Visualizzazione post con etichetta estrema destra. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta estrema destra. Mostra tutti i post

mercoledì 12 dicembre 2012

Gli anni ’70, quel buco nero della storia che si mangia il futuro (David Bidussa)


La domanda non è solo: perché è così difficile affrontare la storia degli anni del terrorismo, bensì che cosa implica proporsi di scriverla.
Preliminarmente occorre liberarsi dal fascino del ricorso agli arcana imperii, un richiamo che non è solo sullo specifico tema, ma che domanda allo storico o all’analista del passato di svolgere una funzione didattica, pedagogica anche per il dopo. Ovvero di lavorare per rimuovere le cause che periodicamente fanno tornare in auge la dimensione complottista della spiegazione storica, un dato in cui ancora oggi noi siamo profondamente immersi e che è anche l’effetto non solo della profondità dei luoghi comuni, ma anche del modo in cui si è discusso di storia, anche a sinistra, negli ultimi trenta anni, spesso affrontando la spiegazione della storia come narrazione “controstorica”, “indiziaria”, “ipotetica”.
Una procedura che spesso ha prodotto o confermato un canone complottista della spiegazione storica. All’origine di quella difficoltà stanno questioni di carattere generale. Ne elenco alcune.

domenica 15 aprile 2012

Strage di Brescia, ora il governo cancelli l'ultima ferita (Mario Calabresi su laStampa)

(...) Ora la verità storica dovrà colmare le lacune della giustizia mancata. Molta strada è stata fatta, tanto che sono chiare responsabilità e complicità, ma molto resta da fare, perché dagli archivi dello Stato possono ancora uscire carte importanti per dare un quadro definitivo della stagione delle stragi.

Ma prima di ogni altra cosa il governo Monti deve cancellare un insulto: deve farsi carico delle spese processuali, al cui risarcimento sono stati condannati i familiari delle vittime. E’ una cosa intollerabile, che richiede un gesto forte e chiaro.

Non è la prima volta che accade: già nel 2005, al termine dell’iter giudiziario per la strage di Piazza Fontana, alle parti civili - anche allora rimaste senza giustizia - la Cassazione chiese di pagare i costi del processo. La sentenza fece scalpore, tanto che il governo Berlusconi decise di farsi carico di tutte le spese processuali, sottolineando di «considerare tale impegno come un atto di doveroso rispetto e di solidarietà per i familiari delle vittime». Anche oggi non resta che correre ai ripari per evitare una doppia ferita a chi ieri sera è tornato a casa svuotato e pieno di amarezza dopo decenni di battaglie dentro e fuori dai tribunali.
Certo questa beffa si sarebbe potuta evitare modificando la legge in modo da non ripetere scandali come questo.

La sentenza di assoluzione però non era inattesa, come racconta - intervistato da Michele Brambilla - il fondatore della Casa della Memoria di Brescia, Manlio Milani: «Sulle responsabilità personali le prove non erano sicure e capisco che i giudici vogliano certezze». Ma restare senza giustizia è doloroso e umiliante.

Questo processo però non è stato inutile, le oltre millecinquecento testimonianze raccolte negli anni e le centinaia di migliaia di pagine di documenti ci offrono un quadro di verità che va divulgato e consolidato: la strage di Piazza della Loggia fu pianificata e realizzata da estremisti di destra che godettero prima e dopo il massacro di complicità e coperture da parte di uomini dei nostri servizi segreti. (...)

Il testo integrale sul sito web de laStampa

mercoledì 4 gennaio 2012

L'Europa Cambi, O Sarà Orbán il Nostro Futuro

Il problema di Orbán non è risolvibile solo con eventuali sanzioni, o dure trattative economiche che facciano recedere questa sorta di "piccolo dittatore democratico" che regna su Budapest. 

La sfida che dobbiamo raccogliere non è solo reagire, ma costruire una comunità politica che sia realmente capace di  vincere le tentazioni di chiusura e neo-nazionalismo, che sono forti in frangenti storici come quello che stiamo vivendo.

Per questo non può bastare l'Europa del rigore, pur necessaria; valga per la nostra Unione quel che si diceva per  l'Italia: se i cittadini percepiscono i sacrifici come "imposti" dall'esterno, e per di più un esterno "irriconoscibile" e "indiscutibile", la coesione sociale sarà messa in crisi. Allora Orbán non sarà più un'eccezione, nel panorama del continente.

L'Europa deve cambiare passo, se vuole essere percepita non solo come "esaminatrice di conti", ma come effettiva garanzia di libertà, pace, prosperità. Non possiamo avere paura dei debiti sovrani e sottovalutare la paura della povertà, che è la vera protagonista della politica oggi: sacrifici devono trovare riscontro in un nuovo orizzonte di sviluppo e di crescita. 

E' ora di realizzare compiutamente la promessa europea: allora sì, sarà sconfitto Orbán.

