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lunedì 6 aprile 2015

Un Ricordo di Giovanni Berlinguer (G.Cuperlo)

Sono stato al Campidoglio dove hanno allestito la camera ardente per Giovanni Berlinguer. Sarà aperta anche domani e i funerali si terranno mercoledì mattina all'università di Roma. Ho diversi ricordi, sparsi nel tempo, di Giovanni e della sua umanità. Se posso condividerne uno con voi è questo. Nell'autunno dell’89 andammo assieme a Praga nei giorni del rientro in città di Alexander Dubcek. Partimmo da Roma e dopo uno scalo a Vienna ci ritrovammo a manifestare assieme a centinaia di migliaia di persone mentre dal palco Dubcek riprendeva la parola davanti al suo popolo molti anni dopo la "Primavera". La sera fummo accompagnati in una modesta casa popolare della periferia dove incontrammo Dubcek e alcuni dei suoi storici collaboratori. Fu una serata intensa, carica di ricordi, emozioni, e dove si scaricò tutta la tensione di un giorno atteso da almeno due decenni. Davanti al nostro albergo c'era un chiosco che vendeva panini con salsiccia. C'era una lunga fila di praghesi in attesa e Giovanni propose di unirci a loro. Anzi, decise che ci si doveva mettere in coda. Faceva molto freddo ma quella fila e quel panino – credetemi – valevano quanto un pranzo di gala.

(dalla pagina Facebook di Gianni Cuperlo)

lunedì 19 dicembre 2011

La Morte di Vaclav Havel - I Ricordi di Magris e Bettiza

(...)Non è un caso che la Praga magica e bislacca abbia portato al potere non un intellettuale infarcito di ideologia, bensì un poeta nato piuttosto per la stravaganza delle compagnie scioperate. Ma un poeta libero da ogni culto narcisista della letteratura, un uomo che è stato capace di sacrificare la libertà personale ed anche il lavoro letterario a valori umani più alti e al bene del proprio Paese. In questo senso, l'Occidente intellettuale ha molto da imparare da una Mitteleuropa umana prima che politica e culturale, di cui Havel è un figlio esemplare. Assumendo la responsabilità di rappresentare il suo Paese finalmente libero dal regime, Havel ne ha assunto, non senza fatica, tutto il peso di tante cose a lui ostiche: l'ufficialità rappresentativa, il necessario grigiore amministrativo e burocratico, tutta la prosa quotidiana così invisa a chi vorrebbe vivere in poesia. Non ha civettato con la «immaginazione al potere» cara a tanti libertari occidentali pronti a manifestare, ma senza pagare dazio. Sapeva che, in politica, l'autentica immaginazione consiste nella parziale, noiosa, creativa ricerca del bene comune e non nelle pose eclatanti.(...)


(...) Il futuro primo presidente non comunista della repubblica, all’epoca destinato alle sbarre del carcere più che ai lustri del potere, aveva fissato con maestria, nella sua pièce, il clima d’irrealtà programmata in cui boccheggiava il più civile dei Paesi centroeuropei sotto il tallone veterostalinista di Antonin Novotny. Si usava dire a quei tempi che la «democrazia popolare» di marca sovietica stava al socialismo come il bordello all’amore: i giornali di regime decantavano la felicità del vivere con la stessa enfasi sovreccitata con cui le prostitute fingono il piacere e l’orgasmo. Proprio quel linguaggio falsificato, quell’arnese di truffa ideologica, quella specie di mercimonio paradisiaco sublimato dalla semantica ufficiale doveva diventare l’oggetto centrale della satira haveliana. È importante sottolineare oggi questo dato di dissidenza, insieme etica e linguistica, perché lì era la matrice originaria dell’avversione di Havel alla grande menzogna, avversione che darà al suo anticomunismo un tratto speciale, colto, ironico, libertario e dissacrante. (...)