sabato 24 maggio 2014

TTIP: Deregulation Selvaggia O Possibilità Di Progresso?

Se ne discute molto, ma senza continuità, e come al solito si rischia di semplificare molto il discorso, e di ridurre la cosa a un sì/no troppo generali. 

Sto parlando del TTIP, dell'accordo di libero scambio che si sta discutendo fra Stati Uniti e Unione europea. In gioco non sono tanto le tariffe doganali, ma una più ampia armonizzazione della regolamentazione del mercato, che significherebbe di fatto creare un'area unitaria fra Usa e Europa.

Tutto questo crea timori, credo in parte giustificati, in parte no; molto comprensibili, comunque, soprattutto dopo alcune vicende (Datagate), che hanno fatto percepire una eccessiva spregiudicatezza degli Stati Uniti rispetto all'osservanza di limiti e leggi nei confronti degli alleati europei. L'idea di "armonizzare" le norme rischia di sembrare un "abbattere" le norme, e i dubbi non vanno sottovalutati. 

Proprio i fautori dell'accordo dovrebbero per primi comprendere che è essenziale "accompagnare" questo cambiamento con un consenso che deve essere diffuso, razionale, confortato da conoscenza dell'argomento.
Dobbiamo andare più in profondità e trasparenza sugli accordi che si stanno perfezionando. 

Il TTIP è una grande opportunità, e il libero scambio non è un arrendersi alle multinazionali; ma perché questa paura non diventi prevalente, e perché questi accordi funzionino veramente da volano di progresso, la politica non deve scomparire, ma integrare, accompagnare, gestire dove è possibile. 

Difendere quel che è giusto difendere (per esempio il nostro approccio al problema privacy), ma saper accompgnare l'apertura quando necessaria.

Di seguito qualche articolo (purtroppo quasi tutti non recentissimi) per tentare di capire meglio. (Ringrazio Alessandro Zunino per la segnalazione dell'articolo di Libération)

Francesco Maria Mariotti

(...) Il cuore del trattato è l’armonizzazione normativa e regolamentare, che potrebbe diventare un possibile modello per altri futuri accordi commerciali.

Una ricerca indipendente (seppure finanziata dalla Commissione europea) parla di benefici pari a quasi 200 miliardi di euro. In realtà, considerato che l’impatto economico, soprattutto in Europa, è difficilmente valutabile, ad oggi l’unica certezza è che gli Stati Uniti e l’Unione Europea diventerebbero un solo grande mercato. Tutti gli aspetti relativi a regolamentazione e supply chain verrebbero unificati, con vantaggi immediati per le aziende capaci di sfruttare efficacemente le neonate economie di scala – a cominciare dalle grandi multinazionali, che infatti sono tra i maggiori sostenitori dell’accordo.

Gli ostacoli negoziali da superare sono enormi e non tutti di carattere economico: il clima di sfiducia reciproca causato dal datagate ne è un ottimo esempio. Le conseguenze dello scandalo sembrano aver intaccato profondamente i rapporti di fiducia tra UE e Stati Uniti, e hanno già rallentato il passo dei negoziati nella fase iniziale.

Alla diffidenza da parte delle élites politiche europee nei confronti degli Stati Uniti si somma lo scarso sostegno – o perfino la crescente opposizione – di un’opinione pubblica confusa da un accordo i cui contorni non sono ancora ben definiti. Ad oggi, tre sono i nodi più complicati nell’ambito delle trattative: la clausola relativa alla protezione degli investimenti, la protezione dei dati personali dei cittadini europei, e la commercializzazione di prodotti agricoli e i relativi standard di sicurezza alimentare (che si riflettono sull'infinita diatriba sugli OGM e la carne americana).

La clausola di protezione degli investimenti (investor-state dispute settlement, ISDS), permetterà agli investitori privati di citare in giudizio i governi nazionali presso una corte d’arbitrato, nel caso in cui gli investitori ritengano che nuove leggi locali minaccino i loro investimenti. Una clausola controversa che ad oggi ha scatenato proteste su entrambe le sponde dell’oceano, sia da parte della società civile che di molti governi europei. A livello politico, il maggiore oppositore è il governo tedesco, il quale ritiene il ricorso a corti esterne (di fatto aggirando le giurisdizioni nazionali) un attacco inaccettabile alla sua sovranità.(...)


(...) Le obiezioni alla TTIP che provengono dalla Francia possono raggrupparsi in tre grandi categorie. Per cominciare – ed è una critica mossa anche da giornali liberali e vicini al mondo imprenditoriale come Les Echos – si dubita fortemente che l'accordo porti i benefici promessi dalla Commissione europea. Secondo questa visione, una volta messa in opera la Partnership, effettivamente il volume di scambi transatlantico potrebbe aumentare; ma in assenza di una robusta crescita del reddito e dunque della domanda individuale, ciò avverrebbe a discapito di flussi commerciali già esistenti.

In particolare, considerando che la Cina è attualmente tra i principali partner economici di tutti i paesi europei, il vero risultato dell'accordo tra Bruxelles e Washington sarebbe quello di alzare una barriera commerciale nei confronti di Pechino – grazie al nuovo quadro normativo comune, al quale le merci cinesi si adatterebbero con maggiore difficoltà. Non è un segreto che, parallelamente a questi negoziati, sia Stati Uniti che Unione Europea siano impegnati nella stipula di ulteriori accordi commerciali con paesi terzi, tutti accomunati dalla stessa caratteristica: abbandonano la prospettiva del consenso multilaterale a livello globale in favore di quella bilaterale (o “multi-bilaterale”), con l'obiettivo primario di escludere la Cina.

