(...) La Cina già controlla aspetti fondamentali dell’economia del pianeta. Il suo appetito insaziabile per materie prime sta trasformando (in meglio) Paesi quali l’Australia e il Brasile, la Mongolia e l’Angola. Gli investimenti di aziende e banche cinesi stanno aiutando l’Africa a combattere secoli di oppressione e problemi economici. Non ci sono molti paralleli storici per l’impatto della Cina sul resto del mondo: un Paese in via di sviluppo che muove mercati mondiali e cambia la realtà economica di interi continenti.
Non è un caso che il successo di Pechino stia creando tensioni politiche, soprattutto con il Giappone, un’altra potenza economica in declino che un tempo aveva ambizioni di egemonia regionale in Asia.
Ma sarebbe un errore dare gli Usa per spacciati. Nonostante i fallimenti degli ultimi anni e una seria crisi di leadership politica nella Casa Bianca e nel Congresso, l’America possiede risorse uniche. E non parlo solo di petrolio e gas a fratturazione idraulica che stanno alimentando una nuova rivoluzione industriale in parti del Paese.
Mi riferisco più alle «energie capitaliste» di un Paese che ha fatto del rinnovo la sua raison d’être. La lista dei vantaggi dell’America sul resto del mondo è lunga: dai mercati finanziari all’industria dell’intrattenimento di Hollywood, dagli imprenditori della tecnologia all’esercito di immigrati pronti a tutto per prendersi un pezzetto del sogno americano.
L’influenza degli Stati Uniti sul resto del mondo è più grande persino dell’economia Usa e né la Cina, né l’Europa possono pensare di contrastarla nei prossimi anni.
Nell’autostrada dell’economia, i sorpassi sono più difficili che nelle ampie tangenziali di Pechino.
In Cina si discute ancora del primato, o meno, mondiale, mentre l’economia nazionale si contrae, preoccupando la leadership e gli investitori. Il Global Times, giornale del Partito in inglese, in un editoriale ha scritto che «l’idea che l'economia cinese possa essere prima al mondo, non è una sciocchezza, ma non riflette quanto pensano i cinesi».
Al di là dell’affidabilità dei dati e soprattutto dei parametri (usati ad esempio dal report della banca mondiale che avrebbe annunciato il sorpasso cinese sugli Usa) i cinesi tengono un atteggiamento piuttosto di basso profilo al riguardo. Come ha riportato il Wall Street Journal, anche la Xinhua, l’agenzia ufficiale cinese, ha spiegato che il PPP (acronimo del potere d’acquisto) «è di secondaria importanza, dal momento che la Cina continua a rimanere molto indietro rispetto agli Stati Uniti economicamente. Il suo PIL pro capite, per esempio, è a meno di un settimo di quello statunitense. Questo paese ha percorso una lunga strada, ha detto l'agenzia. Ma rimane - innegabilmente - un paese in via di sviluppo con troppe gatte da pelare».
Le ragioni di questo atteggiamento sono molte chiare: innanzitutto è vero che in Cina esistono ancora ampie zone di povertà e in via di sviluppo, inoltre la politica estera ed economica della Cina ha sempre puntato tutto sulla considerazione di essere ancora un «paese in via di sviluppo», in termini di concessioni su tutta una serie di argomenti, a cominciare dai parametri ambientali, ad esempio.
Il sorpasso della Cina sugli Stati Uniti nel 2014, per quanto riguarda il Prodotto interno lordo (Pil) a parità di potere d’acquisto è un evento economico epocale ma si tratta di un sorpasso a metà.
Epocale perché era dal 1872 che gli Usa, che in quell’anno superarono la Gran Bretagna, detenevano il primato del “fatturato”, della ricchezza prodotta da una singola nazione che identifichiamo come Pil. Ma è ancora presto per parlare della fine di un’era, quella del dollaro.
Innanzitutto perché si parla ancora di stime, anche se si tratta di quelle autorevoli dell’International Comparison Program della Banca Mondiale (pdf completo del rapporto). Stime in cui gli ultimi dati ufficiali sono del 2011 e dicono che il Pil cinese era arrivato all’87% di quello americano. Nel 2005, anno dell’ultimo rapporto dell’Icp, era al 43%. Partendo da questo progresso e dal fatto che dal 2011 al 2014 la Cina è cresciuta del 24% mentre gli Usa del 7,6%, gli economisti hanno rivisto le loro previsioni, che portavano comunque a un sorpasso cinese, ma nel 2019. Il primato cinese dovrebbe arrivare così in anticipo di cinque anni.
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