venerdì 14 settembre 2012

Armi, soldi dal Golfo e «consulenti» dall'estero: i camaleonti della Jihad (Guido Olimpio, sul Corriere della Sera)


Si camuffano. Solo pochi ostentano l'appartenenza a correnti salafite. Non dichiarano di essere jihadisti, preferiscono invece il più generico «rivoluzionari». Formazioni come Ansar Al Sharia fanno da ombrello a nuclei più sfuggenti (le Brigate Abdul Rahman) con intrecci che possono portare lontano o vicino. Ci sono quelli che hanno contatti con la rete qaedista internazionale ed altri - come è avvenuto in Iraq dopo la sconfitta di Saddam - che sono dei lealisti pentiti. Tra questi ex membri dei Comitati rivoluzionari. È su questa nebulosa che si concentra l'attenzione delle forze di sicurezza come degli 007. Infatti, ieri notte a Bengasi, sono scoppiati scontri tra la Brigata Folgore (governativa) e i militanti di Ansar dopo che quest'ultimi si sono rifiutati di consegnare il loro arsenale, un'importante risorsa per fare cassa.
Gli estremisti possono contare su diverse fonti di finanziamento. La prima è il traffico di armi. Il capoluogo della Cirenaica ha un mercato (nero) fiorente di fucili, granate, lanciarazzi rubati negli arsenali di Gheddafi. La polizia non è mai riuscita a stroncarlo. Anzi c'è chi dice che il governo abbia lasciato fare nella speranza di esaurire le scorte. Resta il fatto che le armi libiche sono state trovate - solo per citare alcuni Paesi - in Nigeria, Siria, Tunisia, Mali e Sinai. Quelli che hanno attaccato il consolato Usa non hanno usato le doppiette bensì camioncini con mitragliere antiaeree. E ne hanno a volontà, da vendere a chi ha il contante pronto. Disponibilità che si porta dietro un'altra conseguenza: i baratti di materiale bellico facilitano la collaborazione tra estremisti che agiscono sull'intero quadrante regionale.(...)

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