Visualizzazione post con etichetta Hamas. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Hamas. Mostra tutti i post

giovedì 31 luglio 2014

Qualche Precisazione Su Israele e Palestina

Il mio "appello" è stato condiviso - con maggiore o minore adesione - da diversi amici su Facebook; in una delle discussioni da esso scaturite, ho provato a precisare ulteriormente il mio pensiero, tentando di spiegare meglio il senso del mio discorso; approfitto quindi per condividere anche questa parte di ragionamento:

1) Israele ha già fatto diverse guerre contro Hamas, più o meno con le stesse dinamiche di quella attuale. E ora siamo di nuovo allo stesso punto. Israele - per dirla in breve - sembra vincere la guerra militare, ma il problema  poi sembra rimanere tale e quale;

2) la tattica militare di Israele - assolutamente comprensibile da alcuni punti di vista, si badi - sta di fatto portando Israele su un metaforico (ma neanche tanto) "banco degli imputati" di fatto nascondendo le giuste ragioni che hanno portato all'intervento. Per dirla come ho scritto in un altro commento in questo blog, puoi avere ottime ragioni per entrare in guerra ma se colpisci scuole e ospedali, è inevitabile che il sangue che non sei riuscito ad evitare (anche se magari la maggiore responsabilità è di Hamas che usa "scudi umani") occulti le tue pur ottime ragioni;

3) in breve, come altre volte e in altre zone, la guerra fatta senza politica crea danni eccessivi e alla fine porta chi la fa a una sconfitta politica;

4) la mia proposta è che Israele freni l'attività militare che ora di fatto appare senza visione, e ponga il mondo di fronte alle sue responsabilità, dicendo:"Io mi fermo, ma ora insieme poniamo e risolviamo il problema dei terroristi di Gaza; ora gestiamo la transizione a una Palestina democratica che accetti Israele". Per far questo - per far vedere che Gerusalemme non cerca la guerra per la guerra - è necessario che la tregua sia effettiva per qualche giorno. Solo così secondo me Israele può "sganciarsi" dalla trappola in cui si sta infilando.

Preciso ulteriormente che non ho dubbi sulle ottime ragioni di Israele contro Hamas. Ma è un fatto che ora Israele sta mettendo in imbarazzo anche i suoi migliori amici (vd. la rabbia di Obama e Kerry); magari ottiene di fatto un periodo di tranquillità, ma rischia di compromettere le possibilità di costruire un percorso più profondo, che è ormai ineludibile.

Questo percorso pù profondo probabilmente -purtroppo, dico io, ma la politica estera è dura da digerire - passa anche per una qualche trattativa con l'odioso Hamas. O comunque con chi sia in grado di mantenere la parola su un qualche "accordo". 

Ulteriore precisazione, che mi pare inutile, ma in queste discussioni bisogna dire tutto: non mi fido per niente di Hamas, ma i nemici - e quindi gli interlocutori a una trattativa - non si scelgono. 

E la trattativa probabilmente potrebbe essere fallimentare; ma per guadagnare la legittimazione a un eventuale nuova guerra Israele deve prima mostrare tutta la "apertura" possibile anche verso il terribile nemico. Perché non si possa dire che non si è fatto tutto il possibile (e purtroppo con questo governo, temo che di Israele si possa dire che "non ha fatto tutto il possibile")

Il mio ragionamento quindi non era un voler dire "Israele ha torto marcio", o - forse peggio - "Hamas non ha responsabilità". Il mio ragionamento era un allarme per la mancanza di orizzonte che sembra contrassegnare la guerra di Israele, e che condanna Gerusalemme all'isolamento.

Piaccia o no, stante anche il sistema di comunicazione di massa che segue questa guerra e che inevitabilmente sovraespone qualsiasi azione di guerra, stante l'attuale "sbilanciamento di percezione" che sembra non vedere le gravi responsabilità di Hamas nel lancio di missili; stante tutto questo: Israele deve fare una mossa diversa, inaspettata, capace di parlare a tutto il mondo, una mossa - mi vien da dire - di "non-violenza", di tregua unilaterale, che dica "noi non cerchiamo la guerra per la guerra". 

Oggi purtroppo il mondo vede un'Israele "incastrata" nell'ansia di fare una cosa teoricamente giusta, drammaticamente sbagliata nella pratica. Israele deve "sbloccarsi". 

