Nel centenario della prima guerra mondiale può essere utile prendere in mano uno dei tanti saggi usciti in libreria per "celebrare" storicamente l'evento. E' un testo agevole e veloce da leggere, quello di Emilio Gentile, professore emerito di Roma LaSapienza (Due colpi di pistola, dieci milioni di morti, la fine del mondo, Storia illustrata della Grande Guerra, Ed. Laterza, pp.228+XII), e in questo senso è consigliabile per chi - come tanti di noi, immagino - non ha moltissimo tempo per studiare e approfondire su testi più corposi e densi.
Il saggio di Gentile, a partire dall'utilizzo intelligente e ricco di immagini, rappresenta un'immersione in quello che può apparirci realmente come un altro mondo, ad uno sguardo disattento, ma che mentre scorriamo le pagine capiamo essere "nostro", rappresentare concretamente quelle "radici" del "secolo breve" che abbiamo vissuto in parte, e che ancora in realtà sembra condizionare il nostro cammino.
Mentre scrivo penso allo sguardo perso di una donna che tiene per mano un bambino, in una fotografia (n.22, pp.54-55) di profughi belgi ad Anversa, in fuga dall'occupazione tedesca. Noi oggi vediamo altri visi, altri popoli che fuggono; ieri eravamo noi; e forse lo siamo stati anche di recente (penso alla guerra in ex Jugoslavia); non ci rendiamo veramente più conto di quale sia stata la forza di chi ha costruito l'Europa unita per evitare che dovessimo andare spersi, con un sacco di biancheria e cose, come l'uomo con la bicicletta (chissà, forse il marito della donna?). E dietro altri e altre, tanti. Sempre troppi.
L'avrei messo nella copertina, quel viso bello e disperato. Ma queste son cose di sentimenti, e le mettiamo - per ora - da parte.
Per suggerire una traccia di lettura, possiamo partire dalla interessante e rapida descrizione dell'attentato all'arciduca Francesco Ferdinando (prologo, pp.3-8), indicativo comunque di quanto il "caso" (il fato, qualcuno direbbe) ha parte nella cosiddetta Grande Storia (Princip aveva rinunciato, in un primo momento, pensando ad un fallimento del complotto che aveva organizzato con i compagni dell'associazione nazionalista "Giovane Bosnia"; poi un fatale errore dell'autista dell'arciduca riporta l'attentatore al suo disegno).
Ed è ben spiegata - anche se inevitabilmente poco approfondita, essendo un saggio divulgativo - la dinamica che porta un'Europa teoricamente già molto interconnessa ("La preservazione della pace, nella centenaria tradizione del "concerto europeo", appariva ancora possibile in un continente dove gli Stati (...) erano monarchie legate fra di loro da vincoli di parentela.", p.33) a scivolare in una guerra tragica e spaventosa; dinamiche anche difficili da comprendere; o meglio: il "ragionamento" di ogni singolo Stato viene ben spiegato da Gentile, ma - con quel "senno di poi" che ci oscura a volte la comprensione della storia - restiamo basiti a vedere come non si sia riusciti a "frenare", a tentare un'altra strada. Difficile giudicare, ma anche impossibile non giudicare.
E' importante notare - per tentare di comprendere - come la percezione della guerra fosse molto diversa da quella che abbiamo noi, che in qualche modo abbiamo "introiettato" proprio la durissima lezione di due guerre mondiali (e forse ora le abbiamo "rimosse", ma sarebbe un discorso lungo...): "C'era un altro motivo che fece accettare come inevitabile una guerra evitabile: la convinzione che la guerra fosse un fenomeno ricorrente nella vita dell'umanità.(...) In effetti, nonostante i propositi e le dichiarazioni a favore della pace, i governanti che diedero inizio al conflitto europeo condividevano una concezione etica della guerra, elaborata nel corso dell'Ottocento e largamente diffusa nella cultura, sia nei paesi democratici che nei paesi autoritari (...)" (p.37).
Capire questo nodo "etico" è fondamentale io credo, sia per comprendere, appunto, come si sia potuto andare verso il vuoto senza frenare. Ma anche - e forse soprattutto - per capire se anche noi stiamo percorrendo un sentiero simile, magari senza accorgercene (anche se è sempre un'illusione che la storia possa essere maestra di vita, forse sono anche altre le dinamiche che in ultimo governano gli uomini, animali cosiddetti "razionali"...).
