LA CINA dovrebbe cancellare entro l’anno in corso i campi di rieducazione attraverso il lavoro, i laojiao, l’annuncio lo avrebbe dato Meng Jiangzu, fino al mese scorso ministro della Pubblica sicurezza. La notizia è dirompente, se è vera, se non vi saranno smentite, se l’agenzia ufficiale Nuova Cina la confermerà nell’immediato, perché ieri si è limitata a comunicare che il governo cinese andrà avanti nella riforma del sistema penale senza citare l’abolizione del sistema dei campi di lavoro, in vigore da 56 anni. Un sistema che ha impresso una macchia ignominiosa su un regime che è sorto senza preoccuparsi troppo della certezza del diritto, dove la giustizia si fregiava dell’unica certezza di essere "proletaria" e gli abusi sono stati infiniti, purtroppo immaginabili. Per essere condannati al laojiao, non c’era - e non c’è ancora-bisogno di nessun processo, basta che la polizia lo voglia e lo sanzioni conunapratica amministrativa di reclusione fino a un massimo di tre anni, a discrezione aumentabili fino a otto. E poi? Negli ultimi tempi la stampa, anche quellapiùvicina al p otere, ha svolto inchieste per denunciare labarbarie di un metodo che forse andava bene negli anni caotici della Cina rivoluzionaria ma che non è ammissibile in un Paese che aspira alla leadership mondiale. E da più parti è stato ribadito che questa pratica è in contraddizione con la Costituzione del 1983, ancora una volta al centro della richiesta di vere riforme. (...)
"Una simile pace dovrebbe permettere a tutti gli uomini di navigare senza impedimenti oceani e mari." (Carta Atlantica, 14 agosto 1941)
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