Sorprenda il mondo, coltivi la forza della politica. Allora sì, l'eventuale uso dei bombaradamenti avrà - forse - un senso. Ma soprattutto, Israele avrà un futuro.

mercoledì 30 luglio 2014

Israele Ha Molte Ragioni, Ma Ora si Fermi

Anche solo per pochi giorni. Anche solo per "tattica".
Anche solo per "interesse" a non finire nell' abisso della condanna internazionale.

Anche solo per non alimentare la rabbia dei nemici e la stanchezza degli amici che potrebbero arrendersi prima o poi, e rassegnarsi al fatto che i governi di Israele si suicidano mostrandosi stupidi nella prosecuzione di scelte teoricamente giuste ma scellerate dal punto di vista operativo.

Israele si fermi. Permetta qualche giorno di respiro.
Se Hamas continuerà il lancio dei razzi, il mondo capirà l'eventuale ripresa dell'operazione dell'esercito.

Israele ha moltissime ragioni. Moltissime, avendo di fronte il terrorismo fondamentalista di Hamas e i suoi continui attacchi, con missili o con attentati eseguiti attraverso i tunnel che ora giustamente si tenta di distruggere.

Quindi Israele ha moltissime ragioni. Ma ora Israele si fermi.

Perché la sensazione che sta dando anche chi lo ama, non è né di sicurezza né di coraggio. Ma è quello di una scelta senza futuro. Senza futuro.

Israele si fermi!

Francesco Maria Mariotti

sabato 23 novembre 2013

La frattura che si allarga nell’Islam (laStampa.it)

(...) La realtà è ben diversa, non solo perché – dal Marocco alle Filippine – vediamo una grande varietà di modi di essere musulmani (a seconda della storia di ciascun popolo, delle particolarità culturali, delle appartenenze etniche) ma anche perché esistono, oltre alle differenze, vere e proprie fratture, di cui la più importante è la contrapposizione sunniti-sciiti. 

E’ una contrapposizione che ricorda, nella sua radicalità e ricorrente carica di violenza, quella che è esistita per secoli fra il ramo cattolico e quello protestante della cristianità. Lo scontro fra queste due diverse interpretazioni del messaggio cristiano aveva in origine radici dottrinali, teologiche, anche se ben presto si intrecciò con dimensioni politiche, dinastiche, territoriali. Nel caso dell’Islam, una religione della «ortoprassi» piuttosto che della «ortodossia», la spaccatura fu fin dall’inizio determinata non da divergenze teologiche, ma da una questione di potere: quella della successione a Maometto, che gli sciiti volevano per discendenza familiare e i sunniti secondo i tradizionali meccanismi tribali di selezione dei capi. (...)

venerdì 30 novembre 2012

La Palestina Diventa "Stato Osservatore" dell'ONU: Passo Avanti?


L'odierna decisione dell'ONU può essere valutata in diversi modi: dal punto di vista ideale è sostanzialmente corretta, e benvenuta nel momento in cui tende a voler rafforzare - in teoria - la parte moderata delle forze palestinesi, rappresentate da Abu Mazen. il problema è che in questo caso - avviene spesso, per la verità - l'orizzonte diplomatico e quello più "realpolitik" possono scontrarsi: il riconoscimento della Palestina - contravvenendo alla dimensione bilaterale degli accordi di Oslo - può legittimare un abbandono delle trattativa da parte di Israele, soprattutto se alle prossime elezioni Netanyahu uscisse vincitore; ma soprattutto è da capire se parlando di Palestina parliamo ancora effettivamente di un solo stato o se oramai in campo abbiamo due entità più o meno separate; e ancor più rilevante è capire  - in questo contesto - se la parte che si vorrebbe aiutare (Abu Mazen) è in grado di reggere un eventuale "scontro" con Hamas, o comunque in generale una "competizione" anche solo dal punto di vista politico e diplomatico. Detta brevemente: chi rappresenta effettivamente - non in termini ideali, ma in termini di concreto monopolio della forza e controllo politico, tanto per parlarci chiaro - l'interesse, le speranze, le possibilità di futuro dei palestinesi? 

Se da questo voto Abu Mazen traesse realmente la forza per "riprendere" la guida di tutto il popolo palestinese e del processo di pace, allora l'evento di oggi sarà stato un vero passo in avanti. Ma è purtroppo anche possibile uno scenario molto più confuso e conflittuale, e allora la giornata di oggi potrebbe rivelarsi una amara illusione.

