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venerdì 8 novembre 2013

Una politica monetaria comune, ma effetti asimmetrici (da laVoce.info)

(...) Prima dell’introduzione dell’euro, ogni banca centrale nazionale aveva differenti approcci verso la stabilità dei prezzi e verso la crescita economica. Dal 1999, la Bce ha sostituito le banche nazionali e ha “imposto” una politica monetaria comune a un insieme di paesi membri ancora caratterizzati da persistenti divari strutturali, ad esempio in termini di rigidità sul mercato del lavoro, competitività e livelli del debito pubblico. Un ambiente così diversificato rende il processo di decisione della Bce particolarmente difficile, dal momento che le reazioni alle sue decisioni potrebbero essere diverse tra i paesi europei. (...)

La politica monetaria unica non può agire sull’esistenza di queste asimmetrie, che presentano natura idiosincratica. In altre parole, le differenti reazioni alla manovra di politica monetaria sono prevalentemente attribuibili alle caratteristiche strutturali e socio-economiche dei singoli paesi: su di esse i Governi nazionali potrebbero incidere con appropriate politiche di riforma e di regolamentazione dei mercati. Non sorprendentemente, infatti, le restanti asimmetrie a livello di prezzi si osservano nei paesi del Mediterraneo che, storicamente, sono caratterizzate da prezzi meno flessibili e minore concorrenzialità interna.
In conclusione, i paesi dell’area euro reagiscono in maniera asimmetrica alle decisioni di politica monetaria in merito ai prezzi e alla disoccupazione, mentre non si notano differenze rilevanti in termini di Pil. Sebbene la riduzione delle asimmetrie rilevata dopo il 1999 sia coerente con gli obiettivi della Bce, le restanti divergenze esulano dagli obiettivi di politica monetaria, e quindi devono essere oggetto di adeguate politiche strutturali da parte dei governi nazionali.
Al di là dell’interesse intrinseco dei risultati del nostro studio, il primo a documentare empiricamente l’esistenza di asimmetrie nell’area euro, essi dovrebbero rappresentare un campanello di allarme per l’area euro, indirizzando i paesi verso una maggiore armonizzazione nella regolamentazione. Solo in questo caso, infatti, gli effetti della politica monetaria della Bce potranno essere maggiormente uniformi.(...)


giovedì 29 dicembre 2011

Quando cambiano gli equilibri del mondo

Come ha ben visto il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, la recente decisione di Cina e Giappone di rinunciare al dollaro per le transazioni fra i due paesi è una specie di allarme che non rigurda solo gli Stati Uniti. L'Europa è chiamata a fare la sua parte in un mondo che si sta riorganizzando, ci piaccia o no. 
E' quanto mai necessario - anche per mettere a punto una reale e duratura "soluzione" (se è possibile parlare di una soluzione, forse dovremmo dire un "tentativo di governo"...) della crisi economico-finanziaria - prendere atto del potere della Cina e "costringerla" a definire insieme a Europa e Stati Uniti una agenda complessiva che riguardi tutti i temi globali (non solo economici) oggi in campo: a partire dalla fluttuazione delle monete (da controllare in una sorta di "Serpente monetario globale"), per arrivare a temi come la concorrenza (dove è sempre più probabile il ritorno di un clima protezionistico, che almeno sul breve periodo potrebbe temperare le economie e permettere il riavvio di una domanda interna ai vari continenti), e definendo anche standard comuni per ambiente e lavoro. 
Un tavolo comune - che avrà anche inevitabili risvolti più direttamente politici, come si è già detto in passato - da "convocare" al più presto.

Francesco Maria Mariotti

(...) non c' è dubbio che l' intesa è piena di simbolismi destinati a rafforzare l' immagine di un' Asia sempre più autonoma e con una forte capacità d' attrazione. Accordi che, al di là delle ragioni tecnico-economiche che li hanno ispirati - ragioni che hanno un loro fondamento oggettivo - entro pochi anni potrebbero anche innescare nuovi processi di tipo politico. In sé la scelta di utilizzare di più yen e yuan nelle transazioni tra i due Paesi risponde all' esigenza di contenere i rischi sui cambi, ridimensionando il ruolo della valuta - il dollaro - che negli ultimi anni si è dimostrata più debole e instabile e archiviando la possibilità di ricorrere maggiormente a un euro che negli ultimi mesi ha perso credibilità e valore. Anche l' intenzione di Tokio di investire di più in titoli cinesi risponde a una ragionevole strategia di diversificazione del rischio: il Giappone, secondo solo alla Cina per l' imponenza delle sue riserve valutarie (1.300 miliardi di dollari, mentre Pechino ne ha per ben 3.200 miliardi), sta, infatti, registrando grosse perdite sui suoi massicci investimenti denominati nella valuta Usa. In questo Cina e Giappone, storiche nemiche sul campo, registrano una crescente convergenza d' interessi in campo commerciale e finanziario. Una convergenza che ha reso possibile un' intesa tra due Paesi comunque divisi da dispute territoriali (isole contese del Pacifico), che faticano a tenere a bada opinioni pubbliche attratte più dal falò dei contrapposti nazionalismi che dalle ragioni del dialogo. Proprio per questo l' accordo ha preso di sorpresa molti osservatori. E ora, davanti a una Cina che ha messo a segno un altro colpo sulla strada del riconoscimento del ruolo internazionale dello yuan, ci si chiede quanto peserà, nel lungo periodo, questo processo. (...)


(...) L'11 dicembre 2011 la Cina ha celebrato il primo decennale di adesione alla World Trade Organization; pochi giorni prima, al G20 di Cannes, il premier cinese aveva annunciato una politica di free market per l'export proveniente dai paesi più poveri del mondo. Si tratta di eventi e determinazioni che, insieme con le recenti misure neoprotezioniste verso gli Usa, mostrano che la Cina, attraverso diverse strategie, intende assumere un ruolo preminente di leadership sulla scena mondiale.