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venerdì 13 dicembre 2013

Nessuna Tolleranza

(....) Per quello che riguarda l’ordine pubblico, noi chiediamo al governo di usare tolleranza zero, verso chi si è reso o si renderà responsabile degli atti violenti di cui abbiamo parlato, di identificare e denunciare coloro i quali hanno minacciato i cittadini nei giorni scorsi e ancora in questi, di togliere, senza più porre tempo in mezzo, i blocchi stradali che sono ancora operanti. Di identificare e denunciare chi si sia reso responsabile dell’organizzazione materiale e logistica di una così vasta rete di eventi contemporanei e di trasferimenti di persone. Chiediamo anche un contributo di conoscenza. Noi vogliamo conoscere i nomi e le organizzazioni che sono state dietro questi inaccettabili eventi. Vogliamo sapere chi c’era oltre ai legittimi manifestanti, quali gruppi, sigle, tendenze politiche. Certo la politica deve dare risposte, puntuali, rapide, significative; ma nessun lassismo, nessun attendismo, rispetto ai violenti, cambierà di un millimetro la drammatica crisi sociale che attraversiamo. La soluzione di quei problemi si trova qua dentro, in Parlamento, o non si trova; conosciamo già le scorciatoie violente della storia, e non siamo disponibili a ripeterne gli errori. Nessun ritardo per le risposte politiche dunque, ma nessuna tolleranza per la violenza, i ricatti e le squadracce che hanno messo a soqquadro per il paese.


Da tre giorni le principali città italiane, ma soprattutto Torino, sono ostaggio di una confusa rivolta. Confusa, perché raccoglie un effettivo forte disagio sociale, ma pure un trasversale ribellismo dai molti e anche ambigui colori. Confusa, perché gli obbiettivi o sono così vaghi o sono così irrealistici da apparire puri pretesti.
Pretesti per sfogare una protesta destinata a non avere risultati concreti. Confusa, perché invece di colpire i presunti «nemici del popolo», la classe politica, nazionale e locale, colpisce il popolo. Quello dei pendolari, costretti a raddoppiare la fatica di una già durissima giornata; quello dei commercianti, obbligati dalle minacce dei rivoltosi a rinunciare ai pur magri incassi prenatalizi; quello della gente comune, costretta a complicati e, in alcuni casi, perigliosi pellegrinaggi tra serrande sbarrate. Una rivolta, invece, chiarissima nel dimostrare una realtà ormai emersa in molti casi, ma mai in maniera cosi evidente: l’assenza dello Stato.

mercoledì 11 dicembre 2013

Reagire Con Forza All'Aggressione Reazionaria

Mantenere la calma in queste ore di confusione è doveroso, ma non deve significare sottovalutare cosa sta succedendo. C'è infatti un limite scritto nella sabbia, quindi difficilmente individuabile a priori, fra la tolleranza paziente del forte e la colpevole viltà del debole. 

Io temo che questo limite stiamo rischiando di passare, nel continuare a definire "comprensibili" le ragioni della protesta cosiddetta "dei forconi" e nel non reagire a metodi di protesta sempre più inaccettabili (da notare comunque che contro questi metodi violenti i cittadini comiciano a mobilitarsi, per esempio a Torino).
 
Questo paese, e in particolare le forze progressiste - a furia di gridare "al fascista" per motivi inutili o risibili - sembra aver perso la voce di fronte a quella che appare sempre di più un'aggressione reazionaria alle istituzioni democratiche.
 
Non c'è ragione che tenga, quando si minaccia chi non partecipa allo sciopero, come sta accadendo in varie parti del Paese. Il disordine che sembra segnare l'organizzazione di queste manifestazioni - e che rende più difficile la gestione da parte delle forze dell'ordine - dovrebbe anche far riflettere coloro che attaccano a pie' sospinto i sindacati confederali, che garantiscono con la loro presenza e azione la legalità degli scioperi.
 