La seconda obiezione riflette ormai una sorta di condivisione di alcune delle critiche francesi da parte di altri paesi europei: si tratta degli strascichi del caso datagate, cioè la scoperta dello spionaggio sistematico condotto da parte dell'Agenzia nazionale per la sicurezza americana (NSA) con la collaborazione di alcune imprese di alta tecnologia, ai danni del mondo politico e industriale europeo. A seguito dello scandalo, molti paesi tra cui la Germania hanno completamente modificato il loro atteggiamento nei confronti del processo negoziale: questo di fatto è ora bloccato a un livello superficiale, senza che i temi più importanti vengano davvero toccati. Ancora a inizio febbraio, la ministra francese del Commercio estero Nicole Bricq, in occasione della visita di Hollande negli USA, era costretta a promettere alla sua controparte che si sarebbe cominciato "presto" a fare sul serio.

Ecco perché per molti analisti francesi in realtà la TTIP è "nata morta". Inoltre, si fa notare come la segretezza dei negoziati abbia sollevato forti perplessità anche nell'opinione pubblica americana, e che il Congresso abbia negato al presidente Barack Obama una "corsia preferenziale" che avrebbe permesso un'approvazione più rapida. Quindi, sapendo che ormai è impossibile rispettare la scadenza di fine 2014, si considera probabile anche uno sforamento della scadenza di fine 2015: un ritardo, questo, che sarebbe decisivo – con esiti imprevedibili – in quanto coinciderebbe anche con la fine dell'attuale amministrazione Obama.

Infine, un elemento ha contribuito più di altri a suscitare la contrarietà dell'opinione pubblica, dei sindacati e delle associazioni non governative – nonché di molti governi: la previsione di un tribunale arbitrale a cui le imprese potrebbero ricorrere qualora ritenessero che gli Stati non rispettino i principi del libero scambio contenuti nell'accordo. Secondo questo punto di vista, un tale organo di giustizia consegnerebbe nelle mani delle multinazionali le chiavi della legislazione europea sul lavoro e l'industria, ed esporrebbe gli Stati al rischio di dover versare enormi risarcimenti.(...)


Depuis lundi, à Arlington, en Virginie, en face de Washington, les négociateurs européens, emmenés par Ignacio Garcia Bercero, et américains, dirigés par Dan Mullaney, se retrouvent pour une nouvelle semaine de pourparlers. C’est la cinquième fois que les deux délégations se réunissent depuis l’ouverture, en juillet 2013, des négociations du Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) ou Partenariat Transatlantique pour le Commerce et l’Investissement (PTCI) qui vise à créer un marché commun euro-américains où les biens, les services et les capitaux circuleront sans entrave.
Cet accord de libre-échange dit de « nouvelle génération », voulu par la Commission européenne et son président, José Manuel Durao Barroso, mais aussi par les vingt-huit États membres, est de plus en plus contesté par la société civile européenne, mais aussi par une partie de la classe politique. Ainsi, la levée de boucliers en Allemagne contre l’instauration d’un tribunal arbitral - qui permettra aux entreprises de poursuivre les États si elles estiment que le TTIP n’est pas respecté (lire l'excellent article de Chritian Losson) - a contraint l’exécutif européen à suspendre, le 21 janvier, les discussions sur ce point, le temps de mener une « consultation publique » qui lui permettra de prendre la température des opposants. Elles ne reprendront qu’en juin, au lendemain des élections européennes du 25 mai…

(...)These companies (along with hundreds of others) are using the investor-state dispute rules embedded in trade treaties signed by the countries they are suing. The rules are enforced by panels which have none of the safeguards we expect in our own courts. The hearings are held in secret. The judges are corporate lawyers, many of whom work for companies of the kind whose cases they hear. Citizens and communities affected by their decisions have no legal standing. There is no right of appeal on the merits of the case. Yet they can overthrow the sovereignty of parliaments and the rulings of supreme courts.
You don't believe it? Here's what one of the judges on these tribunals says about his work. "When I wake up at night and think about arbitration, it never ceases to amaze me that sovereign states have agreed to investment arbitration at all ... Three private individuals are entrusted with the power to review, without any restriction or appeal procedure, all actions of the government, all decisions of the courts, and all laws and regulations emanating from parliament."
There are no corresponding rights for citizens. We can't use these tribunals to demand better protections from corporate greed. As theDemocracy Centre says, this is "a privatised justice system for global corporations".(...)

(...) I have never had Monbiot down as an ungenerous character, but to ignore all of this in favour of blowing up a controversy around one small part of the negotiations, known as investor protection, seems to me positively Scrooge-like. Investor protection is a standard part of free-trade agreements – it was designed to support businesses investing in countries where the rule of law is unpredictable, to say the least. Clearly the US falls in a somewhat different category and those clauses will need to be negotiated carefully to avoid any pitfalls – but to dismiss the whole deal because of one comparatively minor element of it would be lunacy.
This talk of shadowy corporations is all the more misleading given that, in my view, the deal's advantages will prove to be far more noticeable for smaller enterprises than for larger corporations. This is because the most important task for the regulators will be to establish that where a car part or a cake or a beauty product has been tested as safe in the EU, the US will allow its import without requiring a whole new series of similar-but-slightly different tests – and vice versa. This is not about reducing safety levels. It is simply common sense. Would any of us on holiday in the US decline to hire that all-American SUV, or say no to that unfeasibly enormous vat of fizzy pop on the grounds that the regulations "are not the same as the EU's"?
And while it is of course true to say that these changes will help big business, it is also true to say that big business often has a vested interest in overly complex regulation. They can afford armies of staff to satisfy reams of regulation, but their smaller rivals cannot and so are squeezed out. So while leftwing radicals can attempt to skew the facts, it's my view that the TTIP is much more a deal for the small widget maker from the West Midlands than it is for the multinational corporate giant.(...)

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