Come scrivevo qualche giorno fa, in LIbia stiamo facendo lo strofinaccio; al di là dell'immagine colorita, in realtà si conoscono poco i dettagli del nostro impegno post-bellico. Qualche notiza sembra "sfuggire", senza ufficialità, come viene raccontato in questo articolo de ilFoglio.
Il patto di riservatezza fra Letta e Obama - si dice nell'articolo - tiene, e forse è bene così. Non c'è da stupirsi né scandalizzarci se non tutti i dettagli vengono raccontati.
Ma fra tutto (impossibile) e il "quasi nulla" che sembra segnare questo momento, forse potrebbe esserci una via di mezzo: la possibilità di capire meglio quanto ci costa questo impegno e quali sono le possibili ricadute.
L'impegno sarà lungo, e sicuramente anche rischioso. Sarebbe importante preparare l'opinione pubblica italiana a tutti gli scenari possibili, per non meravigliarci o spaventarci se lo scenario dovesse avere risvolti critici, e soprattutto allenarci ad avere pazienza, dote indispensabile per una situazione di questo genere.
Francesco Maria Mariotti
Una notizia festosa da Tripoli – sorveglianza elettronica e aerea dei confini libici grazie all’Italia – per ora cade nel silenzio del governo italiano. Mercoledì il primo ministro libico Ali Zeidan annuncia in conferenza stampa che “l’Italia comincerà la sorveglianza aerea ed elettronica dei confini libici. L’area sorvegliata coprirà il tratto tra al Aywanat, vicino alla frontiera con Egitto e Sudan, fino alla congiunzione tra il confine libico e quelli di Algeria e Tunisia”. Domenica la notizia è ripresa dal sito di notizie libiche in lingua inglese Lybia Herald. I giornalisti del sito scrivono che il primo ministro Zeidan non ha dato altri dettagli sulla missione durante la conferenza stampa: quando inizierà, quanto durerà e chi pagherà i costi. Contattano l’ambasciata italiana a Tripoli, che però non aggiunge nulla. (...)
Per ora non ci sono ancora commenti da parte del governo italiano, forse per quel patto di riservatezza stretto tra il premier Enrico Letta e il presidente americano Barack Obama durante l’incontro a Washington di metà ottobre. “Albania e Libia: sono due questioni che l’Amministrazione americana, e non da adesso, considera automaticamente di competenza italiana. A maggior ragione ora che il paese è un disastro, con tutti i problemi aperti dal dopo Gheddafi e senza che Washington abbia alcun interesse a occuparsene – e questo non vale solo per la Libia”, dicono fonti diplomatiche italiane al Foglio che preferiscono restare senza nome. Alla Farnesina rispondono al Foglio di “essere ovviamente felici che la Libia stia lavorando sulla sicurezza dei confini, ma non ci sono altri dettagli da aggiungere a quelli che si conoscono già”. A metà ottobre delegazioni italiane dei ministeri di Difesa e Interno sono andate a Tripoli per parlare con il governo libico prima dell’inizio dell’operazione “Mare nostrum” per il controllo e il soccorso dell’immigrazione clandestina. Il discorso potrebbe essere stato più ampio.
Il primo ministro libico Zeidan ha parlato di sorveglianza elettronica e aerea. Per quanto riguarda la prima, il riferimento è a un contratto da 300 milioni di euro firmato quattro anni fa, il 7 ottobre 2009, tra Selex, società di Finmeccanica, e il governo di Tripoli, come conseguenza del trattato di amicizia stretto nel 2008 tra Italia e Libia. Da allora tutto è cambiato, c’era Gheddafi e adesso c’è un governo fragile – nato da una ribellione aiutata dalla Nato ma poi caduta ostaggio delle sue stesse milizie. La necessità di controllare i confini però resta, e Selex è specializzata in radar e sensori di sorveglianza; è verosimile che siano ancora considerati utili.(...)
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