non si fa altrettano prossima, temo, neanche questa volta, la vittoria di un'idea d'Italia laica, liberale e realmente progressista.

Francesco Maria Mariotti

mercoledì 25 aprile 2012

L'Italia, la Resistenza, la politica, il futuro (le parole del Presidente Napolitano)

(...) E richiamando le parole di Giacomo Ulivi, giovane di 19 anni condannato a morte e fucilato nella Piazza Grande di Modena il 10 novembre 1944, il Presidente Napolitano ha detto: "se fu possibile far rinascere l'Italia, lo fu perché in moltissimi - sull'onda della Liberazione - si avvicinarono alla politica, non considerandola qualcosa di 'sporco', ma vedendo la cosa pubblica come affare di tutti e di ciascuno. E invece oggi cresce la polemica, quasi con rabbia, verso la politica. E si prendono per bersaglio i partiti, come se ne fossero il fattore inquinante. Ma per capire, e non cadere in degli abbagli fatali, bisogna ripartire proprio dagli eventi che oggi celebriamo. Come dimenticare che proprio da allora, dagli anni lontani della Resistenza, i partiti divennero e sono per un lungo periodo rimasti l'anima ispiratrice e il corpo vivo e operante della politica? I partiti antifascisti furono innanzitutto la guida ideale della stessa Resistenza, che non si identificò con nessuno di essi, che non ebbe un solo colore, che si nutrì di tante pulsioni e posizioni diverse, ma dai partiti trasse il senso dell'unità e la prospettiva della democrazia da costruire nell'Italia liberata. E furono quei partiti i promotori e i protagonisti - sospinti dalla forza del voto popolare - dell'Assemblea Costituente, dando vita a quella Costituzione repubblicana che costituisce tuttora la più solida garanzia dei valori e dei principi che scaturirono dalla Resistenza. E anche quando si ruppe l'unità antifascista e la politica si fece aspra competizione democratica, furono i partiti, e fu la partecipazione dei cittadini a quel confronto, fu la partecipazione popolare alla vita politica e sociale che resero possibile uno straordinario progresso dell'Italia senza lacerazioni dell'unità nazionale. Sono poi venute, col passare dei decenni, le stanchezze e le degenerazioni - lo sappiamo - della politica e dei partiti. Questi non sono certo più gli stessi dell'antifascismo, della Resistenza e della Costituente : diversi ne sono scomparsi, altri si sono trasformati, ne sono nati di nuovi, e tutti hanno mostrato limiti e compiuto errori, ma rifiutarli in quanto tali dove mai può portare? Nulla ha potuto e può sostituire il ruolo dei partiti, nel rapporto con le istituzioni democratiche. Occorre allora impegnarsi perché dove si è creato del marcio venga estirpato, perché i partiti ritrovino slancio ideale, tensione morale, capacità nuova di proposta e di governo. E' questo che occorre : senza abbandonarsi a una cieca sfiducia nei partiti come se nessun rinnovamento fosse possibile, e senza finire per dar fiato a qualche demagogo di turno. Vedete, la campagna contro i partiti, tutti in blocco, contro i partiti come tali, cominciò prestissimo dopo che essi rinacquero con la caduta del fascismo : e il demagogo di turno fu allora il fondatore del movimento dell'Uomo Qualunque - c'è tra voi chi forse lo ricorda -un movimento che divenne naturalmente anch'esso un partito, e poi in breve tempo sparì senza lasciare alcuna traccia positiva per la politica e per il paese. Io ho ritenuto doveroso, e non solo negli ultimi tempi ma in tutti questi anni, sollecitare anche con accenti critici, riforme istituzionali e politiche ; e mi rammarico che si sia, in questa legislatura e nella precedente, rinunciato a ogni tentativo per giungere in Parlamento a delle riforme condivise. Oggi però si sono create condizioni più favorevoli per giungervi : anche per definire norme che sanciscano regole di trasparenza e democraticità nella vita dei partiti, compresi nuovi criteri, limiti e controlli per il loro finanziamento, e per varare una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere i loro rappresentanti, e non di votare dei nominati dai capi dei partiti. In effetti, sono cadute non solo vecchie contrapposizioni ideologiche ma anche forme di sorda incomunicabilità tra opposte parti politiche, ed è dunque possibile oggi concordare in Parlamento soluzioni che sono divenute urgenti, anzi indilazionabili. Non esitino e non tardino i partiti a muoversi concretamente in questo senso. Guardino però tutti con attenzione ai passi per le riforme che si stanno compiendo e si compiranno da parte dei partiti, e non vi si opponga una sfiducia preconcetta e aggressiva".

"Prevalga - ha continuato il Capo dello Stato - dunque un serio impegno di rinnovamento politico-istituzionale e lo si accompagni, da parte dei cittadini, con spirito più costruttivo e fiducioso. Rinnovamento, fiducia e unità sono le condizioni per guardare positivamente a tutti i problemi economici e sociali che ci assillano e che presentano aspetti drammatici per le famiglie in condizioni più difficili, per quanti vedono a rischio il posto di lavoro e per quanti sono, soprattutto tra i giovani, fuori di concrete possibilità di occupazione. Ed è questo il nostro assillo più grande: aprire prospettive più certe e degne di lavoro e di futuro per le giovani generazioni. La politica, i partiti, debbono, rinnovandosi decisamente, fare la loro parte nel cercare e concretizzare risposte ai problemi più acuti, confrontandosi fattivamente col governo fino alla conclusione naturale della legislatura. Debbono fare la loro parte le istituzioni, dal Parlamento e dal governo nazionale ai Comuni, peraltro condizionati oggi da gravi ristrettezze. Dobbiamo fare tutti la nostra parte, con realismo, consapevolezza, senso di responsabilità, sapendo che le possibilità di ripresa e di rilancio dello sviluppo economico e sociale del paese, sulla base di una giusta distribuzione dei sacrifici necessari, sono legate anche a un grande insieme di contributi operosi e di comportamenti virtuosi che vengano dal profondo della società e ne rafforzino la coesione".(...)


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