E a chi si fa comprensibilmente toccare dai nodi reali - che ci sono, naturalmente, e segnano la vita di molte persone che manifestano - va detto chiaramente che la povertà non è mai stata - nel migliore pensiero sociale di ogni parte politica - giustificazione per ribellismi che non fanno che nuocere a qualsiasi vera ipotesi di riforma di questo Paese.
 
Non c'è molto da dire: lo Stato, il Governo, e anche questo Parlamento sono pienamente legittimati a reagire a un'aggressione grave e senza giustificazioni.  Mantenere la calma si deve e si può: ma se la pazienza rischia di sembrare viltà, non va atteso oltre.

Si sgomberino in tutti i modi possibili - con l'uso legittimo della forza che lo Stato può e deve utilizzare - le strade e le piazze di questo Paese e si ponga fine a queste inutili, dannose e pericolose forme di protesta.
 
Francesco Maria Mariotti
 
***​
 
Vita difficile per i commercianti torinesi che, nonostante le proteste in corso, in questi giorni hanno cercato di tenere aperti i negozi. Minacce, intimidazioni e insulti da parte dei manifestanti, che spesso si sono fatti prendere la mano. Come testimonia il video pubblicato ieri da Repubblica: l'episodio risale al primo pomeriggio di lunedì, nella centralissima via Garibaldi, a poca distanza da piazza Castello. Le immagini parlano da sè, ma l'HuffPost ha raggiunto Alessandro, uno dei due store manager (il ragazzo rasato sulla destra dello schermo) del negozio di abbigliamento.

Come si sono svolti i fatti?
"Quando il corteo si è sciolto, un gruppetto di persone assortite è entrato nel nostro negozio urlando e intimando a tutti di uscire. Ho cercato di calmarli, dicendo che avrei chiuso e chiedendo che mi dessero il tempo di far uscire i clienti. Ho tirato giù mezza serranda per far capire che li avrei accontentati, anche se malvolentieri. Abbiamo messo in sicurezza il personale e fatto uscire la clientela. Il mio collega Luca (è il ragazzo con i pantaloni gialli) è rimasto fuori. Allora ho fatto il giro dal portone del cortile per non lasciarlo da solo.

Si è trattato solo di qualche parola (non si sentono neanche tutte). Il problema è che loro sostenevano dei diritti sacrosanti, le loro motivazioni non le discuto assolutamente, però per difenderle hanno calpestato quello che, secondo me, è un diritto più importante: la libertà di scelta. Il nostro è solo uno dei tanti episodi. Abbiamo negozi anche nei centri commerciali e lì sono avvenuti fatti ancora più gravi di quello che è successo a noi. In alcuni casi hanno addirittura malmenato e minacciato in malo modo le commesse".

Perso il lavoro, una donna di ventotto anni si riorganizza l’esistenza e apre un negozio tutto suo, tra sacrifici e paure di non farcela. Poi arriva la settimana dei forconi e le cedo la parola: «Sono d’accordo con il motivo della protesta, ma non con il modo. Io non posso e non voglio chiudere. E non voglio che qualcuno mi obblighi a pensarla diversamente. Che io sia nel giusto o nel torto, potrò avere il mio pensiero? Oggi sono stata accerchiata da una ventina di uomini davanti al mio negozio: mi hanno spintonata e fatta cadere, mi hanno urlato che dovevo morire: “Ammazzate quella coniglia!” Quando mi sono rialzata e mi hanno detto “chiudi o ti spacchiamo tutto”, ho capito che la mia libertà di scelta era svanita. Le gambe mi tremavano e come una mamma con il suo bambino ho fatto la scelta più sicura. Ho chiuso le serrande. E chi veramente dovrebbe essere il bersaglio della protesta sarà a bere un cappuccino con i soldi pubblici».
Chissà se esiste, per l’umanità evoluta (?) del ventunesimo secolo, la possibilità di esprimere l’esasperazione senza la prevaricazione e la rabbia senza la violenza vigliacca che si accanisce contro i più deboli. L’unica alternativa plausibile l’hanno offerta domenica scorsa i tre milioni di votanti delle primarie democratiche, firmando l’ennesima cambiale in bianco alla classe dirigente. Ma è stata l’ultima. Se i politici non la onoreranno in fretta, prendendo consapevolezza dell’emergenza e rinunciando ai loro riti lenti e bizantini, come sempre nella storia l’ignavia della democrazia avrà prodotto i forconi su cui si isseranno le prossime dittature.

