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martedì 17 agosto 2021

Afghanistan. Non arrendersi all'oggi

È una sconfitta gravissima. 

Ma non è la "fine" del (cosiddetto) Occidente. 

Non intrappoliamoci in continue Apocalissi. 

La politica continua 

#Afghanistan

venerdì 17 gennaio 2014

Kabul, attacco kamikaze in zona diplomatica (da Corriere.it)

Un commando di militanti armati, fra cui almeno un kamikaze ha attaccato stasera il ristorante libanese Taverna a Kabul, causando almeno 13 morti fra cittadini afghani e stranieri. Lo ha reso noto il capo della polizia di Kabul, generale Zahir Zahir. Dopo l’esplosione nel locale, si sono svolti scontri a fuoco per circa 20 minuti in cui è stata coinvolta la polizia. La Farnesina, tramite l’Unità di crisi, sta verificando se ci siano italiani coinvolti nell’attentato. Era l’ora di cena e il ristorante è uno dei più frequentato dagli stranieri che lavorano e vivono nelle vicine ambasciate. (...)

venerdì 27 dicembre 2013

L’arte della guerra nell’era dei contractor (da RivistaStudio)

«Difficile è il passo sul filo tagliente di un rasoio: così i saggi dicono che è ardua la via della salvezza». È un brano della Katha Upanishad, una delle più antiche scritture hindu, detta anche “La Morte come Maestra”. È citato in apertura del romanzo di Somerset Maugham Il filo del rasoio.
Sei sempre sul filo del rasoio parlando o scrivendo di coloro che agiscono nell’underworld o nel mondo del Grande Gioco globale. Poco a poco non distingui vero, falso, verosimile. Alla fine scopri che tutto può esserlo al tempo stesso. Dipende dal mondo in cui ti ritrovi, dalla storia che leggi o vivi.
In questo caso il primo passo sul filo si compie con un libro da poco uscito:Civilian Warriors: The Inside Story of Blackwater and the Unsung Heroes of the War on Terror. È la storia della Blackwater, società di PMC, private military contracting, il più potente esercito mercenario. È stato scritto da Erik Prince, l’uomo che nel 1997 ha fondato la società con un capitale di sei milioni di dollari e l’ha rivenduta nel 2010 dopo aver guadagnato circa due miliardi. È la “My Way” di Prince, che si era incamminato sul filo del rasoio militando nei Navy SEAL e quindi aveva deciso di investire il suo patrimonio «per servire Dio, la famiglia e gli Stati Uniti». Creando «lo strumento definitivo nella guerra al terrore».(...)

Sicurezza Europea - Non vedo, non sento, non parlo (da AffarInternazionali)

(...) Se a tutto questo aggiungiamo i grandi mutamenti strategici globali, della crescita della potenza cinese, anch’essa apparentemente orientata in senso fortemente nazionalista, al crescente orientamento della strategia americana verso il Pacifico, è a dir poco strano che gli europei non sembrino dedicare alcuna seria attenzione ai problemi della difesa e della sicurezza internazionale.

Eppure, malgrado numerosi esercizi sia in sede Nato (l’elaborazione di svariati “nuovi” concetti strategici) che nazionale (alcuni Libri Bianchi e altri documenti più o meno analoghi), non si è aperto alcun grande dibattito.

La riprova è nella mancanza di direzione strategica della politica estera, di sicurezza e di difesa dell’Ue, che pure era al centro dell’ultima revisione dei Trattati varata a Lisbona.

Sono state create alcune strutture operative, inclusi un “servizio di azione esterna”, una “agenzia di difesa europea”, svariati “battlegroups” e altre forme di cooperazione, sono state intraprese numerose missioni di gestione delle crisi, sia civili che militari, ci si è impegnati nei Balcani e in Afghanistan, tuttavia non si è tentato di rivedere, aggiornare e approfondire l’unico documento strategico approvato dal Consiglio Europeo il 12 dicembre del 2003, che va sotto il titolo di Strategia di sicurezza europea, ovvero “Un’Europa sicura in un mondo migliore”.

Global strategy

Quel documento presentava l’Ue come un attore globale pronto a condividere la responsabilità della sicurezza internazionale e della costruzione di un sistema di governo globale.

