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venerdì 13 gennaio 2012

Politica e Mercati, La Tensione Deve Continuare


Regolamentare eccessivamente i mercati o mettere in qualche modo (come?) sotto controllo le agenzie di rating sono ipotesi di lavoro non necessariamente efficaci, anche se sono indicatrici di un bisogno di stabilità e di sicurezza che la politica deve far riacquistare alla collettività: in questo senso il braccio di ferro fra mercati e politica deve mantenersi "in tensione"

Certo, se continuasse per troppo tempo l'incertezza delle valutazioni finanziarie, e l'Europa non si risollevasse, sarebbero probabili reazioni inquietanti, di stampo nazionalista. E si tenterebbe di mettere in scena lo scenario opposto: il controllo della politica sui mercati, impresa da una parte impossibile, dall'altra molto pericolosa, per la libertà e la crescita economica nostre e delle future generazioni.

Siamo ancora lontani dal trovare il "giusto equilibrio" di questa tensione (anche per il semplice fatto che tale "equilibrio ideale" non esiste), ma non dobbiamo spaventarci per quello che vediamo in azione oggi. 

L'Europa è in marcia; se non demorderà dal suo percorso di integrazione, se non abbandonerà nessuno dei suoi paesi al suo destino, e se lancerà agli Stati Uniti prima e poi alla stessa Cina, la sfida di una effettiva governance sui temi globali; ebbene, non ci sarà rating che tenga.

Francesco Maria Mariotti

mercoledì 7 dicembre 2011

Serve un freno al potere delle agenzie, di Mario Deaglio (laStampa)

(...) Complotto o non complotto, è giunto il momento di finirla. Se vogliono che l’Europa abbia un futuro, i leader di Francia e Germania che stanno preparando il vertice dell’8-9 dicembre, nel quale sarà progettato, forse con apposite nuove istituzioni, il continente di qui a dieci-vent’anni, non possono permettere che qualcuno li faccia danzare come burattini. Eppure, in questo momento, pressoché tutto il continente è costretto a fare manovre di bilancio sicuramente necessarie ma che avrebbero potuto essere più diluite nel tempo, evitando disagi e sofferenze, sostanzialmente perché lo impongono Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch.

Un’Europa essenzialmente fondata sulla moneta e sui mercati - visto che ha rinunciato a basarsi sui valori - non può nascere se non si sottopongono non solo la moneta ma anche i mercati, a cominciare da quelli finanziari, a regole severe. Le agenzie di rating dovrebbero essere costrette alla periodicità delle analisi e alla regolarità degli annunci e le loro valutazioni dovrebbero limitarsi a parametri finanziari; e qualora non rispettassero queste regole potrebbero essere multate e dovrebbe essere loro impedito di agire. La funzione di valutazione dei titoli potrebbe anche essere affidata a enti pubblici internazionali, come il Fondo Monetario, proprio perché si tratta soprattutto di una funzione pubblica.

Occorre muoversi rapidamente in questa direzione per evitare che il mercato mangi se stesso. Dopo essersi mangiato l’Europa.

venerdì 11 novembre 2011

"Stato e mercato oltre la crisi" (Mario Monti)

Nel giorno in cui Mario Monti inizia la sua attività di Senatore segnalo nuovamente uno degli articoli che l'ex Commissario UE ha scritto per il Corriere, perché mi pare il più denso di segnali di cui tenere conto per quella operazione di ricostruzione di cui ha bisogno questo paese, al di là degli estremismi intellettuali di chi sogna un ritorno allo Stato eccessivamente regolatore e/o salvatore di imprese, e quello opposto di chi vede un mercato totalmente libero, totalmente autoregolamentato, e "disincarnato" dalle comunità in cui si muove, ambedue visioni quanto mai pericolose, oggi. Con Mario Monti dobbiamo tentare di difendere (in Italia sarebbe meglio dire "di implementare realmente") un'economia sociale di mercato, che tenga insieme libertà di impresa e difesa della dignità della persona, anche dal punto di vista dei suoi diritti sociali, oggi inevitabilmente a rischio.

Francesco Maria Mariotti

(ps: grassetto e corsivo sono miei)
(...) Ma, nella ricerca di nuove configurazioni nell'economia sociale di mercato, sarebbe pericoloso lasciarsi guidare semplicemente dall'insofferenza verso la disciplina imposta dalle regole del bilancio pubblico o da quelle del mercato. Soprattutto, converrà tenere ben presenti tre considerazioni. In Italia, anche per il ritardato avvicinamento alla cultura del mercato, vi sono ambiti in cui il quantum di «mercato» è ancora insufficiente: o perché non è ancora stato introdotto mentre sarebbe opportuno farlo, oppure perché mercato vi è, ma insufficientemente concorrenziale o non adeguatamente vigilato. Nei confronti internazionali l'Italia è di solito tra i Paesi i cui mercati — per modalità di regolamentazione, funzionalità ed efficienza -—sono considerati ampiamente perfettibili. Nel valutare l'opportunità di un ruolo maggiore per il «pubblico», sarà necessario sostenere gli sforzi, che sono in corso, per accrescere l'impegno e l'efficienza nelle pubbliche amministrazioni ma senza dimenticare che, tuttora, la funzionalità che le caratterizza non brilla, nei confronti internazionali, per capacità di contribuire alla crescita e alla competitività del paese.

E andrà tenuto presente che «pubblico» non deve significare discrezionale e arbitrario. Sarebbe questo il modo migliore per far cadere ulteriormente l'attrattività dell'Italia come luogo di investimento da parte delle imprese internazionali. Soprattutto, è essenziale evitare che un maggiore «volontarismo» dei pubblici poteri, in sé lodevole, si traduca in interventi tali da creare una confusione dei ruoli tra Stato e mercato, tra politica e imprese. Fu proprio tale confusione di ruoli, soprattutto negli anni ’70 e ’80, a ledere il potenziale di crescita dell'economia italiana, a sprofondarla negli squilibri finanziari, a mettere in dubbio la sua capacità di far parte pienamente dell'Europa.