Si apre il terzo giorno della protesta dei Forconi e il prefetto di Torino ha ottenuto rinforzi per contrastare manifestazioni - parole sue - «uniche nel loro genere perché basate su azioni sporadiche e presidii improvvisi in diversi punti». Una città storicamente abituata a convivere con forme radicali di conflitto ieri è parsa alla mercé di manifestanti che potevano interrompere a loro piacimento qualsiasi servizio pubblico e intimidire i commercianti. Il tutto in un vuoto pneumatico, nel quale assenti la politica e le forze sociali, troppo lento nell’agire il ministro dell’Interno, il peso del confronto - persino psicologico - è stato caricato sui poliziotti. Nessuno sottovaluta ampiezza e profondità del malessere che attraversa la società e che mette in difficoltà le frange più deboli del lavoro autonomo, come i camionisti con un solo Tir o gli ambulanti, ma si ha l’impressione che le loro rivendicazioni servano come foglia di fico ai veri capi della rivolta. Sul campo è nato con il logo dei Forconi un attore sociale e politico trasversale, il cui retroterra non è chiaro e che ha aggregato di tutto, persino gli ultrà del calcio.
Un mondo politico costantemente alla ricerca di un copione da recitare non aspettava altro che strumentalizzare la protesta


Chi sono i “forconi”
Il “movimento dei forconi” è molto eterogeneo e difficile da definire con precisione. La componente principale, che ha dato origine all’iniziativa un paio di anni fa nel sud Italia, è costituita dagli autotrasportatori, cui nel tempo si sono aggiunti gruppi più o meno organizzati di agricoltori, operai, venditori dei mercati e perfino ultras delle tifoserie di calcio. La maggior parte fa riferimento a partiti e movimenti politici di estrema destra, a partire da Forza Nuova, che negli ultimi giorni ha dato il proprio sostegno alle iniziative di protesta in giro per l’Italia.

Nel caso di Torino, come racconta oggi sul Corriere della Sera Marco Imarisio, alla protesta si sono aggiunti studenti delle scuole superiori e delle università, alcune organizzazioni sindacali e militanti della sinistra antagonista. I termini e le modalità della protesta in questo caso sono ben distinti, anche se c’è il riconoscimento della capacità dei “forconi” di avere attirato l’attenzione sulla loro protesta.

Che cosa chiedono
La composizione eterogenea del “movimento dei forconi” si riflette anche sulla natura delle richieste rivolte alle istituzioni. I motivi della protesta e ciò che viene chiesto alla politica e alle amministrazioni non è del tutto chiaro. C’è di sicuro un generico “basta” applicato praticamente a tutto: ai politici viene chiesto indistintamente di lasciare i loro incarichi, al governo di dimettersi, alle amministrazioni locali di non pagare più consiglieri e assessori, a Equitalia di non effettuare più riscossioni e allo Stato in generale di non tassare più la popolazione. Manca un interlocutore unico e per questo motivo le istituzioni faticano a organizzare la loro risposta alle proteste, che hanno causato grandi disagi negli ultimi giorni.


Le parole scandite a questo giornale dal segretario del Siulp Felice Romano - "Abbiamo giurato fedeltà alla Repubblica e ai suoi cittadini, non a coloro che rappresentano temporaneamente le istituzioni. Che forse sono troppo affaccendati nelle loro questioni personali per comprendere cosa sta davvero succedendo" - sono inquietantipericolose e mi auguro che vengano quanto prima smentite innanzitutto perché solo nelle vere democrazie i politici si trovano temporaneamente ma legittimamente a rappresentare le istituzioni, altrimenti ci troveremmo in dei regimi.
E' indubbio che le forze dell'ordine di questo Paese stiano pagando, e non da un giorno, un prezzo altissimo alla crisi: uomini e donne in divisa che sono quotidianamente impegnati in contesti sempre più difficili, dall'ordine pubblico alle indagini contro la criminalità organizzata, hanno subito tagli lineari per miliardi di euro e un blocco degli stipendi che li sta impoverendo e mettendo, psicologicamente, a durissima prova.(...)

