lunedì 25 novembre 2013

Siria - Quali Vie di Uscita?

(...) Il pessimo stato in cui versa è l’effetto diretto delle spaccature fra quelli che sono (o che erano) i suoi principali sponsor regionali e internazionali. Turchia e Qatar, un tempo i due supporter più importanti dell’Esercito Libero e della Coalizione nazionale siriana, oggi sembrano aver deciso di rivedere completamente il proprio impegno “in prima linea”. Da una parte Ankara sta cominciando ad ammettere gli errori di calcolo commessi quando due anni e mezzo fa quando decise di puntare tutto su una rapida caduta di Assad; recrudescenza degli attacchi curdi, centinaia di migliaia di rifugiati nell’est del paese, continui incidenti di confine e, soprattutto, l’inaspettata tenacia del regime di Damasco hanno costretto Erdogan a rivalutare la propria politica siriana e ad adottare un più basso profilo. Dall’altra il Qatar si sta ancora leccando le ferite dopo il clamoroso scacco subito con la caduta di Morsi in Egitto che ha frantumato l’ambizioso disegno qatarino di divenire una potenza regionale di primo piano spodestando gli alleati-rivali sauditi attraverso il sostegno alla Fratellanza musulmana internazionale.

Oggi il nuovo “padrino” dell’opposizione siriana è l’Arabia Saudita (seguita silenziosamente dagli Emirati Arabi Uniti), che dopo il golpe in Egitto ha frettolosa-mente giocato il proprio “asso piglia tutto” diventando il primo sponsor del nuovo regime militare al Cairo e spodestando gli uomini del Qatar dai posti chiave dell’Esercito Libero e della Coalizione nazionale siriana. Lo scopo che guida la mano di Riyadh in Siria è ovviamente in primo luogo la volontà di sottrarre allo storico nemico, l’Iran, il suo alleato chiave nel mondo arabo. Ma non solo. Col tempo e con il crescere delle milizie legate ad al-Qaeda sul territorio siriano è diventato di primaria importanza per i sauditi anche arginare il fenomeno qaedista. Dopo il grave scorno subito dal mancato attacco statunitense – che ha portato a un raffreddamento probabilmente senza precedenti nei rapporti fra Riyadh e Washington – i sauditi sembrano aver deciso di far da sé, alla solita maniera: addestramento e armamento di salafiti “buoni” per contrastare i salafiti “cattivi”, con buona pace dei valori laici e di unità nazionale che guidavano i primi passi della rivoluzione siriana. La pressione saudita ha portato all’ulteriore smantellamento dell’Esercito libero siriano, che ha visto un’ulteriore scissione interna guidata dalle brigate più intrise di valori religiosi. Queste ultime, quasi un terzo del totale, sono andate a formare “l’Esercito dell’Islam”, finanziato da Riyadh con l’intenzione di creare una forza islamista in grado di contrastare le formazioni di al-Nusra e di al-Qaeda in Iraq e nel Levante, espressioni dirette della galassia jihadista internazionale in Siria.(...)


Si sarebbe tentati dal dire che è l’effetto dell’accordo del P5+1 (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu più i tedeschi) con Teheran sul nucleare, ma sarebbe troppo facile. Anche se sarebbe sbagliato non valutarlo come segno di un clima che sta cambiando. L’Onu ha annunciato che, dopo tanti rinvii, la conferenza internazionale per trovare una soluzione alla crisi siriana di terrà finalmente a Ginevra il 22 gennaio. 

Il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov, mentre partecipava oggi al Media forum italo-russo insieme con la collega Emma Bonino, ha sottolineato: “La conferenza si poteva fare prima di gennaio se non ci fosse stato l’egoismo politico dell’opposizione siriana”.  

Come è noto l’opposizione è un complicato arcipelago composto da forze che si rifanno a vari sponsor come l’Arabia Saudita e la Turchia, la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti, e altre, molto forti sul campo, che si rifanno all’estremismo salafita vicino all’icona terroristica di Al Qaeda.  

Il grosso ostacolo finora era che nessun gruppo, neppure quelli più moderati voleva trattare con Assad. (...) 

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