domenica 15 gennaio 2012

Ludwig Erhard e l'Economia Sociale di Mercato

Nell'intervista dei giorni scorsi a Die Welt, già qui citata, Mario Monti fa un'affermazione importante: "(...) Deve sapere che io ho sempre lavorato per un’Italia che somigliasse il più possibile alla Germania. Ho sempre voluto un’Europa della concorrenza, che si impegnasse il più possibile per l’idea di un’economia di mercato sociale, che proviene da Ludwig Erhard. Come vede, sento molto il tedesco. Premesso ciò, dico: l'Italia può svolgere e svolgerà un ruolo maggiore in Europa».(...)". Chi è Ludwig Erhard? E cosa si intende per "economia sociale di mercato", formula che qui è stata spesso richiamata e che sembra paradossale, a prima vista (e infatti tendenzialmente non amata dai liberisti "duri e puri")? Di seguito alcuni materiali su cui approfondire queste idee, che possono aiutarci a definire anche per il futuro il campo di azione della nostra politica europea. 

Francesco Maria Mariotti

Ludwig Erhard (1897-1977)

Importante uomo politico della CDU, economista e deciso fautore dell'integrazione della Germania all'interno dell'Occidente liberaldemocratico, Ludwig Erhard è stato uno degli uomini che più hanno contribuito alla rinascita di questo paese. Ministro degli affari economici dal 1949, egli è assurto anche al rango di cancelliere nel periodo 1963-66, riuscendo a tradurre in scelte concrete quel progetto di una "economia sociale di mercato" che - pur garantendo un'ampia protezione alle categorie più deboli - si propose di assicurare lo sviluppo capitalistico della Germania e la crescita del suo sistema produttivo.(Biografia tratta dal sito di Società Libera)



(...) Ad ogni modo, il fallimento editoriale di Mises, la crisi della repubblica di Weimar e l'ascesa del nazionalsocialismo non impedirono la ricerca di una via tedesca al liberalismo da parte di un gruppo di studiosi, i quali, già durante gli anni del regime nazista, si raccolsero intorno alla guida del professor Walter Eucken. Detto gruppo assunse il nome di Scuola di Friburgo e la filosofia che la ispirava venne chiamata "ordoliberalismo", dal titolo della rivista "Ordo", fondata da Eucken nel 1940. Decisamente più critici di Adam Smith rispetto alla fede in una spontanea armonia che sarebbe dovuta scaturire dall'opera della "mano invisibile", gli ordoliberali, anche noti come i fautori della economia sociale di mercato (Soziale Marktwirtschaft), hanno contribuito in modo sostanziale all'evoluzione della teoria economica, ed in particolar modo a quella branca dell'economia che incontra il diritto, e del diritto che incontra l'analisi economica, avendo sostenuto l'idea che il sistema economico per esprimere al meglio le proprie funzioni produttive-allocative dovrebbe operare in conformità con una "costituzione economica" che lo Stato stesso pone in essere. Si tratta di una visione politico-economica che non ha nulla a che vedere con la pianificazione economica centralizzata o con una politica statale interventista. Per il semplice motivo che il ruolo dello Stato nell'economa sociale di mercato non è semplicemente quello di "guardiano notturno", tipico del liberalismo del laisser-faire, bensì è quello di uno "Stato forte" che si preoccupa di contrastare l'assalto contro il funzionamento del mercato da parte dei monopoli e dei cacciatori di rendite.
Tra gli studiosi che contribuirono all'elaborazione e alla diffusione dell'ordoliberalismo possiamo annoverare economisti come Alexander Rüstov e Wilhelm Röpke e giuristi come Hans Grossman-Dörth e Franz Böhm; questi ultimi condirettori insieme ad Eucken della rivista "Ordo".
Potremmo sintetizzare il contenuto della teoria politico-economica ordoliberale nell'affermazione che gli autori della Scuola di Friburgo riconoscevano il ruolo e la funzione dello stato e nel contempo erano strenui avversari di ogni forma di dirigismo. Intendiamo dire che per la teoria ordoliberale il mercato è un sistema di relazioni che necessita di essere organizzato giuridicamente dallo stato e che lo stato non dovrebbe in alcun modo modificare i risultati che provengono dai processi di mercato. In questa prospettiva, gli ordoliberali, nell'ambito delle politiche economiche internazionali, si espressero a favore delle liberalizzazioni degli scambi e, di conseguenza, avversarono tutte quelle politiche creditizie e fiscali che a loro avviso avrebbero potuto incentivare le concentrazioni di capitale. Riguardo alla politica economica interna, si mostrarono estremamente scettici nei confronti dell'interventismo di stato nel campo sociale ed evidenziarono gli effetti deresponsabilizzanti sulla condotta individuale di un atteggiamento paternalistico da parte dello stato.(...)
Il contributo più originale dell'"ordoliberalismo" è stato di aver aggredito le problematiche del mercato concorrenziale a partire da un approccio istituzionale. Gli "ordoliberali" hanno colto l'idea che l'ordine concorrenziale è di per sé un "bene pubblico" e in quanto tale andrebbe tutelato. La scuola di Friburgo ci aiuta a comprendere che esiste una dimensione istituzionale nel paradigma liberale, dimensione negata o, quanto meno, assente in gran parte della letteratura liberale di matrice libertaria, accecata dall'idea che possa esistere un "mercato non intralciato". Il programma di ricerca degli "ordoliberali" ha incentrato l'attenzione sul fatto che l'idea liberale di una società libera è un'idea costituzionale, che necessita di una formalizzazione costituzionale. (...) è opinione diffusa presso gli storici che alla base del cosiddetto "miracolo economico" tedesco ci sia la scelta di Erhard di promuovere, contro il volere delle truppe di occupazione angloamericane, la liberalizzazione dei prezzi. Tra gli autori che hanno maggiormente contribuito all'elaborazione teorica dell'economia sociale di mercato, troviamo indubbiamente Wilhelm Röpke. Con Röpke, secondo la terminologia che fu di Oppenheimer ed in parte di Erhard, la dottrina economico-sociale della Scuola di Friburgo assunse la collocazione di "terza via", tra un liberalismo nella versione del laissez faire e il collettivismo socialista. La "terza via" di Röpke condurrebbe ad un'economia imprenditoriale basata sul "libero mercato" e non sul "mero capitalismo", che, per il nostro autore, si distingue dal libero mercato per la sua tendenza – no necessità – a risolversi in meccanismi anticoncorrenziali, favorendo la nascita di monopoli, di cartelli e l'abuso di posizione dominante. Per questa ragione, il liberalismo di Röpke ammette l'intervento pubblico, a condizione che sia "conforme" alle leggi di mercato, non sopprimendone l'autonomia. Prevede, altresì, una "politica strutturale", in grado di assicurare la conformità del sistema economico con i fini dell'organizzazione sociale e politica.(...)