martedì 1 maggio 2012

I meriti di Monti, le speranze facili, le speranze difficili

Molte voci sembrano ripetere che l'esperienza del governo Monti stia subendo una fase di declino; cominciano a essere troppe, e mi paiono francamente un po' frettolose. Non dobbiamo certo nasconderci i limiti di un'azione che ha dovuto  fare i conti con le tensioni del paese, e le idee non sempre coerenti che segnano le proposte che piovono da una parte all'altra dello schieramento dei sostenitori (e dei contrari al governo, che comunque suggeriscono in abbondanza). Anche su questo blog si è sottolineato che rivoluzioni troppo annunciate non potevano compiersi tanto facilmente.
Ma meglio ricordare che:
1. l'Italia oggi non può permettersi un altro governo, né le elezioni anticipate, perché siamo ancora in piena crisi economica
2. Questo governo ha il merito di restituire la parola alla politica; al di là della discussione piuttosto noiosa "tecnica o politica?", nei fatti questo governo ha determinato con nettezza alcuni obiettivi, ma si è posto anche in ascolto in primis dei partiti e del Parlamento; anche per quanto riguarda la riforma del lavoro, sotto alcuni aspetti è stato dato maggior peso alla richiesta di modifiche provenienti dalla forze politiche, piuttosto che al colloquio con le forze sociali, comunque ascoltate nelle settimane precedenti. Questo passaggio in particolare non poteva che creare forti tensioni: di fatto si è messa in discussione la costituzione materiale di questo paese che prevedeva una centralità sindacale nei passaggi legislativi di riforma del lavoro. Una "ferita" - perché comunque una ferita è stata - che va ripresa in futuro, rielaborata, e superata, perché forse superato è quel modello di concertazione. Forse non del tutto, ma certo in parte sì. I dubbi che in molti hanno espresso sulla posizione della Camusso contro l'intervento di Fornero in Alenia sono un segno che dovrebbe far capire ai sindacati confederali - che dal punto di vista della dinamica "classica" delle trattative potevano avere qualche ragione a lamentarsi dell'azione del Ministro che andava al di là dei luoghi deputati della concertazione - che quella concezione non sta più in piedi, che i rapporti classici di mediazione sociale sono saltati: non lo diciamo con piacere, perché la grande confusione sotto il cielo della politica e della società aumenta il disagio dei cittadini, e la sofferenza di lavoratori e imprese; abbattere vecchi riti politici è forse giusto (anche se a volte viene fatto con troppa facilità e con troppa disinvoltura, va detto), ma certo lascia scoperte molte domande di rappresentanza. Epperò è un dato di fatto che quelle forme non riescono più a rappresentare tutti. Anche per questo l'azione di Monti ridà parola alla politica: perché la pone di fronte all'ineluttabilità di nuove scelte.
3. Sull'IMU si potrebbero dire molte cose; e sicuramente vi sono storture pesanti che vanno corrette, assurdità che il Parlamento dovrà adoperarsi  a correggere. Diciamo però tutta la verità: l'Imu è nata anche come "patrimoniale non detta, non esplicita", di fronte a necessità di cassa urgenti, e contrarietà a una vera e propria patrimoniale che forse sarebbe stata - da un certo punto di vista - più "equa".
4. Prendere sul serio i cittadini. La piccola ma significativa rivoluzione è stata introdotta un po' in silenzio, ma rispetto alla retorica che spesso accompagna i "referendum-mai-messi-in-pratica" potrebbe essere una svolta significativa: l'idea di consultare i cittadini prima di affrontare un provvedimento può essere un approccio realmente riformatore, un ascolto sincero. Ovviamente dipende anche dall'uso che verrà fatto di questo strumento in futuro. Ma certo, in un paese in cui si fanno referendum per pura politica, sapendo magari che non verranno applicati (vd. finanziamento pubblico dei partiti e quelli recenti sull'acqua, o la raccolta di firme sull'abolizione della legge elettorale), mostrare un volto più serio può essere importante. Un governo non rinuncia alla propria potestà, ma ascolta. Se all'ascolto seguiranno fatti concreti, questa sarà una risposta importante, e in netto contrasto con il populismo paternalista ("ti faccio votare sì, perché ti faccio sentire più importante, tanto poi non cambia nulla") di molti referendari.
5. Credibilità. Questo il punto principale; con il governo Monti l'Italia riacquista credibilità e capacità di azione nei confronti degli altri paesi, in particolare nell'azione in Europa. In un momento di gravissima crisi economica generale, essenziale è che chi dice Crescita non sia attaccabile sul piano della serietà e dell'attenzione ai conti pubblici. E' vero, di fronte alle cifre della disoccupazione è facile riprendere soluzioni (presunte) keynesiane, ma tali ricette non sono affatto così semplici e risolutive come può sembrare, non solo per i vincoli economici che ci siamo dati (che vanno eventualmente corretti, ma non annullati), ma anche perché non funzionano esattamente come un tempo (si pensi al fattore "grandi opere" di cui a volte non si stima come sia molto relativa - visto il peso della specializzazione necessaria - la ricaduta in termini di occupazione). Naturalmente vanno pensate a livello europeo manovre nuove; ma non possiamo illuderci con "speranze facili"; dobbiamo sapere che la ripartenza dell'economia non sarà né semplice, né veloce.

