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venerdì 23 marzo 2012

La TAV è più importante dell'articolo 18

E' troppo presto, ora, per formulare giudizi definitivi sul "pacchetto lavoro" del governo Monti. Sono già stati segnalati i limiti di alcuni provvedimenti (vd. per esempio Boeri-Garibaldi su Repubblica), ma si apre una fase importante di elaborazione parlamentare che può correggere i difetti più vistosi di questo complesso di misure.

Mi pare però importante fare alcune riflessioni "a latere":

1. governo, parti sociali e partiti sembrano essere vittima di una "febbre d'attesa" che da una parte e dall'altra è stata alimentata in queste settimane: tanto alta che il risultato di oggi (per esempio rispetto alla semplificazione delle forme contrattuali) può apparire addirittura deludente; la lezione da trarre è semplice, e può servire per il futuro, anche per non leggere in termini apocalittici la fase attuale: in una materia delicata e complessa come quella del lavoro, è impossibile - in termini materiali, politici e simbolici - fare dei passaggi straordinari, repentini e totali. Insomma: impossibile la Rivoluzione; perché troppi i rapporti in essere da discutere, perché complicata la gestione delle conseguenze. Questa di Monti e Fornero non è - perché non poteva essere - LA Riforma del lavoro; è - molto più realisticamente - un primo passo che deve essere corretto in alcuni punti, rafforzato in altri, monitorato in altri ancora. Il processo che si apre oggi, perché comunque si apre un processo riformatore, non termina fra poche settimane o pochi mesi (disegno di legge o legge delega che sia); è un impegno che dobbiamo portare aventi con spirito di "cantiere aperto" per almeno una decina d'anni. Perché i passaggi vengano fatti senza traumi, perché gli effetti di alcune scelte possano essere valutati con attenzione.

2. Come si è già scritto in altri momenti, possiamo fare il miglior diritto del lavoro possibile, ma senza crescita economica i posti di lavoro diminuiranno, o comunque si abbasserà la qualità complessiva del lavoro. Parlare di lavoro non può ridursi ad una discussione giuridica, ma deve riguardare tutto quello che concerne la vita economica di un paese , e anche la vita delle persone. Oggi è fondamentale che questo paese e questa strana comunità che è l'Europa accettino la sfida del futuro, in termini di investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, che non possono essere decise dal solo libero gioco del mercato, e che devono essere realizzate a partire da una visione strategica. Ciò non vuol dire accettare necessariamente qualsiasi grande opera venga proposta, ma certo significa che dobbiamo fare i conti su come porre mano alla "materia di base" del progresso e della ricchezza delle nostre comunità. Può essere molto più importante discutere di mobilità a livello continentale, piuttosto che difendere o attaccare un dettato giuslavoristico, per quanto importante.

3. L'Europa deve tornare protagonista, come mercato realmente unitario e senza privilegi di una o più componenti; ma soprattutto deve tornare protagonista politica anche nel braccio di ferro/alleanza (le due cose sono  in qualche modo inscindibili) con le altre potenze continentali, potenze la cui "mano pubblica" è certamente presente nel favorire lo sviluppo economico. Il rischio è che l'Europa parli di libero mercato e altre potenze difendano i loro campioni (o attacchino quelli degli altri) con mezzi che non sono certo di mercato (leggi protezionistiche, spionaggio industriale e politico, svalutazione competitiva della moneta). L'Europa deve farsi portatrice di una possibilità di regolamentare questa tensione, che è già presente, ma che troppo spesso non risulta evidente a molte nostre analisi.

Il libero mercato ha bisogno non di una politica che regoli eccessivamente, ma di una politica che combatta bene le sue proprie battaglie, creando quella infrastruttura di relazioni e regole internazionali che evidentemente oggi manca.

Francesco Maria Mariotti

mercoledì 21 dicembre 2011

Per Crescere Non Bisogna Arroccarsi (da LaStampa)


L'editoriale di Stefano Lepri apparso oggi mi pare svolga considerazioni ampiamente condivisibili: il grassetto (mio) sottolinea alcuni punti che dovremmo tenere in conto nella discussione - partita malissimo - su riforma del lavoro e articolo 18. Aggiungo altri due link: le riflessioni di Cesare Damiano sul modello danese, e una video-intervista a Pietro Ichino.