Molto interessante, con lo sguardo rivolto anche all'oggi, è il richiamo del contrasto fra la concezione della guerra "classica", come primato della "virtù eroica" degli uomini che la combattevano, e l'impatto delle nuove armi e della potenza di nuove tecnologie di battaglia ("il primato spettava non alla potenza delle armi bensì alla forza del carattere dei combattenti, alla loro disciplina, alla loro energia morale, alla loro volontà e determinazione di distruggere il nemico", p.19).
In questo senso la figura di Cadorna ci appare simbolica di un mondo che non capisce la sua fine, che non la vede; e per il quale perciò la sconfitta è inevitabile, nella resa dei conti con la realtà (pp.88 e ss; e poi pp.137 e ss. su Caporetto). Questa "distonia" forse dice qualcosa anche di noi? per esempio: forse c'è ancora la dialettica "guerra tecnologica"/"guerra d'onore" in un mondo di guerre asimmetriche, globalizzate ma al tempo stesso molto localistiche?
Nel sesto capitolo - "La nuova guerra", pp.91-115, Gentile esamina tutti gli aspetti che irrompono in un'Europa che si apre tragicamente al nuovo secolo, con nuove tecnologie belliche, appunto, ma anche - paradosso della modernità, che emancipa mentre distrugge - chiamando le donne in "prima linea" nel lavoro (pp.101 e ss, stupenda la foto 49 di p.102, raffigurante donne operaie in una fabbrica di armamenti): la società - come sempre? - viene costretta a "superare" i suoi valori mentre li declama nella retorica ufficiale ("Nello stesso tempo, tuttavia, la propaganda patriottica continuava ad esaltare l'immagine tradizionale della donna(...)", p.104).
La Grande Guerra è stata anche la prova generale di tutto quello che abbiamo visto nel XX secolo: la ricerca del nemico interno (pp.106-109, dove viene ricordato anche il genocidio armeno), la demonizzazione del nemico quasi come in una guerra di religione (pp.109-115); il fenomeno della militarizzazione della politica, che è fondamento per il fascismo venturo: "Ciò che caratterizzò queste aggregazioni paramilitari nazionaliste fu l'adozione del cameratismo delle trincee come esperienza vissuta di una nuova identità comunitaria, assunta a modello di una coesione nazionale, fondata sul mito della Grande Guerra come fattore di rigenerazione della politica e della società" (p.185).
E infine, anche la cessazione delle ostilità, come il loro inizio, sembra arrivare inaspettata ("La fine imprevista" è il titolo del capitolo dedicato alle fasi ultime del conflitto, pp.149-156).
Si riemerge perciò dalla lettura di questo libro con più interrogativi di quanti si avevano in principio; si è intimoriti dal fatto che un continente che celebrava la prosperità si sia "suicidato" in una avventura senza ritorno: perché è avvenuto? possiamo rispondere?
Dovremmo rispondere, in teoria; ma non riusciamo totalmente.
Nella conclusione di questo bel saggio (che forse ha l'unico limite di non avere un apparato di note che potrebbe aiutare, in alcuni punti), Gentile riporta le considerazioni di John Keegan, a cui lascio idealmente la parola per chiudere, perché ci dicono un po' di questo senso di smarrimento, di fronte a tanto orrore, mischiato - nel fango - a tanto coraggio:
"(...) "tutta la prima guerra mondiale è misteriosa. Sono misteriose sia le sue origini che il suo svolgimento"(...) "Come riuscirono milioni di anonimi, miserabili senza distinzione, uniformemente privati di qualsiasi briciolo di gloria che rende tradizionalmente tollerabile la vita di un uomo sotto le armi, a trovare la determinazione per sostenere la lotta e credere nei suoi scopi? Che lo fecero è una delle verità inconfutabili della grande guerra.(...) Uomini che la trincea avvicinò fino alla massima intimità arrivarono a legami di mutua dipendenza e di sacrificio di sé, più forti che in qualsiasi amicizia nel tempo di pace o di periodi più fortunati. Questo è l'ultimo mistero della prima guerra mondiale. Se riusciamo a capire il suo amore, insieme al suo odio, saremo più vicini alla comprensione del mistero della vita umana" (...)" (pp.217-218)
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