Nessuno ha mai rinnegato esplicitamente tali ambizioni, ma nessuno ha mai neanche tentato di renderle operative. Di più, ogni volta che è apparsa evidente la necessità di riprendere in mano quel documento per aggiornarlo, identificare le priorità strategiche e approntare i mezzi e le metodologie necessarie per applicare tale strategia di sicurezza, i paesi membri hanno rifiutato di farlo.

Ora però, il progressivo declino delle capacità militari europee e l’aggravarsi dello scenario globale, in particolare nelle regioni attorno all’Ue rendono la cosa più urgente e necessaria.

L’ottimismo che consentiva di iniziare il documento del 2003 con la frase “l’Europa non è mai stata tanto prospera, tanto sicura e tanto libera” non è più replicabile oggi.

Ma se gli europei continueranno a nascondersi all’evidenza, nessuna politica di sicurezza e difesa comune sarà realmente possibile e il quadro strategico europeo continuerà a degradarsi. 

giovedì 28 novembre 2013

Afghanistan, terra di scontro tra Cina e America (da Linkiesta.it)

(...) Non ci sono dubbi, però, sul fatto che l’Asia centrale sia già uno dei campi principali del confronto tra le due maggiori economie del pianeta, Cina e Stati Uniti. È sufficiente guardare ai progetti energetici. Da una parte la pipeline che i cinesi vogliono costruire fino al porto pakistano di Gwadar, dall’altra la "nuova via della seta" che gli americani intendono mettere in piedi per trasferire il gas turkmeno verso l’India. Solo mantenendo una forte presenza militare in Afghanistan gli americani potrebbero tenere a bada i cinesi, che stanno mettendo in campo il loro peso economico e con grande pragmatismo strizzano l’occhio a tutti, talebani compresi.
Già negli anni Novanta, dopo la presa del potere da parte degli studenti coranici, la Cina aveva avviato contatti con il mullah Omar. Il timore principale di Pechino era che l’Afghanistan talebano diventasse una base operativa per i separatisti uiguri dello Xinjiang - una regione della Cina occidentale - turcomanni e di religione islamica. Anche dopo l’intervento della Nato a Kabul, i cinesi, pur conservando buoni rapporti con Karzai, hanno mantenuto un canale di comunicazione con la shura di Quetta, un gruppo di talebani afghani del vicino Pakistan. Adesso che anche gli americani, in vista del ritiro, hanno avviato contatti coi taliban - sebbene i primi tentativi di intesa, in Qatar, si siano immediatamente arenati - l’attivismo cinese si è fatto più intenso.
Probabilmente anche al Dragone non converrebbe il prevalere della cosiddetta “opzione zero”, che porterebbe gli Stati Uniti a mollare del tutto gli ormeggi, come in Iraq. Ciò che interessa primariamente alla Cina è la stabilità, l’ordine, premessa necessaria per il business. Se a questo provvedono gli americani, tanto meglio. Ma Pechino vuole essere preparata ad ogni evenienza. Il focus è sempre orientato sulle risorse minerarie afghane, necessarie per continuare ad alimentare il motore dell’economia più dinamica del G-20.(...)

mercoledì 20 novembre 2013

Dall'Afghanistan alle megalopoli, la guerriglia futura sarà urbana (da ilSole24Ore)

I conflitti del futuro si svolgeranno nelle realtà urbane e non più in realtà rurali o sui monti deserti come quelli di Tora Bora in Afghanistan o della Sierra Maestra cubana. Le rivolte passeranno da piazza Tahrir al Cairo, come è avvenuto per le Primavere arabe, alle povere periferie di Rio de Janeiro in Brasile, agli slums di Lagos in Nigeria, a Bengasi in Libia, cioè nelle città più popolose del paese sotto scacco. «Un modello terzomondista di rivolta che verrà esportato presto in Occidente», spiega David Kilcullen, il "guru" dell'intelligence america in visita a Roma (...)

