Fra pochissimo l'Argentina potrebbe di nuovo tornare sulle nostre prime pagine come protagonista negativa di una crisi finanziaria. La speranza è che si trovi una soluzione alternativa che riesca a convincere i creditori che non avevano aderito a precedenti soluzioni e che hanno ottenuto da un tribunale americano sentenza favorevole a un pagamento immediato dei debiti (in un articolo del Sole si ipotizzava un accordo extragiudiziario).
Al di là dei passaggi tecnici, di nuovo appare sulla scena il timore di un default per il paese sudamericano.
E per noi? Lo spettro del default - sia pure per dinamiche diverse da quelle argentine - è cosa superata?
Sì e no, mi pare il caso di dire, da inesperto: sì, potremmo dire che un rischio specifico per l'Italia come "sorvegliato speciale" si sia molto ridotto; no, perché in realtà il problema della compatibilità fra gestione del debito pubblico e scenari politici accettabili per le democrazie occidentali, rimane aperto, per noi e per tutta l'Europa.
Ne parla ampiamente il sempre interessante Mario Seminerio in un articolo che propongo alla lettura.
Ritorna il problema di un'azione più incisiva della Banca Centrale Europea? Ma allora è necessario che l'Europa decida di essere qualcosa di diverso.
Sarebbe meglio fare passi in avanti prima di arrivare ancora sul ciglio del burrone.
FMM
(...) In Eurozona, oltre al credit crunch bancario, abbiamo un eccesso di debito privato che di fatto non è ancora neppure stato scalfito. Anzi, la profondità della recessione ha messo pressione a questi rapporti di indebitamento. Ad esempio, il debito privato portoghese, in percentuale del Pil, è passato dal 226,4% del 2009 al 220,4% di fine 2013. E’ evidente che, con simili numeri, cercare crescita è puramente velleitario. Non solo: sempre in modalità “è nato prima l’uovo o la gallina?”, l’alto rapporto di indebitamento contribuisce a tenere depressa la crescita, che a sua volta mette pressione al rialzo all’indebitamento medesimo, almeno sin quando non si giunge al punto di rottura e scoppiano i default, personali ed aziendali.
Che a loro volta impattano pesantemente sui conti pubblici. Il tutto viene ulteriormente amplificato dalle pressioni disinflazionistiche/ deflazionistiche necessarie al processo di aggiustamento europeo. Secondo Münchau (ed anche secondo il buonsenso), il rischio che si giunga a default per evitare sollevazioni popolari ed esiti elettorali “irrazionali” è destinato a crescere.
Da qui tutte le trasformazioni al quadro istituzionale che stiamo vivendo in Europa, prima fra tutte la nuova “regola del cerino” sulla risoluzione delle banche in dissesto:
«Non sono sicuro che gli investitori comprendano. Né sembrano comprendere le implicazioni della recente legislazione Ue, che stabilisce una nuova gerarchia di chi paga quanto ed in quale ordine quando una banca fallisce. Quando la casa di debito crolla, sono loro [gli investitori], non i contribuenti, ad essere i primi della lista»
Noi aggiungiamo che le banche centrali potranno (anzi, dovranno) sempre più intervenire in modo non convenzionale per evitare cataclismi, e questo finirà col valere anche per la Bce. Con buona pace dell’ortodossia tedesca.
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