Il viceministro dell’Industria libico Hassan Al-Droui è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco a Sirte, 500 km a est di Tripoli. Lo rendono noto fonti ospedaliere e di sicurezza. «Hassan Al-Droui, viceministro dell’Industria, è stato ucciso da sconosciuti nella notte tra sabato e domenica nel corso di una visita alla sua città natale Sirte», comunicano. Droui era uno storico membro del Consiglio nazionale di transizione prima di essere confermato dall’attuale primo ministro, Ali Zedain. (...)
"Una simile pace dovrebbe permettere a tutti gli uomini di navigare senza impedimenti oceani e mari." (Carta Atlantica, 14 agosto 1941)
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domenica 12 gennaio 2014
giovedì 21 novembre 2013
Libia: Secessione Petrolifera? (da Linkiesta)
L’instabilità libica sta avendo forti ripercussioni non solamente sul piano politico e della sicurezza ma anche sul fondamentale settore produttivo del paese, quello dell’energia. Dall’inizio di giugno 2013, l’estrazione di idrocarburi ha cominciato a subire gravi interruzioni. Il controllo delle infrastrutture e dei giacimenti di gas e petrolio è stato coinvolto nella battaglia per il predominio del paese. Si è arrivati a un estremo impensabile: alcune milizie della Cirenaica costituitesi sotto la sigla di “Bureau Politico della Cirenaica” (Pbc) e sotto la leadership dall’ex responsabile delle guardie petrolifere della regione, il comandante Ibrahim Jathran, avendo il controllo di alcuni tra i più importanti terminal come quelli di Marsa el-Brega e Zuetina, hanno decretato la nascita della “Libyan Oil and Gas Corporation”. Si tratta di un’organizzazione preposta a vendere il petrolio e il gas della Cirenaica, con sede a Tobruk e con a capo Abd Rabbo al Barassi.
Del resto, in tutta la Libia il panorama petrolifero è deficitario, tanto che “mettersi in proprio” non sembrerebbe il peggiore dei mali. Secondo le statistiche del Middle East Economic Survey, nel solo mese di agosto – mese nel quale il crollo della produzione ha registrato livelli molto preoccupanti – sette impianti di estrazione su diciassette hanno fermato la produzione, mentre altri hanno avuto una forte riduzione perché oggetto di scioperi selvaggi da parte dei lavoratori del settore, delle guardie preposte al controllo delle infrastrutture o colpiti dai sabotaggi delle milizie armate. Complessivamente, nel mese di agosto si sono prodotti 980 mila barili al giorno in meno rispetto al volume previsto, mentre a settembre la produzione è crollata a circa 500 mila b/d – circa un terzo del livello di inizio anno, registrando il picco massimo di interruzioni non pianificate dal marzo 2011, quando i pozzi erano fermi a causa della guerra civile.(...)
martedì 19 novembre 2013
Libia: rilasciato numero 2 intelligence (ANSA)
(ANSA) - TRIPOLI, 18 NOV - Il numero due dell'intelligence libica, Mustafa Nuh, e' stato rilasciato. Lo riferiscono fonti della sicurezza. Nuh era stato sequestrato ieri subito dopo essere arrivato all'aeroporto di Tripoli con un volo proveniente dalla Turchia. (...)
lunedì 18 novembre 2013
Libia: rapito numero due intelligence (ANSA)
(ANSA) - TRIPOLI, 17 NOV - Il vice capo dell'intelligence libica, Mustafa Noah, è stato rapito all'aeroporto di Tripoli dopo essere atterrato con un volo proveniente dalla Turchia. Lo riferiscono due fonti dei servizi.
