giovedì 7 luglio 2011

La Guerra Rimossa

Poche righe per presentare Marta Dassù (laStampa del 5 luglio) e un articolo de Linkiesta per riflettere sulla sempre più assurda - e sempre più rimossa - guerra in Libia. Guerra per che cosa? Per quale scopo? Fin dall'inizio della sciagurata missione questa domanda è rimasta inevasa.

Si è già scritto fin dalle prime ore dell'intervento: dire che si combatteva "per i civili" era (ed è) pura retorica, in mancanza di in una strategia, di un orizzonte politico più ampio, e se non si accettava l'ipotesi - mai presa in considerazione, in realtà - di fare una guerra sul terreno.

La Dassù scrive:"(...) I Paesi che hanno deciso di intervenire, giusto o sbagliato che fosse, hanno ormai tutto l’interesse a non dare l’impressione di cedere (...)". Può darsi che in questo senso abbia ragione Rasmussen, che dice essere vicino il "game over" definitivo, ma in realtà, a mio modestissimo avviso, ormai è evidente a tutti (anche a Gheddafi, ovviamente) che i paesi occidentali vogliono chiudere la partita al più presto (anche per motivi economici, come si è già detto da queste parti, e come dimostra la riunione odierna del nostro Consiglio supremo di difesa, al di là delle dichiarazioni ufficiali), ed è inutile fare i gendarmi invincibili quando è praticamente impossibile chiudere la partita a proprio favore. 

Inutile fingere, dunque: se possiamo fare qualcosa, lo dobbiamo fare subito; e l'Italia in testa - con la collaborazione del Vaticano, magari - può. E dunque deve.

Francesco Maria Mariotti


Sono passati più di 100 giorni dall’inizio della strana guerra di Libia: che ci stiamo dimenticando o vogliamo rimuovere. Intanto, il colonnello Gheddafi minaccia ancora da Tripoli di colpire l’Europa «le vostre case, i vostri uffici e le vostre famiglie» se i raid della Nato non cesseranno. Dichiarazioni del genere aiutano se non altro a chiarire il contesto: il Rais, colpito da un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale, abbandonato da parte dei suoi e indebolito dalle sanzioni economiche, è alla ricerca di una soluzione politica. Minaccia perché è debole non perché sia forte. Minaccia per trattare.

Da parte loro, i Paesi della Nato che partecipano alla strana guerra di Libia combattono soprattutto contro se stessi. (...) Il Colonnello sa che gli occidentali potranno essere sconfitti solo da loro stessi. Proprio per questo, è importante non dimenticare la guerra nel cortile di casa. E avere chiaro che il suo esito condizionerà la nostra sicurezza più di quanto non siamo pronti ad ammettere. Nell’immediato, una vera e propria implosione del potere di Gheddafi assomiglia a un miracolo o a una illusione. Ma se il terzo attore, il Consiglio transitorio di Bengasi, proporrà alla parte di Tripoli una condivisione credibile del potere per il «senza Gheddafi» - credibile anche perché garantita dalla coalizione internazionale - gli incentivi politici e non solo militari a liquidare il Rais aumenteranno. Se il Colonnello si persuadesse di questo, del fatto che il tempo non gioca in realtà a suo vantaggio, potrebbe anche cercare una via di uscita oggi per non perdere tutto, vita inclusa, domani.
 
Questo ragionamento sui rapporti di forza (o sulle debolezze rispettive, sarebbe forse meglio dire) porta a una conclusione rilevante, anche per la politica italiana sulla Libia. I Paesi che hanno deciso di intervenire, giusto o sbagliato che fosse, hanno ormai tutto l’interesse a non dare l’impressione di cedere, se vogliono aumentare le possibilità di una trattativa politica che ponga fine alla guerra. Dopo di che, lo indicano i piani in discussione alle Nazioni Unite, i compiti di peacekeeping passeranno a contingenti turchi, giordani, o africani.
 
Una pace comunque imperfetta non potrà includere in nessun caso la permanenza di Gheddafi al potere. Dovrà offrire un futuro alla gente della Cirenaica; ma anche rassicurare, sul proprio destino, i cittadini della Tripolitania. In assenza di queste condizioni, la spartizione violenta della Libia, con tutti i suoi rischi, diventerà inevitabile.



(...) Per abbattere Saddam ci sono voluti, dopo i bombardieri, i fanti e i carri armati, e così avrebbe dovuto essere in Libia, visto che i ribelli non possono in alcun modo essere equiparati ad un vero esercito dotato di efficace artiglieria semovente. Poiché lo sbarco di soldati occidentali in quel paese non è stato nemmeno ipotizzabile, eccoci impantanati tra le sabbia libiche senza vera speranza di sbaragliare l’esercito regolare, di stanare Gheddafi e magari di consegnarlo al Tribunale Internazionale. Per fortuna i libici si muovono da soli (evidentemente persa la speranza di ottenere un aiuto risolutivo dagli Occidentali) e stanno freneticamente trattando con il Colonnello e la sua corte al fine chiudere una volta per tutte quella che resta una vicenda interna ad una nazione sovrana.

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