Quindi dobbiamo ancora avere pazienza; è una situazione durissima, ed è bene che le forze politiche mettano in atto tutte le possibilità di mediazione di cui sono ancora capaci per aiutare da una parte questo governo a scegliere soluzioni eque per i drammatici problemi che ci troviamo ad affrontare, dall'altra i cittadini a capire e comprendere come in questo momento sia necessaria una "speranza difficile", che resista alle tentazioni di grandi mosse risolutive, ma che crei le condizioni per riformare a fondo il nostro sistema.

Va quindi rinnovata la fiducia a un Governo che  - pur con molti difetti e anche gravi errori (come ad esempio nella vicenda dei cosiddetti "esodati") - è stato capace di fare molto, e che può segnare una strada per il futuro dell'Italia. Purché su questa strada ci si incammini con decisione, tutti assieme.

Francesco Maria Mariotti

giovedì 29 marzo 2012

La Saputa Ingenuità di Monti


La "saputa ingenuità" di Monti nel mettere in tensione l'"arco costituzionale" che lo appoggia non deve preoccupare. E' scritto nel codice genetico di questo governo la tensione con il mondo politico che lo sostiene; e Monti è pienamente consapevole del fatto che ha bisogno dei partiti per poter compiere il lavoro che è stato chiamato a definire. Al tempo stesso le forze politiche di destra e di sinistra dovrebbero accettare pienamente la sfida che egli e il suo governo pongono. 
Da questo punto di vista non ha molto senso, a mio avviso, parlare di obiettivi o addirittura rivalità personali che serpeggerebbero nell'esecutivo. Se Monti avesse intenzione di candidarsi con un suo partito, significherebbe rinunciare al ruolo storico  che gli è spettato, ruolo pari a quello che ha avuto Carlo Azeglio Ciampi, così simile e al tempo stesso così lontano da lui. Lasciando stare i dietrologismi da giornale, guardiamo alle cose stesse: l'emergenza non è finita, e la fisiologica tentazione della politica di riprendere il gioco, deve essere contrastata, per il momento. Non solo dall'esterno dei partiti, non solo dal punto di vista "impolitico-tecnico", se vogliamo dire così, ma anche - e soprattutto - dall'interno del mondo stesso della politica e da parte della forze sociali deve venire la consapevolezza che stiamo attraversando un cambiamento strutturale, una rivoluzione paradigmatica dei linguaggi e delle pratiche che hanno costituito il patto della prima Repubblica, di cui la (presunta) "seconda" era solo una propaggine.