Noah è il capo dell'unità di spionaggio. Mentre lasciava l'aeroporto, senza guardie del corpo, è stato trascinato dentro una macchina e portato via.(....)
giovedì 31 ottobre 2013
Milizie all’assalto del petrolio L’Italia teme la “fine” della Libia (da laStampa.it)
(...) Il governo italiano segue la situazione, e proprio la Libia è stata uno dei principali argomenti di cui hanno parlato Enrico Letta e Barack Obama nel chiuso dell’ultimo, recente incontro alla Casa Bianca: hanno concordato, data la delicatezza della situazione, di non dare «pubblicità» all’argomento, ma qualcosa è filtrato. L’Italia, per gli Stati Uniti, per la comunità internazionale, e per il retaggio di una storica influenza oltre che per la presenza di forti interessi nazionali, è in prima linea nella stabilizzazione della Libia.
Operazione complessa e che passerà, si è deciso in quell’incontro nella Sala Ovale, per una Conferenza di pacificazione che si terrà a Roma nei primi mesi del 2014 (anche se non è chiaro se prima o dopo le elezioni per l’Assemblea in Libia). Ma Enrico Letta ha chiesto a Obama che l’Italia non sia lasciata sola nel difficile compito: quella Conferenza dovrebbe tenersi sotto l’egida della comunità internazionale, attraverso l’Onu.
È l’unica via possibile, tentando di portare a uno stesso tavolo, in territorio amico, tutti i rappresentanti delle varie fazioni: tuareg, berberi, islamisti, divisi (e moltiplicati) per tribù e per le tre principali regioni, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.
Uno degli ostacoli, è proprio nell’attuale premier provvisorio Ali Zidan: un governo troppo fragile per controllare il Paese, e fragile al punto che lo stesso premier è stato oggetto di un sequestro-lampo poche settimane orsono, e indebolito anche dall’esser diviso in due fazioni: i liberal-tecnocrati (come lo stesso Zidan) e gli islamisti della locale Fratellanza musulmana. Una Conferenza, quella di Roma che dovrà rovesciare i principi di quella precedente, di Parigi, che puntò tutto su «institution building» e giustizia: non ci si era accorti, evidentemente, che prima al Paese occorre un patto sociale e politico. Che fermi, anche, la possibile tripartizione del Paese, visto che la Cirenaica mira ad un’autonomia «federalista». (...)
http://www.lastampa.it/2013/10/31/esteri/milizie-allassalto-del-petrolio-litalia-teme-la-fine-della-libia-ejS9atsi3bM8VJNDqSst9K/pagina.html
venerdì 22 giugno 2012
Libia in fiamme?
[post correlati: sono elencati in questo Tensione a Tripoli - Libia nel caos?]
Bisognerà che prima o poi si riprenda in mano il "dossier libico"; spero e credo che i nostri servizi di sicurezza, il nostro esercito, il nostro Ministero degli Esteri (e non solo loro, naturalmente, anche qui dovrebbe esistere l'Europa...) stiano seguendo con grande attenzione e preoccupazione quanto sta succedendo a Tripoli, Bengasi e dintorni.
Si è già detto da queste parti - e da molte altre più autorevoli - che la guerra in Libia rischiava di essere ancora una volta una missione incompiuta, con il rischio di aggravare la situazione del paese che si voleva liberare.
Speriamo ci sia ancora spazio di manovra perché l'incerta fase di passaggio si consolidi, ma le notizie non sono incoraggianti. Tentiamo di tenere a mente quanto sta succedendo, per il nostro futuro; perché non si progetti più senza cautele una guerra, perché la nostra politica estera non continui a muoversi senza orizzonte.