Nel caso delle rivolte arabe si è potuto notare, ad esempio in Egitto, un uso massicio dei social media, di occupazione di zone centrali dell'area urbana come piazza Tahrir, la funzione di tifosi di squadre di calcio, divenuti, in alcuni episodi, elementi di rivolte sociali. La sua teoria si chiama «del controllo competitivo», per cui la popolazione richiede stabilità e lo Stato deve essere in grado di fornirla sfidando l'offerta "concorrenziale" di quella di altri gruppi politici, terroristici come al-Qaeda o di gang deliquenziali come in Giamaica, che lo sfidano. Quando un'organizzazione, statale o non, riesce a fornire un'alternativa alla domanda di stabilità e sicurezza, questo è il momento dove il rovesciamento degli equilibri di forza è possibile. (...)

di Vittorio Da Rold - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/kl53c

martedì 19 novembre 2013

Usa-Afghanistan, vicino l’accordo per la permanenza delle truppe (da laStampa.it)

I governi di Stati Uniti e Afghanistan hanno raggiunto un accordo che punta a facilitare la permanenza di contingenti ridotti di truppe all’indomani del ritiro delle forze alleate nel 2014. 

A darne la notizia sono stati alti funzionari di entrambi i Paesi, secondo i quali gli Stati Uniti avrebbero accettato di condurre blitz «contro abitazioni afghane» solo in “circostanze straordinarie” e, inoltre, il presidente Barack Obama scriverà una formale lettera al leader afghano Hamid Karzai per scusarsi con gli afghani, ammettendo gli «errori commessi» in operazioni che hanno causato vittime civili. (...)

martedì 4 dicembre 2012

Cartolina da Bakwa (Diario da Herat)


Bakwa è un luogo remoto dell'Afghanistan sud-occidentale dove vivono diverse migliaia di persone, sparpagliate in una miriade di villaggi che sorgono in lande desertiche ai piedi di montagne basse e aguzze. È un distretto tra i più poveri della regione ma anche tra i più suggestivi. E pericolosi, perché qui trovano rifugio numerose bande armate di fuorilegge e perchè è il crocevia dei traffici legali e illegali diretti dall'Helmand verso il confine iraniano.  
  
È a Bakwa che il nostro Esercito due anni fa ha schierato la Task Force South East, costruendo un argine per limitare le infiltrazioni da sud di insorti e criminali. È dalla base operativa avanzata 'Lavaredo' (così battezzata dagli Alpini del 7^ reggimento di Belluno che la inaugurarono) che i nostri escono in pattuglia tutti i giorni insieme alle forze afghane, lungo itinerari a tratti costellati di trappole esplosive. È il posto dove un mese fa è morto in combattimento l'alpino Tiziano Chierotti, e altri prima di lui.  (...)


venerdì 9 novembre 2012

Cosa E' Successo In Afghanistan?


Propongo di seguito un articolo del Foglio e un'ulteriore riflessione del Sole24Ore a proposito della morte dell'alpino Chierotti. Personalmente sarei cauto, prima di definire il comportamento dei vertici dell'esercito e del governo come "reticente" o "scarsamente affidabile": sono molti gli elementi che possono aver fatto propendere per un atteggiamento di prudenza nel "racconto" di quanto avvenuto.

Come già scrivevo due anni fa (vd. post più sotto), il problema di fondo è la difficoltà politica di gestire una "sporca guerra" che non deve apparire troppo sporca, e che in teoria dovrebbe veder vicina la sua conclusione. Una "doppiezza" che accompagna la missione in Afghanistan fin dal suo sorgere, e che sembra essere una costante degli interventi "umanitari" - o analoghi - che hanno segnato lo stile della politica estera occidentale. 

Sarebbe urgente comunque - al di là di questo specifico episodio - riprendere in mano il dossier afghano e in generale l'impianto complessivo della nostra politica estera; se la crisi economica rischia di portarci da un lato a una "fuga" poco razionale dall'impegno all'estero, l'alternativa non può essere nel silenzio sui fatti (per evitare problemi) o nel farsi dirigere dall'emergenza di turno (per raccogliere un plauso momentaneo), ma in un discorso pubblico sempre più consapevole e maturo, il meno possibile "doppio" e "ambiguo"

Il meno possibile, ho scritto: perché comunque sempre - per il bene degli stati e soprattutto delle democrazie - il discorso pubblico sulla guerra è ambivalente e in parte nascosto. Il peggior nemico della trasparenza democratica è l'idolatria del "nessun segreto", che nessuna comunità umana, in realtà, può sopportare.