Ora, con la crisi sistemica europea, forse veramente si può cambiare, forzati dall'esterno.
Accettino tutti la sfida che non è di Monti, ma di un terremoto che ci sta colpendo
Ma pensiamo già alla città che costruiremo dopo, insieme.

Francesco Maria Mariotti


Sulla carta, dunque, per la seconda economia manifatturiera d'Europa c'è ampio spazio per risalire la china. Meglio però usare il condizionale. Non solo perché finora il sistema-Paese non ha saputo sfruttare a fondo opportunità e promesse della globalizzazione. Ma anche e soprattutto perché troppo spesso il sistema-Paese è assente all'estero. E quando mostra il suo biglietto da visita agli investitori stranieri, invece di attirarli, tende a scoraggiarli quando non a respingerli. Il caso di British Gas e della sciagurata storia del rigassificatore di Brindisi è cronaca recentissima. Ma si potrebbe ricordare quella di At&t che nel 2007 voleva comprare Telecom Italia ma fu bocciata dal Governo: da allora pare preferisca fare affari in Spagna, dove sarebbe presenza gradita. di Adriana Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su Italia e Asia, la via da seguire

Detto questo, l'uscita del premier si presta a una serie di critiche. In primo luogo, certi concetti non possono essere reiterati ogni giorno. Monti lo aveva appena detto («io non tiro a campare»): perché ripetersi, visto che non sono emerse particolari novità nelle ultime 48 ore? Tutta questa insistenza nel sottolineare i limiti dei politici tradisce una certa insofferenza che in apparenza è impolitica. E tra l'altro contraddice l'attitudine felpata e molto astuta del primo Monti, quello che tra novembre e gennaio ha messo in riga i partiti coprendoli di elogi o almeno di riferimenti rispettosi. In secondo luogo il premier tende a mescolare piani diversi. di Stefano Folli - Il Sole 24 Ore - leggi su Confessioni di un impolitico?

"A Monti chiederei di ridurre il costo della forza lavoro", dice Donata Novellone. Amisco stima che cumulativamente versa il 50% dei propri profitti al governo, al netto del lavoro e altri costi. Ma "più di tutto", sottolinea il Wsj, gli imprenditori vogliono quello che ogni politico italiano ha promesso: "Semplicità e prevedibilità". Donata Novellone lamenta che ogni due mesi ci sono leggi nuove, ogni tanto cambiano, talvolta sono retroattive. "La burocrazia ci sta uccidendo". Il carico delle scartoffie è tale che "Ci vogliono consulenti per ogni cosa". di Elysa Fazzino - Il Sole 24 Ore - leggi su "Non possiamo continuare così"


La politica non sta riguadagnando terreno. Questo Monti lo sa. E quando gira per il mondo, ieri l’Europa oggi l’Asia, chiede fondamentalmente una prova di fiducia verso il nostro paese incardinata sulla propria figura. Raccontare ai giapponesi che i partiti non hanno consenso e prospettare il loro ritorno al potere è un controsenso a meno che non si abbia in animo di continuare a svolgere questo ruolo di garanzia sopra il sistema politico. Se fossi un investitore estero e decidessi di scommettere sull’Italia perché mi ha convinto il suo massimo rappresentante politico difficilmente potrei accettare che di qui a qualche mese il mio garante sparisca dalla scena. Questo Monti lo sa, lo sanno le imprese che guardano all’estero, lo sa l’opinione pubblica, con buona pace dei neo-radical. Così a poco a poco Monti si sta costruendo quel piedistallo fondato sulla propria indispensabilità che sarà il vero motore dei prossimi mesi della politica italiana. Leggi il resto: La Terza Repubblica ha già il suo leader

mercoledì 21 dicembre 2011

Per Crescere Non Bisogna Arroccarsi (da LaStampa)


L'editoriale di Stefano Lepri apparso oggi mi pare svolga considerazioni ampiamente condivisibili: il grassetto (mio) sottolinea alcuni punti che dovremmo tenere in conto nella discussione - partita malissimo - su riforma del lavoro e articolo 18. Aggiungo altri due link: le riflessioni di Cesare Damiano sul modello danese, e una video-intervista a Pietro Ichino.