Festeggiamo questo voto, e anche la capacità di muoversi del governo Monti. 
Ma i dubbi di Israele e USA non sono infondati. 
Ed è bene non illudersi sul futuro della pace.

Francesco Maria Mariotti

(segue rassegna stampa)

lunedì 19 novembre 2012

Guerra Inutile, Senza Un Nuovo Ordine


Per l'ennesima volta ci troviamo angosciati a seguire gli scenari di guerra del Medio Oriente. Per l'ennesima volta Hamas - con calcolato "azzardo" - decide di sparare razzi su Israele, tentando di colpire anche le città più importanti; per l'ennesima volta Israele reagisce come sa fare, e come ritiene giusto fare; come è giusto che faccia, da molti punti di vista.
Ma la sensazione è inevitabilmente del solito muro contro muro; della "trappola", del cunicolo di angoscia e terrore nel quale anche le giuste ragioni di Gerusalemme rischiano di infangarsi e di diventare non-ragioni, e torti. 

Perché fare una guerra male, anche se giusta - lo avete già letto spesso su questo blog - può essere peggio che non farla.
Può essere, scrivo; perché spero che le capacità tecniche, e la lucidità politica di una parte dell'establishment di Israele (più l'esercito che il governo, dal mio punto di vista) sia capace di calcolare e pazientare fino all'estremo, affinché non sia necessario passare ad atti più duri.

Ancora non è chiaro mentre scrivo (sera del 19 novembre 2012, è notizia di pochi minuti fa la telefonata di Obama a Morsi e Netanyahu) quale sarà la prossima mossa di Israele, né quelle di Hamas. L'ipotesi di tregua è importante, e sarebbe da sfruttare, ma i preparativi di Israele sembrano a uno stadio troppo avanzato per non pensare che comunque sia difficilissimo un passo indietro. Ma speriamo in novità positive.

Parlo soprattutto di Israele, non perché pensi - come altri fanno - che sia di Gerusalemme la colpa di quanto avviene; parlo soprattutto di Israele perché stato democratico, e con il quale altri stati democratici possono definire relazioni aperte, esplicite e forti, nel consenso e nel dissenso; non parlo di Hamas, perché il livello con cui si può contrattare con Hamas non appartiene - per il momento - al classico schema delle relazioni internazionali, ma si gioca quasi (quasi!) solo sui rapporti di forza; può essere giocato sul versante delle trattative separate, dei contatti informali; può - e deve, se possibile - essere giocato all'ombra. Nel patteggiamento continuo, snervante e a tratti immorale, ma inevitabile, che comunque c'è sempre, anche con il peggior nemico.

Ma non se ne esce, e non se ne uscirà, finché l'intero scacchiere medioorientale non sarà costretto a un cambiamento di posizione, che è cosa diversa - si badi - dal "semplice" cambiamento delle leadership a cui abbiamo assistito con la cosidetta primavera araba.

giovedì 15 novembre 2012

Israele - Gaza: guerra "elettorale" o messaggio all'Iran?


La guerra di Bibi può al massimo confermare gli elettori attuali, ma certamente non gli consentirà di conquistarne di nuovi. Senza contare gli aspetti veri e propri di merito militare: Hamas negli ultimi undici anni ha lanciato verso Israele qualcosa come 12.000 razzi, e l’operazione ha lo scopo dichiarato di eliminare tale capacità d’attacco. Se il governo israeliano ha ritenuto necessario colpire Hamas, lo ha fatto aspettando che terminassero le elezioni americane, per evitare eccessivi imbarazzi al nuovo presidente – chiunque egli fosse stato.
Alla fine, i motivi esteri sembrano prevalere su quelli elettorali domestici. L’operazione «Pillar of Defence» è un ballon d’essai per dare una svolta agli eventi mediorientali, e in particolare per rendere chiaro all’Iran il fatto che la condiscendenza americana verso i piani nucleari sta cambiando. C’è una prova assoluta di questo: il Dipartimento di Stato americano mercoledì ha emanato un comunicato in cui si attribuiva ad Hamas l’intera responsabilità del conflitto. Le parole esatte sono state: «Sosteniamo il diritto d’Israele di difendersi, e incoraggiamo Israele a intraprendere qualsiasi iniziativa per evitare vittime civili». Finalmente – sospirano a Gerusalemme Ovest – Obama ha preso posizione in favore d’Israele.
Leggi il resto: Stefano Casertano su Linkiesta