FMM
(segue citazione e link a AffarInternazionali)
lunedì 5 marzo 2012
Libia, sparizioni e città-stato (da ilFoglio.it)
(...) Il terrore di chi andava in piazza per Gheddafi, anche se non coinvolto nella repressione del regime, è sparire a un posto di blocco. Samira è un nome di fantasia, adottato per evitare rappresaglie, di una professionista libica che avevamo conosciuto ai tempi del colonnello. Un suo stretto parente era arruolato nei livelli medi della sicurezza. Non risulta che abbia compiuto atrocità e tantomeno che fosse ricercato, come ha ammesso lo stesso governo transitorio. “Il 18 febbraio era in macchina lungo la strada dell’aeroporto con al volante un amico che fa parte dei towhar (i rivoluzionari, nda)”, racconta Samira al Foglio. “L’hanno fermato al primo ponte verso Tripoli, a un posto di blocco di una banda di Zintane armata fino ai denti. Uno di loro aveva un passamontagna nero per non farsi riconoscere”, prosegue Samira. Il documento del Comitato della rivoluzione del 17 febbraio dell’amico non è servito. Prima hanno preso lui e poi l’ex gheddafiano, davanti alla moglie e ai figli piccoli. La signora si è recata all’aeroporto dal comandante della milizia, vanamente. Solo tempo dopo la famiglia ha individuato il capobanda responsabile della sparizione, che vive in una villa con i rubinetti d’oro sequestrata a una membro del regime. Il boss ha ribadito con arroganza: “Non mi interessa se era o meno sulla lista dei ricercati. Lo volevo io e basta”. Era chiaro che i “rivoluzionari” volevano un riscatto. Gli stessi towhar hanno ammesso che per alcuni pezzi grossi della sicurezza di Gheddafi catturati sono stati chiesti alle rispettive famiglie 3 milioni di dinari (oltre 1 milione e mezzo di euro). Per i “farisa”, le prede più piccole, bastava molto meno. “La moglie del mio parente era pronta a tutto – spiega Samira – Qualche giorno dopo il rapimento i sequestratori l’hanno chiamata al telefono forse dandole la speranza di liberare il marito. Lei è andata verso l’aeroporto e non l’abbiamo più rivista”.
Nessuno sa con certezza se gli arresti arbitrari a Tripoli siano decine o centinaia, ma al momento in Libia i prigionieri risultano poco meno di diecimila. Molti sono detenuti in una sessantina di carceri illegali e in alcuni casi segrete, dove non mancano vessazioni e torture. Per non parlare di Tawarga, la cittadina di quarantamila anime vicino a Misurata cancellata dalla carta geografica. Una pulizia etnica degli abitanti di pelle nera accusati degli episodi più brutali dell’assedio della terza città della Libia per conto di Gheddafi. Soprattutto con il buio, come abbiamo visto al primo posto di blocco davanti all’aeroporto, le milizie fermano chiunque vogliono con qualsiasi pretesto. Oltre all’affare dei riscatti, alcune bande di miliziani sequestrano le macchine di chi non gli va a genio, in particolare se sono nuove e di marca. “Il sistema è sempre lo stesso – ci raccontano – Ti chiedono di scendere perché la targa della tua auto è stata segnalata come sospetta. E poi si portano via l’auto per supposti controlli”. Gli stessi seguaci della rivolta schifati dai soprusi raccontano di giovani donne violentate di fronte ai genitori che hanno sostenuto Gheddafi. “Dove vai a sporgere denuncia? La polizia di fatto non esiste – spiega Samira – Le malefatte in 40 anni di Gheddafi i nuovi padroni le stanno ripetendo in pochi mesi”.(...)
I problemi sono enormi, non solo a Tripoli. Misurata è diventata una città stato, che ha già votato le municipali. Bengasi, dove è iniziata la fine di Gheddafi, si sta ribellando apertamente al governo transitorio e rispunta lo spettro della secessione della Cirenaica, dove si trova l’80 per cento delle risorse energetiche libiche. A Bani Walid sono tornate a sparare le armi della tribù Warfalla, che non sopporta di stare sotto il tallone dei nuovi padroni. All’estremo sud la situazione è più complessa. A Kufra e dintorni sono scoppiati scontri con decine di morti fra clan. Dietro la sanguinosa faida si nasconde il controllo del lucroso traffico di droga, armi e clandestini. I sopravvissuti del deposto regime difficilmente riusciranno a cavalcare l’onda, ma si teme una campagna terroristica di Abdullah al Senoussi, il cognato del colonnello, ex capo dei servizi segreti, ancora libero. Non solo: la figlia Aisha in esilio ad Algeri ha ancora in mano i conti nascosti all’estero, mentre il fratello Saadi lancia proclami bellicosi di rivincita. Nonostante le tante ombre la Libia ha voltato definitivamente pagina, ma deve ancora imboccare la strada giusta. Un recente sondaggio delle Università di Oxford e Bengasi condotto su un campione di duemila libici dimostra che oltre il 40 per cento invoca un leader con il pugno di ferro. Lo stesso comandante Abu Ajar ammette candidamente: “Per la Libia oggi ci vuole un uomo forte”.
