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sabato 25 febbraio 2012

Una diversità virtuosa (Mario Deaglio, la Stampa)

(...) Gli italiani non sembrano resistere con tagli «orizzontali» che toccano ogni tipo di prodotti, ma reagiscono, modellando i consumi sul reddito. Sembra così di intravedere un comportamento «attivo», quasi un riappropriarsi di facoltà di scelta, di decisioni che per vari decenni gli italiani, come i cittadini degli altri Paesi ricchi, avevano delegato di fatto ai pubblicitari. Il termine «frugalità», reintrodotto nel vocabolario americano quattro anni fa per indicare un atteggiamento responsabile rispetto ai beni, ha forse trovato la sua strada anche in Italia. Tale atteggiamento sembra far capolino anche nelle scelte lavorative, con casi recenti, da seguire con attenzione, di ritorno degli italiani verso occupazioni e mestieri fino a pochissimo tempo fa «snobbati» e lasciati agli immigrati.

L’Italia che uscirà dalla crisi - che ha probabilmente toccato il picco a gennaio e febbraio, anche per motivi meteorologici, con il freddo che limitava l’offerta degli alimentari freschi e teneva i consumatori lontani dai luoghi dell’acquisto - sarà probabilmente diversa, più responsabile, più reattiva dell’Italia che vi è entrata, quasi senza accorgersene e dopo averne negato a lungo l’esistenza. Potrà sembrare una piccola cosa, ma è proprio su questa diversità di atteggiamento che occorre costruire, se questo Paese vuole avere un futuro.

mercoledì 7 dicembre 2011

Serve un freno al potere delle agenzie, di Mario Deaglio (laStampa)

(...) Complotto o non complotto, è giunto il momento di finirla. Se vogliono che l’Europa abbia un futuro, i leader di Francia e Germania che stanno preparando il vertice dell’8-9 dicembre, nel quale sarà progettato, forse con apposite nuove istituzioni, il continente di qui a dieci-vent’anni, non possono permettere che qualcuno li faccia danzare come burattini. Eppure, in questo momento, pressoché tutto il continente è costretto a fare manovre di bilancio sicuramente necessarie ma che avrebbero potuto essere più diluite nel tempo, evitando disagi e sofferenze, sostanzialmente perché lo impongono Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch.

Un’Europa essenzialmente fondata sulla moneta e sui mercati - visto che ha rinunciato a basarsi sui valori - non può nascere se non si sottopongono non solo la moneta ma anche i mercati, a cominciare da quelli finanziari, a regole severe. Le agenzie di rating dovrebbero essere costrette alla periodicità delle analisi e alla regolarità degli annunci e le loro valutazioni dovrebbero limitarsi a parametri finanziari; e qualora non rispettassero queste regole potrebbero essere multate e dovrebbe essere loro impedito di agire. La funzione di valutazione dei titoli potrebbe anche essere affidata a enti pubblici internazionali, come il Fondo Monetario, proprio perché si tratta soprattutto di una funzione pubblica.

Occorre muoversi rapidamente in questa direzione per evitare che il mercato mangi se stesso. Dopo essersi mangiato l’Europa.

martedì 15 novembre 2011

Rapporto Einaudi (Sole 24 Ore)

(...) Il professor Deaglio ha illustrato alla stampa il Rapporto con il pensiero rivolto al presidente del Consiglio incaricato Mario Monti, affermando che il compito che attende il nuovo Governo sarà tutt'altro che facile e soprattutto che non basterà tagliare, ma bisognerà dare all'economia «anche un po' di ricostituente». Le risorse andranno trovate stando attenti a non colpire né i consumi, né gli investimenti: «Per esempio ci sono prodotti finanziari che non hanno contenuti italiani, come gli hedge fund», ha detto Deaglio, secondo cui «La strada per la ripresa dovrebbe passare anche attraverso il prelievo sui patrimoni» (...) di Piero Fornara - Il Sole 24 Ore

giovedì 9 giugno 2011

La guerra costa. Ci tocca scegliere

L'ottimo articolo di Mario Deaglio di ieri va letto per vari motivi, prima di tutto per la sfida che pone a una politica che - approfittando dei fallimenti del mercato - torna a occupare un posto in prima fila nella vita delle comunità. 
Per quanto riguarda i temi di questo blog invece mi preme sottolineare un brevissimo passaggio: "(...) E’ inevitabile che molte missioni militari all’estero debbano essere terminate. (...)".

Da qualche tempo ormai, si alternano voci e analisi che indicano un ripensamento complessivo del nostro impegno internazionale, (ma non vale solo per l'Italia). Probabilmente questo è inevitabile, perché è evidente che fare la guerra costa. Quindi nessuno scandalo se le necessità finanziarie ci spingono a rivedere il nostro ruolo internazionale. Certo è però che un "ritiro" da alcuni scenari è una operazione quanto mai delicata (anche per le ricadute sulla nostra credibilità internazionale), e andrebbe gestita con prudenza, senza dichiarazioni avventate, senza fasi interlocutorie troppo lunghe, ma anche senza fretta.

Importante è anche sapere che - per dirla in una battuta - il nemico ascolta: beninteso, i terroristi, i talebani in Afghanistan, o Hezbollah in LIbano non seguono certo la nostra rassegna stampa quotidiana, ma le "vibrazioni" della politica italiana e occidentale, e soprattutto eventuali "ipotesi di lavoro concrete" rilevano - evidentemente o "sotto traccia" - in ambasciate, università, convegni, contatti di intelligence. Punti, luoghi che sono sicuramente "sotto osservazione".

Da questo punto di vista, anche il recente attentato contro i nostri soldati in Libano può essere letto come "test" per capire se la comunità internazionale "tiene" la posizione, o se il nervosismo sale. Nel secondo caso si accresce la probabilità di un'intensificazione degli attacchi, per tentare di "convincerci" che sarebbe bene abbandonare quella missione.
Se proprio dobbiamo scegliere, dunque, meglio essere netti e mostrare al mondo le nostre priorità: chiudiamo l'inutile guerra in Libia, ridiscutiamo i tempi dell'Afghanistanma rimaniamo in Libano.
Francesco Maria Mariotti