Francesco Maria Mariotti

lunedì 29 ottobre 2012

Ventisette a Uno (Diario da Herat, laStampa)

E’ il risultato della partita che dallo scorso mese si gioca continuamente tra le bombe rudimentali piazzate dagli insorti lungo le strade dell’Afghanistan occidentale e i genieri italiani che quotidianamente lottano contro il pericolo pubblico numero uno, quello che colpisce all’improvviso quando ci passi sopra, senza discriminare tra militari e civili. 
Ventisette disinneschi contro una sola esplosione a terra, che ha soltanto danneggiato uno dei blindati Cougar in dotazione proprio ai team del genio che precedono e accompagnano tutte le pattuglie che le forze di sicurezza afghane e i nostri militari mettono in campo ogni giorno. (...)


venerdì 26 ottobre 2012

Un altro Alpino del ‘Doi’ andato avanti in terra di Afghanistan. (dal Blog Diario da Herat de laStampa)

Riporto il post di cordoglio per la morte del caporale Chierotti, apparso sul blog gestito sul sito de laStampa "Diario da Herat". Il link permanente a questo blog lo trovate qui sopra, fra le "pagine suggerite", in modo che possiate sempre averlo facilmente a disposizione.
FMM


Un altro Alpino del ‘Doi’ andato avanti in terra di Afghanistan.

MAGGIORE MARIO RENNA - COMANDO BRIGATA ALPINA TAURINENSE
  
Il caporale Tiziano Chierotti, 24 anni, di San Remo, è caduto in un conflitto a fuoco con gli insorti a Bakwa, dove da due mesi opera il 2° reggimento Alpini.  
  
“Un ragazzo d’oro”, racconta un sottufficiale che lo conosceva bene ed è venuto a trovarmi subito dopo la notizia per dirmelo, con gli occhi asciutti ma tristissimi. “Corretto. Puntuale. Preciso”. Un bel tipo di Alpino, aggiungo io. Dotato anche di tanto coraggio. Quello che serve per salire a bordo dei Lince e uscire tutti i giorni di pattuglia per assicurare un po’ di libertà e di benessere a chi non ha conosciuto altro che guerra, come il popolo afghano. 
Oggi gli Alpini di Cuneo erano usciti insieme ai militari afghani per andare in un villaggio, incontrare la popolazione, controllare le strade. Una missione costante, portata avanti con sacrificio. Poche settimane fa un’operazione della polizia locale si era conclusa con l’arresto di quattro insorti, grazie all’aiuto degli Alpini. E nell’ultimo mese era calato il numero di ordigni esplosivi ritrovati e distrutti dai genieri alpini del 32°. Segni incoraggianti.  
Oggi brutte notizie, invece, da Bakwa. Oltre al caporale Chierotti sono rimasti feriti altri tre Alpini, fortunatamente in modo non così grave. Il ‘Doi’ reagirà. Ha lo spirito della ‘Cuneense’ dentro.(...)

giovedì 25 ottobre 2012

Afghanistan, muore un alpino italiano, altri tre soldati sono rimasti feriti (Corriere.it)

Un alpino italiano, il caporale Tiziano Chierotti, è rimasto ucciso, e altri tre sono stati feriti, in uno scontro a fuoco giovedì in Afghanistan. Lo ha reso noto lo Stato maggiore della Difesa. Questo il bilancio di un episodio avvenuto nella provincia di Farah tra gli insorti e una pattuglia italiana. Gli altri tre soldati non sarebbero in pericolo di vita e sono ricoverati all'ospedale militare di Farah.
LE 52 VITTIME - Chierotti, colpito all'addome, era apparso subito in condizioni molto gravi. Nato a San Remo, e residente ad Arma di Taggia, sempre in provincia di Imperia, aveva da poco compiuto 24 anni. Si tratta del 52esimo soldato italiano morto sul campo dall'inizio della missione in Afghanistan, e del sesto dall'inizio del 2012. A febbraio erano caduti il caporal maggiore capo Francesco Currò, di Messina, il primo caporal maggiore Francesco Paolo Messineo, di Palermo, e il caporal maggiore Luca Valente, di Gagliano del Capo (Lecce). A marzo era toccato al sergente maggiore Michele Silvestri, romano, e a giugno a un altro salentino, il carabiniere scelto Manuele Braj. Il più «anziano» tra loro aveva 33 anni. Inoltre, il 13 gennaio scorso era morto sempre in Afghanistan il tenente colonnello Giovanni Gallo, 43 anni, colpito da un malore. (...)