Francesco Maria 

(...) Occorrono cambiamenti profondi. Gli imprenditori dovrebbero riconoscere che una buona parte del ristagno di produttività, dopo anni di moderazione salariale, dipende da loro; oltretutto i licenziamenti, secondo l’indice Epl dell’Ocse, non sono da noi più difficili che in Germania o in Francia. I sindacati dovrebbero ammettere di non saper proporre nulla di valido per i giovani. Davvero, nella Cisl come nella Cgil, si pensa che i precari possano essere sedotti dallo slogan «un’ora di lavoro a termine pagata quanto un’ora di lavoro fisso»?


Da una parte occorre affrontare il problema dei giovani: e i sindacati devono spiegare per quali esatti motivi non gradiscono il contratto di lavoro unico che il governo Monti sta studiando, e che a molti giovani appare attraente. Per incentivarli alla sincerità, la questione dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori andrebbe momentaneamente separata. La tutela contro i licenziamenti nelle aziende sopra i 15 addetti non costituisce né un freno alla produttività né un freno alla crescita dimensionale delle imprese (lo provano i dati Istat, scrutinati a fondo dalla Banca d’Italia: nessun anomalo affollamento di imprese sotto quella soglia).


Se la materia licenziamenti va rivista, è casomai per un altro motivo. L’economia italiana deve affrontare una massiccia ristrutturazione dei processi produttivi. Sarà purtroppo necessario ridurre l’occupazione in molte aziende; un gran numero di persone dovrà spostarsi da un lavoro a un altro. Innanzitutto servirà una indennità di disoccupazione robusta ed estesa a tutti, ed è da qui che la discussione deve cominciare. Inoltre occorre dare credibili speranze che l’economia si rimetta in moto, generando posti di lavoro altrove per sostituire quelli distrutti: un pacchetto massiccio di liberalizzazioni in ogni settore darebbe il contributo migliore.(...)


Vedi anche: 


domenica 18 dicembre 2011

Riforma del lavoro? Sì, ma l'Europa deve Crescere


A proposito dell'intervista di oggi a Elsa Fornero: ho dei dubbi sulla necessità di toccare l'art.18 (si può costruire un nuovo modello di contratto senza toccarlo, a mio avviso), ma è comunque molto interessante e completa. In ogni caso rimane il fatto che senza crescita a livello continentale possiamo fare le migliori riforme del lavoro, ma avremo sempre troppa disoccupazione. L'outplacement di cui si parla in varie proposte funziona se ci sono aziende nelle quali i licenziati possono essere ricollocati. Ma se non c'è crescita, non ci saranno aziende in grado di riassorbire il personale licenziato (Si leggano in questo senso le riflessioni di Dario Di Vico sul caso Electrolux). Per questo c'è il rischio che una ottima soluzione teorica si trasformi in una situazione squilibrata, qui e ora
In questo senso c'è necessità di soluzioni a livello sistemico che il governo Monti non può fare da solo: tutta l'Europa deve muoversi.
FMM

(...) Come se ne esce? 

«Penso che un ciclo di vita che funzioni è quello che permetta ai giovani di entrare nel mercato del lavoro con un contratto vero, non precario. Ma un contratto che riconosca che sei all'inizio della vita lavorativa e quindi hai bisogno di formazione, e dove parti con una retribuzione bassa che poi salirà in relazione alla produttività. Insomma, io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto».

I sindacati non ci stanno a toccare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. 

«Sono abbastanza anziana per ricordare quello che disse una volta il leader della Cgil, Luciano Lama: "Non voglio vincere contro mia figlia". Noi, purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli. Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte». 

Monti ha detto che le nuove regole si applicheranno solo ai futuri assunti. 

«Certamente penso ci voglia maggiore gradualità nell'introduzione delle nuove regole rispetto a quanto abbiamo fatto sulle pensioni». (...)