giovedì 10 novembre 2011

Salvare l'Italia, Rifondare l'Europa

Dobbiamo mantenere calma e lucidità anche se in questo momento è difficile.
Questo paese può risalire la china e risollevarsi, ma non deve perdere tempo.

Si era già scritto della necessità di un governo Monti e oggi ancora più forte lo voglio dire, anche per sostenere idealmente con la mia debolissima voce di cittadino il Presidente Napolitano.

Le misure urgenti che verranno messe in atto - patrimoniale (o prestito forzoso), vendita di beni pubblici, innalzamento dell'età pensionabile, o simili - potranno costare molto, e sarà giusto discutere di tutto (in tempi molto rapidi, rapidissimi), ma sarà un costo infinitamente minore di quello che potrebbe essere il disastro di un default.

Ed è soprattutto necessario saper raccontare di nuovo e coinvolgere ancora il paese in una prospettiva, classica ma sempre giovine, che è stato l'orizzonte principale per l'Italia dal dopoguerra ad oggi: l'Europa, nostra nuova Patria e - come ha detto Barroso - possibile nuova potenza emergente, se ci sarà la volontà politica.

L'Europa può essere salvata dall'Italia, se l'Italia si salva da sola, dicendo a tutto il mondo che questo paese ha la dignità per decidere in autonomia il proprio futuro e questo continente può rifondarsi, più unito e più forte, offrendo ancora al mondo il meglio di quel compromesso sociale che ha reso in anni passati l'Europa un vero faro di libertà, benessere, eguaglianza, solidarietà, giustizia

Mario Monti - di cui di seguito vi presento una scelta di articoli apparsi in questi anni sul Corriere della Sera - è l'uomo giusto per cominciare a raccontare una nuova Italia al mondo, una nuova Italia che risorge, unita alle altre nazioni europee.

Francesco Maria Mariotti


(...) Ma, nella ricerca di nuove configurazioni nell'economia sociale di mercato, sarebbe pericoloso lasciarsi guidare semplicemente dall'insofferenza verso la disciplina imposta dalle regole del bilancio pubblico o da quelle del mercato. Soprattutto, converrà tenere ben presenti tre considerazioni. In Italia, anche per il ritardato avvicinamento alla cultura del mercato, vi sono ambiti in cui il quantum di «mercato» è ancora insufficiente: o perché non è ancora stato introdotto mentre sarebbe opportuno farlo, oppure perché mercato vi è, ma insufficientemente concorrenziale o non adeguatamente vigilato. Nei confronti internazionali l'Italia è di solito tra i Paesi i cui mercati — per modalità di regolamentazione, funzionalità ed efficienza -—sono considerati ampiamente perfettibili. Nel valutare l'opportunità di un ruolo maggiore per il «pubblico», sarà necessario sostenere gli sforzi, che sono in corso, per accrescere l'impegno e l'efficienza nelle pubbliche amministrazioni ma senza dimenticare che, tuttora, la funzionalità che le caratterizza non brilla, nei confronti internazionali, per capacità di contribuire alla crescita e alla competitività del paese.

E andrà tenuto presente che «pubblico» non deve significare discrezionale e arbitrario. Sarebbe questo il modo migliore per far cadere ulteriormente l'attrattività dell'Italia come luogo di investimento da parte delle imprese internazionali. Soprattutto, è essenziale evitare che un maggiore «volontarismo» dei pubblici poteri, in sé lodevole, si traduca in interventi tali da creare una confusione dei ruoli tra Stato e mercato, tra politica e imprese. Fu proprio tale confusione di ruoli, soprattutto negli anni ’70 e ’80, a ledere il potenziale di crescita dell'economia italiana, a sprofondarla negli squilibri finanziari, a mettere in dubbio la sua capacità di far parte pienamente dell'Europa.


(...) «Possiamo limitare le conseguenze economiche e sociali della crisi mondiale per l'Italia, e creare anzi le premesse di un migliore futuro, se facciamo leva sui punti di forza e sulle più vive energie di cui disponiamo ». L'auspicio del Presidente Giorgio Napolitano trova fondamento nelle prove che l'Italia ha saputo dare in passato di fronte a gravi crisi: la terribile eredità della seconda guerra mondiale e in seguito il terrorismo, come ricorda Napolitano, ma anche, negli anni Novanta, le crisi della lira prima dell'approdo nell'euro.

Si è spesso notato che il nostro Paese riesce a dare il meglio solo in condizioni di emergenza, quando non è più possibile rinviare decisioni impopolari. Nei casi citati, si trattava però di emergenze specificamente italiane. Sapremo dare prova della stessa capacità di reazione ora che l'Italia è afflitta da una crisi grave, ma non specificamente italiana?(...)
«Dobbiamo considerare la crisi come grande prova e occasione per aprire al Paese nuove prospettive di sviluppo», ha indicato il Presidente Napolitano. Alla stessa ora, il Presidente Nicolas Sarkozy rivolgeva ai francesi parole molto simili: «Dalla crisi nascerà un mondo nuovo, al quale dobbiamo prepararci lavorando di più, investendo di più. Non aspettatevi che io fermi le riforme strutturali intraprese all'interno della Francia, esse sono vitali per il nostro avvenire, per diventare più competitivi ».

L'Italia affronta la crisi con una duplice pesante eredità, di cui il governo è ben consapevole: l'alto debito pubblico e riforme strutturali non ancora sufficienti. Il debito pubblico consiglia prudenza, ma oggi sarebbe imprudente non prendere misure espansive, reversibili nel tempo, adeguate alla gravità della crisi. Una simultanea accelerazione delle riforme strutturali, meglio se sostenuta da un impegno bipartisan e dall'adesione delle forze sociali, sarebbe ben colta dai mercati ed eviterebbe che il temporaneo maggiore disavanzo renda più gravoso il rifinanziamento del debito.

In questo modo, la durata e la profondità della crisi sarebbero minori. E l'economia italiana ne uscirebbe più moderna, meglio attrezzata per le sfide della competitività mondiale.


(...)Non si può avere un’unione monetaria senza una robusta unione economica.

L'euro non può prosperare se è «sospeso» su un'economia nella quale l'integrazione è incompleta e anzi rischia la disintegrazione, sotto la spinta dei nazionalismi economici e dell'affermarsi, in molti Paesi, di partiti ostili all’integrazione. Per assorbire gli shock che colpiscono i singoli Paesi, l'Eurozona deve avere un vero mercato unico, con alta mobilità delle risorse. Per l'Ue nel suo insieme, tale obiettivo è altrettanto importante. Oggi la crescita non può essere spinta né dai bilanci pubblici (che hanno urgenza di risanamento), né dalla politica monetaria (confidiamo anzi che la Bce riesca a evitare che gli acquisti di titoli di Stato, ora contemplati data l'emergenza ma contrari ai principi dell'unione monetaria, portino all'inflazione).(...)


Ciò che il Trattato inve­ce chiarisce bene, è che il presidente «assicura la pre­parazione e la continuità dei lavori del Consiglio eu­ropeo, in cooperazione con il presidente della Commissione» e «si ado­pera per facilitare la coesio­ne e il consenso in seno al Consiglio europeo». E' au­spicabile che il presidente sia una figura riconoscibi­le e carismatica, ma ciò che determinerà il suo con­tributo al successo dell'Eu­ropa sarà soprattutto la sua capacità di guidare un lavoro di squadra e di dare nuovo impulso, in piena cooperazione con il presi­dente della Commissione, al metodo comunitario.


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