Francesco Maria Mariotti



(...) La borghesia era stato il motore dell’Europa moderna, ovunque. Anche in Ungheria. Ma con un problema. Lungo il Danubio, la borghesia, dopo secoli di guerre e dominazioni straniere, era nata in ritardo. E nonostante gli splendori della Belle Époque, era fragilissima.
(...) L’economia di mercato introdotta da un giorno all’altro nell’89 ha ridato ossigeno alla classe media. Ma non è bastato. Il fiorino cagionevole ha presto spento i sogni di benessere, di rinascita, di prosperità a livelli occidentali, liberando il campo alle paure e agli orgogli nei quali l’Ungheria è vissuta per secoli, incuneata tra Occidente e Oriente. I valori della democrazia, del pluralismo, del dialogo, della diversità, sembrano superflui e accantonabili nella vita quotidiana dove è faticoso fare la spesa e pagare le bollette. Torna la tentazione del ripiegarsi su se stessi, appigliandosi all’idea di una Grande Ungheria, magari con un pizzico di ottuso vittimismo, per ciò che è successo nel corso della Storia, dalle guerre col turco, all’invasione sovietica, al trattato di pace di Trianon voluto dalla Francia che tolse alla fine della Grande Guerra due terzi del Paese.
Nei momenti di difficoltà, per antico morbo, l’Ungheria più che sentirsi parte del continente rimarca la sua fiera alterità suicida, corroborata da quella lingua dolce e altaica che nessuno in Europa capisce. Quando Orbán ha sfidato la comunità internazionale con la nuova costituzione, «Nessuno può sindacare su quel che facciamo», parlava anche in questo spirito. Le riforme, la modernità, il mercato, possono attendere. Meglio affidarsi a miti imprecisi di purezza, di sacralità della terra (che può essere comprata con quattro fiorini dagli stranieri della globalizzazione), di uomini forti al comando. Ancora una volta la classe media è stata stritolata, dalla farragine dello Stato e dall’inflazione. Ancora una volta torna la tentazione non di sconfiggere gli avversari politici, ma di cancellarli, processarli, zittirli. Ma per non perdere di nuovo i cugini ungheresi dalla famiglia europea, bisogna capire perché si sono ammalati.
(...) Il problema è sapere qual’è la posizione delle forze di opposizione di sinistra e/o liberali nei confronti delle pressioni provenienti dall'estero (occidente e grandi potenze). La risposta non è facile. Da un certo punto di vista la distruzione delle istituzioni democratiche potrebbe giustificare, visto il potere schiacciante della destra antidemocratica, l'intervento occidentale in favore della democrazia. 
Tuttavia le potenze occidentali e in particolare modo la Commissione europea, oltre a voler conservare un regime di tipo rappresentativo e costituzionale e la separazione dei poteri, vogliono che l'Ungheria adotti una politica economica che non faccia necessariamente (per utilizzare un eufemismo) gli interessi del popolo magiaro. 
Gli ungheresi sono deluso e potrebbero vedere nella "causa democratica" solo una giustificazione delle misure di rigore sempre più dure provenienti dalle potenze occidentali, preoccupate della stabilità finanziaria del paese. Se la difesa delle istituzioni democratiche continuerà a essere accompagnata dall’impoverimento del popolo ungherese, non ci si deve stupire che questo non sia entusiasta dell’equazione democrazia liberale-miseria. 
La maggior parte delle critiche occidentali nei confronti del governo sono giuste, ma non sono espresse dal corpo elettorale ungherese. I cittadini ungheresi non possono delegare alle potenze occidentali la politica del loro paese. Vincolare la democrazia a mezzi antidemocratici esterni è ingiustificabile, e l'esperienza mostra che queste soluzioni non sono efficaci. (...)

(...)L’Unione europea si trova in una situazione delicata nei confronti di questo piccolo paese diventato membro dell’Ue da sette anni: non può restare indifferente ai metodi di governo di Orbán, agli attacchi al pluralismo dei media e alle minacce all’indipendenza dell’apparato giudiziario, e nel 2010 aveva già protestato in modo energico. Alla fine di dicembre il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso ha inviato a Orbán una lettera – la seconda in due settimane – per metterlo in guardia dai rischi della sua politica. Tale avvertimento non pare però aver sortito l’effetto sperato, non più dell’analoga lettera spedita da Hillary Clinton. All’Ue resta ancora la possibilità di ricorrere all’articolo 7 del trattato di Lisbona, che prevede di togliere il diritto di voto agli stati membri che violano le regole democratiche.
Non è facile, in ogni caso, punire un governo democraticamente eletto, e il precedente dell’Austria ha lasciato un amaro ricordo a Bruxelles: nel 2000 l’Unione aveva reagito duramente all’ingresso nel governo di un partito di estrema destra, ma aveva rinunciato a intervenire una volta preso atto dell’inefficacia delle sue proteste. La mobilitazione dell’opposizione ungherese, della società civile e degli intellettuali è un segnale importante che legittima le pressioni esercitate dall’Ue, che ambisce a essere una comunità dai valori democratici condivisi.(...)