giovedì 22 maggio 2014

La Libia Verso Il Baratro

Un generale anti-islamico, l’ombra dell’Egitto e lo spettro di un’altra guerra per procura fra le nazioni arabe: questa è la Libia teatro del blitz militare di Khalifa Haftar, già oppositore di Gheddafi, contro le milizie di Bengasi. Haftar viene dai ranghi dell’esercito del colonnello Muammar Gheddafi, circa 25 anni fa guidò in Ciad una fallita insurrezione contro Tripoli e negli ultimi anni ha vissuto da esule in Virginia, tornando in patria solo dopo il cambio di regime. Haftar viene dalla Cirenaica ed è questa origine che lo trasforma in un leader militare credibile perché sono i legami, personali e di clan, con tribù e caserme di Bengasi, che gli hanno consentito di prendere l’iniziativa e dare l’assalto - venerdì scorso - alla città-roccaforte degli islamici.
 La sfida di Haftar alle milizie jihadiste è netta, dichiarata, a viso aperto evocando quanto avvenuto in Egitto da parte dei militari di Abdel Fattah Al-Sisi contro i Fratelli Musulmani di Mohammed Morsi. Più volte, nelle ultime 72 ore, i colonnelli di Haftar hanno paragonato i jihadisti della Cirenaica ai Fratelli Musulmani e ciò rafforza l’impressione di una riedizione libica della svolta anti-islamica avvenuta in Egitto nel 2013. Sul fronte opposto ad Haftar c’è il traballante governo di Tripoli che si è trovato obbligato a fare appello alle milizie islamiche per difendersi dal generale ribelle. La contrapposizione fra Tripoli e Haftar sta producendo conseguenze a pioggia: quella più recente è nell’annuncio del governo di indire elezioni parlamentari il 25 giugno - le prime dal rovesciamento di Gheddafi - ma ciò che più conta sono le reazioni in atto nelle capitali arabe, ognuna delle quali segue un cammino differente.

L’ex colonnello libico che ha provocato il caos a Bengasi si chiama Khalifa Haftar. Il suo potere e la sua influenza in quella zona sono così forti che l’esercito libico – che in parte gli si oppone, anche se alcuni generali sono passati dalla sua parte – ha dovuto imporre una no-fly zone sopra la città, per evitare che le sue forze paramilitari usassero mezzi aerei per colpire i miliziani islamisti. Domenica Haftar ha anche annunciato di avere attaccato il Parlamento di Tripoli e di averne sospeso le attività. Haftar si è detto interessato a competere per la presidenza: un ruolo rimasto vacante dalla fine della rivoluzione libica, in attesa dell’approvazione di una nuova Costituzione.
La situazione in Libia è per certi versi incredibile e unica. Per dare un’idea: prima dell’annuncio della data delle prossime elezioni, i parlamentari libici si sono incontrati in un hotel il cui indirizzo avrebbe dovuto rimanere segreto. Sull’hotel poco dopo sono caduti dei missili (non ci sono stati feriti). Intanto la situazione sul campo rimane molto caotica. Le milizie alleate all’ex colonnello Hafter si sono posizionate sulla strada che porta verso l’aeroporto di Tripoli, che si trova poco più a sud della capitale; le milizie islamiste provenienti da Misurata, altra città libica nella quale in passato ci sono stati diversi incidenti e violenze, si sono posizionate invece nei pressi di Tripoli, e secondo il Wall Street Journal sarebbero intenzionate a entrare in città. La situazione a Bengasi rimane invece molto confusa, e non è chiaro chi comanda cosa.

Nato in Kuwait da genitori indiani poi immigrati negli Stati Uniti, Currun ha ottenuto due anni fa un Master alla Erasmus University di Rotterdam con una tesi sulla pirateria somala, tema di cui non ha mai smesso di occuparsi (di recente un suo articolo è apparso sul New York Times). La vita accademica, però, non fa per lui. Agile, alto, con un fisico da atleta e capelli corti scurissimi, Curran ha lo spirito del ribelle e i modi impeccabili di un signore d’altri tempi. Dopo un periodo in India e a Chicago, ha deciso di tornare alla sua passione per i diritti umani in Africa e ora guida un team di quattro persone e una ventina di volontari nel cuore di Tripoli. Il suo gruppo documenta gli abusi commessi nel passato e nel presente, e offre assistenza alle vittime. Almeno diecimila persone sono scomparse dopo la rivoluzione, e il compito di questi volontari è scoprire che ne è stato di loro: un lavoro talmente delicato, che la sede dell’Organizzazione è segreta.
 «La cosa più complessa in queste ore è distinguere i fatti dalla finzione», mi dice Currun al telefono da Tripoli in una delle nostre recenti conversazioni. «La situazione è tesa. Ci sono stati un’ottantina di morti nel fine settimana, e diverse centinaia di feriti. Gli analisti fanno scenari, ma è impossibile capire fino in fondo quali siano le motivazioni di questi eserciti e le loro alleanze future». Il nuovo uomo forte, il generale Haftar, ha promesso al Paese di metter fine all’insicurezza, soprattutto nell’Est del Paese. «La situazione a Bengasi è fuori controllo. Avvocati, medici, professionisti vengono trucidati con la scusa del collaborazionismo col passato regime, ma sono vendette private». La Libia di oggi è un Paese allo stremo, in preda al terrore. Non stupisce che Haftar abbia un certo sostegno nella popolazione.

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