Nel giorno in cui Mario Monti inizia la sua attività di Senatore segnalo nuovamente uno degli articoli che l'ex Commissario UE ha scritto per il Corriere, perché mi pare il più denso di segnali di cui tenere conto per quella operazione di ricostruzione di cui ha bisogno questo paese, al di là degli estremismi intellettuali di chi sogna un ritorno allo Stato eccessivamente regolatore e/o salvatore di imprese, e quello opposto di chi vede un mercato totalmente libero, totalmente autoregolamentato, e "disincarnato" dalle comunità in cui si muove, ambedue visioni quanto mai pericolose, oggi. Con Mario Monti dobbiamo tentare di difendere (in Italia sarebbe meglio dire "di implementare realmente") un'economia sociale di mercato, che tenga insieme libertà di impresa e difesa della dignità della persona, anche dal punto di vista dei suoi diritti sociali, oggi inevitabilmente a rischio.
Francesco Maria Mariotti
(ps: grassetto e corsivo sono miei)
(ps: grassetto e corsivo sono miei)
(...) Ma, nella ricerca di nuove configurazioni nell'economia sociale di mercato, sarebbe pericoloso lasciarsi guidare semplicemente dall'insofferenza verso la disciplina imposta dalle regole del bilancio pubblico o da quelle del mercato. Soprattutto, converrà tenere ben presenti tre considerazioni. In Italia, anche per il ritardato avvicinamento alla cultura del mercato, vi sono ambiti in cui il quantum di «mercato» è ancora insufficiente: o perché non è ancora stato introdotto mentre sarebbe opportuno farlo, oppure perché mercato vi è, ma insufficientemente concorrenziale o non adeguatamente vigilato. Nei confronti internazionali l'Italia è di solito tra i Paesi i cui mercati — per modalità di regolamentazione, funzionalità ed efficienza -—sono considerati ampiamente perfettibili. Nel valutare l'opportunità di un ruolo maggiore per il «pubblico», sarà necessario sostenere gli sforzi, che sono in corso, per accrescere l'impegno e l'efficienza nelle pubbliche amministrazioni ma senza dimenticare che, tuttora, la funzionalità che le caratterizza non brilla, nei confronti internazionali, per capacità di contribuire alla crescita e alla competitività del paese.
E andrà tenuto presente che «pubblico» non deve significare discrezionale e arbitrario. Sarebbe questo il modo migliore per far cadere ulteriormente l'attrattività dell'Italia come luogo di investimento da parte delle imprese internazionali. Soprattutto, è essenziale evitare che un maggiore «volontarismo» dei pubblici poteri, in sé lodevole, si traduca in interventi tali da creare una confusione dei ruoli tra Stato e mercato, tra politica e imprese. Fu proprio tale confusione di ruoli, soprattutto negli anni ’70 e ’80, a ledere il potenziale di crescita dell'economia italiana, a sprofondarla negli squilibri finanziari, a mettere in dubbio la sua capacità di far parte pienamente dell'Europa.
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