Economia sociale di mercato: un dibattito acceso (Flavio Felice, benecomune.net, 22/09/2008)
: (...) A tale dibattito si è inserito con una intervista altamente significativa anche il presidente della Bocconi Mario Monti. L’ex Commissario europeo propone l’economia sociale di mercato come una via alla stabilità e al rigore ed esprime il suo rammarico per il fatto che Luigi Einaudi non sia riuscito in Italia lì dove in Germania era riuscito Ludwig Erhard. Afferma Monti: “Oggi, il richiamo all'economia sociale di mercato, in particolare in Italia, dà a volte l'impressione di essere pronunciato con un'ispirazione opposta. Si è un po' insofferenti verso la disciplina imposta dalle regole del bilancio pubblico o da quelle del mercato, e allora si ‘rivendica’, in contrapposizione alla prova non buona data di recente dal modello americano”. A Monti replica Michele Salvati, che, pur perpetuando la tesi in merito alla distinzione teorica tra il modello capitalistico europeo e quello americano, concorda con Monti che “‘Socialità’ alla Ludwig Ehrard vuol dire che, nel pieno rispetto del mercato e della concorrenza, e con politiche fiscali universalistiche, i ceti più deboli devono essere protetti dalle peggiori avversità del ciclo economico”. Concludiamo questa rapida rassegna sull’economia sociale di mercato, riportando la lucida osservazione di Francesco Forte, il quale ci mette in guardia da possibili “pasticci” e propone un’interpretazione einaudiana della suddetta teoria. Forte intende sottolineare che “Molti di coloro che si pronunciano a favore dell’economia sociale di mercato non usano questo termine nel senso di Röpke o Einaudi, ma si riferiscono a una socialità che corregge il sistema di concorrenza”. Secondo la più autentica tradizione dell’economia sociale di mercato, il principio di concorrenza è assunto come principio ermeneutico, lo strumento mediante il quale raggiungere obiettivi di socialità. Non si tratta di temperare la concorrenza, di mitigarla con interventi perentori che orientino l’economia nazionale ed internazionale nella direzione voluta dal “grande timoniere”. Al contrario, uno “stato forte” è quello che vigila affinché nessuno possa violare le regole della concorrenza e che interviene momentaneamente e in via sussidiaria con “interventi conformi al mercato”, tentando di “l’adeguamento” alle nuove circostanze, per tentare di “assestare” le istituzioni vittime di crisi congiunturali, senza pretendere di “conservare” aziende orami incapaci di vivere autonomamente sul mercato.(...)


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