venerdì 28 ottobre 2011

Donne In Guerra


(...) «Dobbiamo perquisire le donne sotto i burqa, entrare nelle case e nelle camere dove si trovano per cercare nascondigli di armi, e interrogarle per ottenere informazioni sui taleban». Poiché in Afghanistan il 71 per cento della popolazione è composto da donne e bambini, ciò significa che le due donne commando assegnate a ogni unità delle truppe speciali partecipano a pieno titolo ad azioni e perquisizioni, affrontandone i rischi conseguenti. Ashley White faceva parte del secondo gruppo di donne combattenti ed era stata assegnata a un «Support Team» di due donne aggregato a un’unità di 12 Rangers. Sabato notte era appena entrata in un villaggio nei pressi di Kandahar quando l’esplosione di un ordigno-trappola lasciato dai taleban l’ha uccisa, assieme a due compagni. (...) Maurizio Molinari racconta della prima donna soldato Usa morta in combattimento, in Afghanistan


Per quanto si possa declinare pienamente la parità uomo - donna, il limite della guerra risulta in qualche modo insuperabile, difficile da accettare in tutto e per tutto. Anche se forse è sbagliato, poiché è forte - e violenta - la donna come l'uomo, e non dobbiamo rimuovere questo aspetto, anche se può andare in conflitto con le nostre visioni. 


Eppure, diciamo così, fa effetto, scusate l'espressione semplice. 
Come può essere bello vedere la donna in divisa, tenere insieme forza, eleganza, anche sensualità, tanto può essere orribile pensarla distrutta da una bomba, violentata da un nemico, sfregiata nella sua femminilità. La differenza con l'uomo c'è, mi pare impossibile negarlo.


Nessuna nostalgia di separazioni, ma quasi un monito, un segnale, un po' imperscrutabile. 
O forse nettissimo: ormai non c'è più limite. Forse non c'è mai stato, e semplicemente oggi lo si vede in maniera dannatamente più chiara, e non possiamo più nasconderci nelle forme della separatezza per poter custodire la grazia femminile. 


Che c'è, però, ed è distinta, è cosa "altra" dallo stile maschile, ed è cosa "altra" forse anche dalla donna che la incarna. 
E' segno del divino, da sempre.


Onore al soldato Ashley White, morta combattendo.

giovedì 9 giugno 2011

La guerra costa. Ci tocca scegliere

L'ottimo articolo di Mario Deaglio di ieri va letto per vari motivi, prima di tutto per la sfida che pone a una politica che - approfittando dei fallimenti del mercato - torna a occupare un posto in prima fila nella vita delle comunità. 
Per quanto riguarda i temi di questo blog invece mi preme sottolineare un brevissimo passaggio: "(...) E’ inevitabile che molte missioni militari all’estero debbano essere terminate. (...)".

Da qualche tempo ormai, si alternano voci e analisi che indicano un ripensamento complessivo del nostro impegno internazionale, (ma non vale solo per l'Italia). Probabilmente questo è inevitabile, perché è evidente che fare la guerra costa. Quindi nessuno scandalo se le necessità finanziarie ci spingono a rivedere il nostro ruolo internazionale. Certo è però che un "ritiro" da alcuni scenari è una operazione quanto mai delicata (anche per le ricadute sulla nostra credibilità internazionale), e andrebbe gestita con prudenza, senza dichiarazioni avventate, senza fasi interlocutorie troppo lunghe, ma anche senza fretta.

Importante è anche sapere che - per dirla in una battuta - il nemico ascolta: beninteso, i terroristi, i talebani in Afghanistan, o Hezbollah in LIbano non seguono certo la nostra rassegna stampa quotidiana, ma le "vibrazioni" della politica italiana e occidentale, e soprattutto eventuali "ipotesi di lavoro concrete" rilevano - evidentemente o "sotto traccia" - in ambasciate, università, convegni, contatti di intelligence. Punti, luoghi che sono sicuramente "sotto osservazione".

Da questo punto di vista, anche il recente attentato contro i nostri soldati in Libano può essere letto come "test" per capire se la comunità internazionale "tiene" la posizione, o se il nervosismo sale. Nel secondo caso si accresce la probabilità di un'intensificazione degli attacchi, per tentare di "convincerci" che sarebbe bene abbandonare quella missione.
Se proprio dobbiamo scegliere, dunque, meglio essere netti e mostrare al mondo le nostre priorità: chiudiamo l'inutile guerra in Libia, ridiscutiamo i tempi dell'Afghanistanma rimaniamo in Libano.
Francesco Maria Mariotti