Francesco Maria 

(...) Occorrono cambiamenti profondi. Gli imprenditori dovrebbero riconoscere che una buona parte del ristagno di produttività, dopo anni di moderazione salariale, dipende da loro; oltretutto i licenziamenti, secondo l’indice Epl dell’Ocse, non sono da noi più difficili che in Germania o in Francia. I sindacati dovrebbero ammettere di non saper proporre nulla di valido per i giovani. Davvero, nella Cisl come nella Cgil, si pensa che i precari possano essere sedotti dallo slogan «un’ora di lavoro a termine pagata quanto un’ora di lavoro fisso»?


Da una parte occorre affrontare il problema dei giovani: e i sindacati devono spiegare per quali esatti motivi non gradiscono il contratto di lavoro unico che il governo Monti sta studiando, e che a molti giovani appare attraente. Per incentivarli alla sincerità, la questione dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori andrebbe momentaneamente separata. La tutela contro i licenziamenti nelle aziende sopra i 15 addetti non costituisce né un freno alla produttività né un freno alla crescita dimensionale delle imprese (lo provano i dati Istat, scrutinati a fondo dalla Banca d’Italia: nessun anomalo affollamento di imprese sotto quella soglia).


Se la materia licenziamenti va rivista, è casomai per un altro motivo. L’economia italiana deve affrontare una massiccia ristrutturazione dei processi produttivi. Sarà purtroppo necessario ridurre l’occupazione in molte aziende; un gran numero di persone dovrà spostarsi da un lavoro a un altro. Innanzitutto servirà una indennità di disoccupazione robusta ed estesa a tutti, ed è da qui che la discussione deve cominciare. Inoltre occorre dare credibili speranze che l’economia si rimetta in moto, generando posti di lavoro altrove per sostituire quelli distrutti: un pacchetto massiccio di liberalizzazioni in ogni settore darebbe il contributo migliore.(...)


Vedi anche: 


domenica 18 dicembre 2011

Riforma del lavoro? Sì, ma l'Europa deve Crescere


A proposito dell'intervista di oggi a Elsa Fornero: ho dei dubbi sulla necessità di toccare l'art.18 (si può costruire un nuovo modello di contratto senza toccarlo, a mio avviso), ma è comunque molto interessante e completa. In ogni caso rimane il fatto che senza crescita a livello continentale possiamo fare le migliori riforme del lavoro, ma avremo sempre troppa disoccupazione. L'outplacement di cui si parla in varie proposte funziona se ci sono aziende nelle quali i licenziati possono essere ricollocati. Ma se non c'è crescita, non ci saranno aziende in grado di riassorbire il personale licenziato (Si leggano in questo senso le riflessioni di Dario Di Vico sul caso Electrolux). Per questo c'è il rischio che una ottima soluzione teorica si trasformi in una situazione squilibrata, qui e ora
In questo senso c'è necessità di soluzioni a livello sistemico che il governo Monti non può fare da solo: tutta l'Europa deve muoversi.
FMM

(...) Come se ne esce? 

«Penso che un ciclo di vita che funzioni è quello che permetta ai giovani di entrare nel mercato del lavoro con un contratto vero, non precario. Ma un contratto che riconosca che sei all'inizio della vita lavorativa e quindi hai bisogno di formazione, e dove parti con una retribuzione bassa che poi salirà in relazione alla produttività. Insomma, io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto».

I sindacati non ci stanno a toccare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. 

«Sono abbastanza anziana per ricordare quello che disse una volta il leader della Cgil, Luciano Lama: "Non voglio vincere contro mia figlia". Noi, purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli. Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte». 

Monti ha detto che le nuove regole si applicheranno solo ai futuri assunti. 

«Certamente penso ci voglia maggiore gradualità nell'introduzione delle nuove regole rispetto a quanto abbiamo fatto sulle pensioni». (...)