Tra giovedì 12 e venerdì 13 giugno la situazione in Iraq è peggiorata ulteriormente, con una nuova avanzata dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) – gruppo estremista sunnita che opera sia in Iraq che in Siria – in direzione della capitale Baghdad. L’ISIS ha preso il controllo di due città nella provincia di Diyala, poco più a est di Baghdad, e ha compiuto diverse esecuzioni pubbliche a Mosul, capoluogo della provincia di Ninawa, città conquistata negli ultimi giorni.
All’improvvisa e violenta offensiva dell’ISIS si è aggiunta una reazione intensa dei soldati curdi “Peshmerga”, che rispondono al governo regionale del Kurdistan iracheno, una regione che da tempo vuole separarsi dal resto dell’Iraq: i curdi hanno conquistato la città di Kirkuk – capoluogo della provincia di Kirkuk, a circa 250 chilometri a nord di Baghdad – sfruttando la debolezza del governo iracheno causata dall’offensiva dell’ISIS. E infine all’ISIS e ai curdi si sono aggiunti anche gli sciiti, il gruppo minoritario dell’islam (ma maggioritario in Iraq) a cui appartiene anche il primo ministro iracheno Nuri al-Maliki. Venerdì, di fronte alle difficoltà dell’esercito iracheno a confrontarsi con le recenti minacce, migliaia di combattenti sciiti si sono diretti verso Samarra, città a circa 110 chilometri a nord di Baghdad finita sotto il controllo dell’ISIS nella notte tra giovedì e venerdì. (...)
"(...) Non manderemo truppe in Iraq" ma offriremo ulteriore aiuto. Lo afferma il presidente americano, Barack Obama. "Le forze di sicurezza irachene - ha continuato - purtroppo hanno dimostrato di non essere capaci di difendere alcune città. E il popolo iracheno è ora in pericolo". Obama ha aggiunto: "Fondamentalmente il futuro dell'Iraq dipende dagli iracheni. Proseguiremo con un'intensa azione diplomatica nella regione". Il presidente Usa ha detto che la linea di politica estera degli Stati Uniti resta quella di combinare "azioni militari mirate" se necessario con "lo sforzo insieme alla comunità internazionale" per risolvere le crisi insieme e ricorrendo alla diplomazia.
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