Propongo di seguito un articolo del Foglio e un'ulteriore riflessione del Sole24Ore a proposito della morte dell'alpino Chierotti. Personalmente sarei cauto, prima di definire il comportamento dei vertici dell'esercito e del governo come "reticente" o "scarsamente affidabile": sono molti gli elementi che possono aver fatto propendere per un atteggiamento di prudenza nel "racconto" di quanto avvenuto.
Come già scrivevo due anni fa (vd. post più sotto), il problema di fondo è la difficoltà politica di gestire una "sporca guerra" che non deve apparire troppo sporca, e che in teoria dovrebbe veder vicina la sua conclusione. Una "doppiezza" che accompagna la missione in Afghanistan fin dal suo sorgere, e che sembra essere una costante degli interventi "umanitari" - o analoghi - che hanno segnato lo stile della politica estera occidentale.
Sarebbe urgente comunque - al di là di questo specifico episodio - riprendere in mano il dossier afghano e in generale l'impianto complessivo della nostra politica estera; se la crisi economica rischia di portarci da un lato a una "fuga" poco razionale dall'impegno all'estero, l'alternativa non può essere nel silenzio sui fatti (per evitare problemi) o nel farsi dirigere dall'emergenza di turno (per raccogliere un plauso momentaneo), ma in un discorso pubblico sempre più consapevole e maturo, il meno possibile "doppio" e "ambiguo".
Il meno possibile, ho scritto: perché comunque sempre - per il bene degli stati e soprattutto delle democrazie - il discorso pubblico sulla guerra è ambivalente e in parte nascosto. Il peggior nemico della trasparenza democratica è l'idolatria del "nessun segreto", che nessuna comunità umana, in realtà, può sopportare.
Francesco Maria Mariotti