venerdì 17 febbraio 2012
Libia, Un Anno Dopo
(...) Un vero e proprio esercito nazionale non esiste e le armi in circolazione sono ancora tantissime. Nella sola Misurata un ricercatore di Human Rights Watch ha individuato ben 250 diverse brigate. Sono loro a mantenere l’ordine nelle strade, ma sono sempre loro, paradossalmente, a costituire la minaccia maggiore per la sicurezza nazionale. La brigata di Zintan, protagonista della conquista di Tripoli e dell’arresto di Saif al Islam Gheddafi, controlla l’aeroporto della capitale e non ha intenzione di cedere la posizione. I conflitti tra milizie non sono rari. I combattenti di Misurata, ad esempio, si sono scontrati con gli uomini di Bengasi e della stessa Zintan, che proteggevano i rifugiati di Tawarga, colpevoli di non avere abbracciato la causa rivoluzionaria.
I rapporti delle organizzazioni per i diritti umani sono impietosi. Secondo Amnesty International, dodici detenuti in mano alle brigate sono morti in seguito alle torture, compreso l’ex ambasciatore a Parigi Omar Brebesh. Le carceri libiche contengono più di ottomila persone, molte di loro sono state lasciate alla mercé delle violenze indiscriminate delle milizie. Le vendette contro i gheddafiani, o i sospettati di gheddafismo, come i prigionieri dei paesi subsahariani, sono all’ordine del giorno. Saif al Islam è ancora nelle mani dei misuratini e ci sono forti dubbi sugli standard giuridici del processo che lo vedrà protagonista.
La legge della forza prevale sullo stato di diritto, le fedeltà locali su quella nazionale.
Il ruolo dei clan è motivo di dibattito. Gheddafi era stato abile ad assicurarsi l’appoggio di alcune tribù, in primo luogo i Warfalla, ma anche i Magarha, impedendo al tempo stesso che qualcuna di loro acquisisse troppo potere. Alcuni analisti ritengono che oggi la maggior parte dei clan abbia perso credito e non costituisca più una minaccia.
Durante la guerra gli stessi Warfalla si sono divisi: alcuni sono rimasti col Colonnello, altri hanno guidato la rivolta, come l’ex premier del Cnt, Mahmoud Jibril. Il mese scorso a Bani Walid, roccaforte del gheddafismo, c’è stato un duro scontro armato tra i Warfalla e gli uomini del Cnt. Ma la cacciata dei tripolini e l’instaurazione di un nuovo consiglio è sembrata più una lotta per il riconoscimento di un potere locale che il tentativo di far tornare indietro l’orologio della storia.(...)
Leggi anche:
Arturo Varvelli*
Ad un anno dal giorno della Collera, pochi in Libia vedono di buon occhio il suo leader Jalil. L’unica legittimità del Cnt appare derivare dal pronto e forte appoggio dato da occidentali e mondo arabo, Francia e Qatar su tutti. Intanto si avvicinano le elezioni di giugno. Molti le domande: si voterà regolarmente? Che fine farà il Cnt? Intanto si susseguono gli scontri con morti, soprattutto a Tripoli e in Tripolitania, e gli abusi – denunciati dalle ong – dei vincitori sui vinti.
http://www.linkiesta.it/libia-cnt-elezioni
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