C'è un dato positivo, uno solo a mio avviso, nel percorso elettorale di Renzi. E cioè il tentativo - più o meno esplicito - del sindaco di Firenze di "catturare politicamente" il malcontento dei cittadini, un misto di malumore, rabbia, e a tratti disperazione che si è creato nel nostro paese con solide ragioni e che per il momento ha trovato pochi sbocchi politici, spesso non utili a un reale miglioramento delle cose. Tutta la retorica antipolitica (o meglio "anticasta") - dalla "rottamazione" in poi - avrebbe un senso, se fosse capace di sottrarre voti alla pura protesta per incanalarli verso obiettivi più concreti.
Detto ciò, però il problema dello "stile" politico che accompagna la campagna di Renzi, che oramai dura molti mesi, a me pare sia pesante; perché in realtà questione non solo di stile; ma problema di una campagna che in qualche modo si fa facilmente "populista" (mi perdonino gli amici renziani, non mi viene una parola migliore...) e che rischia di non sortire gli effetti positivi che al momento ci si aspetta.
Dal caso Ablyazov alla legge di stabilità, dal no (anche comprensibile, ma mal presentato) a grazia e indulto al caso Cancellieri, Renzi sembra voler dire di continuo: "io sono in sintonia con il paese reale, io saprò fare meglio; contro tutto ilvecchio (in cui vengono accomunati Berlusconi, Letta, e - sia pure in modo meno appariscente, ma comunque con forza - lo stesso Napolitano) io saprò vincere in nome di tutti voi, che non ne potete più di loro".
Renzi per fortuna non è solo un populista; e sicuramente alcuni contenuti (oggi Michele Emiliano a Omnibus annunciava alcune idee in tema di giustizia) possono essere interessanti.
Ma quando inizi a cavalcare la demagogia, o hai la forza di governarla (ma devi essere veramente molto bravo) o il rischio è che tu venga disarcionato, senza tanti complimenti. Magari anche senza cadute apparenti o plateali; perché forse rimarrai formalmente capo, ma la tua politica sarà sempre "sotto ricatto", sotto il ricatto della delusione, e della reazione del disincanto, che spesso colpisce gli innamoramenti politici...
Per dirla in breve, i rischi che mi sembra corra Renzi, ma con lui - purtroppo - tutti noi, sono due:
1. una volta che si critica così ripetutamente il governo (teoricamente amico) e si alzano le pretese, quando arriva il proprio turno non ci si può abbassare a nessun compromesso: si è criticato Letta su Ablyazov? Cosa succederà quando ci sarà un qualsiasi incidente di questo tipo in un futuro governo Renzi? Si volevano le dimissioni di Cancellieri? Alla prima telefonata sospetta di uno dei suoi ministri, sarà lecito scatenare la guerra... Si critica la legge di stabilità? L'anno prossimo - se ci sarà un governo Renzi (io spero ci sia ancora Letta) - si dovrà saper fare molto meglio ( e l'anno prossimo il Fiscal Compact - se non vado errato - inizia a chiedere il rientro del debito). Insomma; come ha detto lo stesso sindaco di Firenze: "non ci saranno più alibi". Ottimo, teoricamente. Ma se non si è in grado di soddisfare tutte le pretese che si sono volute alimentare facendo polemica contro il vecchio, il rischio di un "rinculo" è molto alto.
Sono tanti gli uomini forti che hanno tentato di cambiare l'Italia con energia, promettendo Grandi Riforme o addirittura Rivoluzioni (liberali...); non pare ci siano riusciti. Perché? Qui veniamo al secondo punto, che è forse l'altra faccia del primo
2. L'idea di politica che Renzi esprime è semplice; anche se alla fine del suo ultimo discorso alla Leopoda è sembrato voler porre un freno ("guardate che non basto io"), tutta la dinamica di questi giorni è fatalmente (anche per ragioni di competizione) focalizzata su di lui, sulla sua personale capacità, sulla forza che il capo potrà mettere nel portare avanti le sue idee. Ma questo non basta, in Italia. Per gli stessi motivi per cui sarebbe fallimentare una riforma presidenzialista, una politica dell'uomo forte può forse funzionare per qualche mese, ma va poi fatalmente a scontrarsi con il fatto che un uomo solo al comando non può gestire un paese complesso e stratificato come il nostro.
L'impatto delle riforme - se fatte - crea inevitabilmente malcontento e lacera quella "facile alleanza" che - dietro al capo - si crea in fase elettorale, quando le promesse non vengono verificate, e non si guarda con attenzione alle conseguenze delle parole.
L'uomo solo al comando rischia così di rimanere intrappolato nelle dinamiche parlamentari, che sempre ci saranno, e che magari prendono avvio da questioni concrete. Il capo che diceva di non voler occuparsi della bassa e volgare politica (quella che facevano i vecchi) rischia così di dover venire a compromessi molto tattici e di poco respiro (vi ricorda qualcuno? Anche Berlusconi si presentò - ed era, in un certo senso - uomo forte e nuovo)...
Non basta più - se mai è bastato - cambiare il "vertice" del paese. Una vera politica di riforme è fatta anche di "accompagnamento nel quotidiano": troppe volte belle riforme progressiste sono diventate pesanti - e vissute come negative - per la mancanza di attenzione alle quotidiane conseguenze che portavano, per la mancanza di ascolto dei cittadini coinvolti (si pensi a come è stato tradito l'art.18 dello Statuto dei lavoratori, che troppi cittadini e troppe aziende oggi vivono come nodo di privilegio, e non garanzia di diritti, come dovrebbe essere).
Ad accompagnare le riforme, forse, servirebbero buoni partiti, infatti.
Ho già scritto troppo. Solo un'ultima annotazione: poche ore fa è decaduto Berlusconi, come anni fa Craxi fu sconfitto, non proprio politicamente. Dopo la "caduta" di Craxi, non vinse la parte progressista. Anni dopo, Veltroni vinse le primarie, e cominciò a fare "pungolo" al governo Prodi, naturalmente con le migliori intenzioni. Alle successive elezioni, non vinse la parte progressista.
Oggi pungolo al governo amico e caduta non-politica dell'avversario si fanno vicini.
Non si fa altrettano prossima, temo, neanche questa volta, la vittoria di un'idea d'Italia laica, liberale e realmente progressista.
Francesco Maria Mariotti
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