mercoledì 1 giugno 2011

"Quando cambia il governo" - Padoa-Schioppa (2001)

Il testo che vi presento è un articolo di Tommaso Padoa Schioppa del 2001: parla del cambio di governo a livello nazionale e statuale, ed è stato scritto in una fase completamente diversa della storia del nostro paese; ma alcune indicazioni sono utilissime anche oggi, con tutte le dovute cautele del caso.
Sottolineo la parte in cui si parla del ruolo della società civile, che deve essere "spettatore impegnato", rimanendo però distinta dal potere, "non ansiosa di ingraziarsi un nuovo padrone". 
In una comunità locale le cose sono inevitabilmente più complesse; nel voto stesso di questi giorni c'è la richiesta di maggiore prossimità e coinvolgimento dei cittadini, al di là delle appartenenze politiche. Ma l'attenzione ai distinti ambiti, la capacità di rimanere occhio critico è essenziale, in un difficile equilibrio fra partecipazione, impegno, e autonomia.
Bene festeggiare il cambiamento politico, quindi, ma poi occorrono quella pazienza e quella vigilanza di cui parla l'articolo: verso i nuovi amministratori perché abbiano il tempo di porre in essere i cambiamenti richiesti, ma non deflettano dal loro compito; e più in generale anche per evitare quei contraccolpi che oggi sembrano portare alla tentazione – soprattutto da parte del governo nazionale, speriamo non condivisa da altri -di riprendere a spendere i soldi pubblici per consolidare o recuperare consenso, con il rischio di mettere in crisi i nostri conti pubblici
E dunque, visto che abito a Milano, auguri di buon lavoro a Giuliano Pisapia; sono sicuro che potrà fare molto bene; per questo avrà bisogno della vicinanza di cittadini consapevoli e severi, vigili ma pazienti.
Auguri per la Festa della Repubblica.


Francesco Maria 

ps: Di seguito, propongo anche alcuni cenni di riflessione di Romano Prodi, che coglie bene l'ambiguità e la complessità del voto amministrativo, e un estratto delle Considerazioni Finali del Governatore Draghi.
***
(...) Soprattutto, il cambio di governo è difficile. Richiede al nuovo governo tenacia per attuare il programma; ma anche umiltà per correggere sbagli e illusioni iniziali; e consapevolezza che una repubblica è tale perché pubblica è la cosa governata.Richiede alla nuova opposizione di capire la propria sconfitta, meditare sugli errori, essere unita quanto lo sarebbe se avesse vinto; di resistere alla tentazione di bloccare il vincitore prima che governi davvero. Richiede all’ Amministrazione dello Stato (quadri ministeriali, altri corpi dello Stato, istituzioni pubbliche, autorità indipendenti e via dicendo) di distinguere e rispettare primato della politica, imperio della legge, propria sfera di autonomia. Una distinzione e un rispetto che sono stati erosi, nel tempo, dall’ infausto combinarsi della lunga permanenza al potere delle stesse forze politiche con l’ instabilità dei governi.
Quale il compito della società civile e di quella sua parte, la più influente e responsabile, che va sotto il nome di classe dirigente? Il compito di «spettatore impegnato», secondo Aron; detto altrimenti, pazienza e vigilanza in dosi forti. Pazienza, perché un avvicendamento non avviene in poche settimane, comporta errori, ricerca faticosa del percorso, maturazione lenta degli effetti. Uno o due anni ci vollero per Margaret Thatcher e per Mitterrand; ma qualche settimana dopo l’ insediamento del governo Prodi, già veniva l’ invito non a correggere la rotta ma ad avvicendare il timoniere. Vigilanzaperché il passaggio riuscirà solo se il governo sarà sollecitato a trovare la sua strada migliore da una società civile attenta, indipendente, coraggiosa, consapevole del proprio ruolo, non ansiosa di ingraziarsi un nuovo padrone.
Sia il mercato sia la democrazia sono, nei rispettivi campi, sistemi in evoluzione. Trenta, cinquanta, settant’ anni fa l’ uno e l’ altra funzionavano molto diversamente da oggi perché – meccanismi di correzione degli errori – essi stessi si perfezionano con l’ esperienza.Non ritenersi mai perfetti, essere sempre perfettibili: queste le forze con cui hanno sconfitto l’ illusione comunista. Il voto decide il cambio di governo, ma non lo compie. E’ un passo fondamentale verso la maturità di un sistema politico democratico; ma non è l’ ultimo.
(...) Ma nel giorno della sconfitta berlusconiana, Prodi riserva un’altra sorpresa. Appena si mette a ragionare sul da farsi, il Professore è tutt’altro che trionfalistico: «Ragazzi attenti: senza un’idea del Paese, la prossima volta rivincono loro!». Proprio così: nel giorno della sconfitta che potrebbe essere definitiva del suo nemico storico, il Professore non rinuncia a sottolineare che al Pd manca ancora una lettura complessiva del Paese: «Quando sopraggiungono cambiamenti così significativi, come quello delle elezioni amministrative, aumentano anche le responsabilità e dunque, si sta una mezz’ora a gioire per il successo, la gioia va bene ma poi passa e perciò si deve ricominciare subito col lavoro di organizzazione, di compattamento e con la preparazione di un programma capace di cambiare in profondità il Paese, con una operazione di grande respiro, che non può essere improvvisata». E la conclusione del ragionamento è cruda: «Attenzione perché se non si fa così, ora il vento è favorevole, ma questo stesso vento può diventare tempesta».(...)
(...) Oggi siamo per molti aspetti in una condizione migliore. Antiche contrapposizioni sono in gran parte venute meno. In Europa, i progressi verso forme sempre più avanzate di integrazione e, in Italia, una inedita condivisione della diagnosi dei problemi che affliggono l’economia rappresentano favorevoli punti di partenza. Va raggiunta una unità di intenti sulle linee di fondo delle
azioni da intraprendere. Ciò che può unire è più forte di ciò che divide.Oggi bisogna in primo luogo ricondurre il bilancio pubblico a elemento di stabilità e di propulsione della crescita economica, portandolo senza indugi al pareggio, procedendo a una ricomposizione della spesa a vantaggio della crescita, riducendo l’onere fiscale che grava sui tanti lavoratori e imprenditori onesti.

La crescita di un’economia non scaturisce solo da fattori economici. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di speranze. Gli stessi fattori determinano il progresso di un paese. Scriveva ancora Cavour: “Il risorgimento politico di una nazione non va mai disgiunto dal suo risorgimento economico… Le virtù cittadine, le provvide leggi che tutelano del pari ogni diritto, i buoni ordinamenti politici, indispensabili al miglioramento delle condizioni morali di una nazione, sono pure le cause precipue dei suoi progressi economici”. Occorre sconfiggere gli intrecci di interessi corporativi che in più modi opprimono il Paese; è questa una condizione essenziale per unire solidarietà e merito, equità e concorrenza, per assicurare una prospettiva di crescita al Paese. Già nel mio primo intervento pubblico da Governatore della Banca d’Italia, nel marzo del 2006, notavo come l’economia italiana apparisse insabbiata, ma che i suoi ritardi strutturali non andavano intesi quali segni di un declino ineluttabile: potevano essere affrontati, dandone conto con chiarezza alla collettività, anche quando le soluzioni fossero avverse agli interessi immediati di segmenti della società. Poche settimane dopo, mi rivolsi a voi in questa sede con le parole di apertura “Tornare alla crescita”. Con le stesse parole vorrei chiudere queste considerazioni finali.

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