Evidentemente, una rappresaglia così violenta in questo momento, rende il quadro regionale ancora più teso, come se non bastasse la guerra civile siriana con il rischio che essa contagi il Libano e intacchi il già precario equilibrio giordano. Ed è appena il caso di accennare al fatto che l’omicidio di 9 persone a Gaza non potrà che costringere lo stesso Morsi ad assumere una posizione molto dura nei confronti del governo di Tel Aviv. Si tratta cioè di un vero e proprio regalo fatto alla componente più radicale dei Fratelli Musulmani (di cui Hamas è una lontana filiazione) e dei salafiti. Tutto questo proprio nel momento in cui il presidente Obama sembrava intenzionato a proseguire nella coraggiosa e cauta apertura di credito verso il regime egiziano, proprio allo scopo di concorrere alla stabilizzazione dell’intera regione. La cosa più triste, pensando alla tradizione democratica di Israele e alla straordinaria levatura morale di tanti dei suoi intellettuali, è dover prevedere che questo attacco sarà probabilmente interpretato dalle opinioni pubbliche arabe come una risposta indiretta alle «primavere» di questi due anni. Il fatto, sottolineato da tutti i commentatori, che esse avessero sostanzialmente disertato i più consueti «luoghi» dell’odio anti-israeliano, rischia di diventare solo un ricordo.

Ma c'è un precedente, anche per il tipo di operazione che l'esercito israeliano sta realizzando: l'operazione Piombo Fuso di quattro anni fa. Anche allora, l'Idf aveva intrapreso un assalto su Hamas, presentato pubblicamente come destinato a ripristinare la tranquillità a Sud. Ma anche se la pianificazione militare era stata esemplare, il campo di applicazione dell'operazione non sembrava essere stato pienamente determinato da quelli che lo avevano programmato.
L'esercito israeliano pensava di ferire Hamas o di estromettere Hamas? Lo stesso Idf non lo sapeva, perché i suoi amministratori politici - in particolare il ministro della difesa Ehud Barak - vacillavano. E mentre l'operazione si svolgeva in tre settimane d'inverno, la mancanza di chiarezza diveniva evidente, e dannosa.
Due anni prima, l’incertezza dei capi politici sugli obiettivi militari aveva avuto ripercussioni ancora più gravi nei 34 giorni della seconda guerra del Libano. Con un primo ministro inesperto come Ehud Olmert, e un non adatto ministro della difesa Amir Peretz, così un'operazione limitata si è trasformata in una vera e propria guerra, con conseguenze prevedibilmente tristi.
Barak ha detto mercoledì che gli obiettivi dell'operazione Pillar of Defense servivano a sostenere la capacità deterrente di Israele, ad attaccare le infrastrutture di lancio dei razzi, a danneggiare gravemente le cellule terroristiche di Gaza e a ridurre gli attacchi contro i cittadini di Israele. Obiettivi lodevoli, naturalmente, che la maggior parte degli israeliani avrebbe facilmente condiviso. Ma piuttosto vaghi, troppo.
Leggi il resto: La saggezza di Israele sarà capire quando fermarsi

giovedì 13 ottobre 2011

Rassegna stampa: l'accordo Israele - Hamas per la liberazione di Gilad Shalit


(...) Dunque, la mera cronaca ci dimostra che nei fatti Israele ha spesso trattato con i terroristi per riportare a casa dei soldati rapiti, vivi o morti. Anche se questo significava rafforzare i suoi nemici e cedere ad accordi sbilanciati. Resta da chiedersi il perché. La spiegazione forse è più semplice di quanto non si potrebbe pensare. In un Paese dove le amministrazioni, il governo e i sindacati godono di una stima bassa, l’esercito non è visto come un’istituzione, ma come il cuore della società, senza distinzione tra destra e sinistra.
Tutti in Israele hanno qualcuno nell’esercito: un figlio, una figlia, un marito riservista, o tutte e tre le cose. Per tutti, dai soldati alle loro famiglie, è fondamentale sapere che il governo farebbe qualsiasi cosa per riportarli a casa, vivi o morti. Il governo non ha scelta: se abbandonasse i propri soldati, anche per una causa teoricamente giusta come non cedere ai ricatti, crollerebbe l’intero sistema.
La determinazione a non abbandonare mai i soldati, vivi o morti, è la forza del sistema-Israele e insieme una debolezza che i suoi nemici sanno sfruttare.