venerdì 23 dicembre 2011

Un'Europa più Forte

La giusta azione di risanamento portata avanti da Mario Monti e dal suo governo ci permette - per usare le parole del Presidente del Consiglio - di stare in Europa a testa alta. 

Ora è assolutamente necessario, per evitare che l'Europa deragli in una spirale di eccessiva austerità e poca crescita, che l'Italia proponga con forza misure nuove per far ripartire tutta l'economia del continente. E' sotto attacco l'intera costruzione economica europea: continuare semplicemente a fare i contabili con i debiti pubblici dei singoli paesi, senza un salto di qualità che dia a tutti i cittadini europei la percezione di "riprendere in mano il proprio destino" sarebbe un errore grave. 

Anche perché a livello mondiale gli altri giganti (Cina e USA in primis) mettono in atto le loro strategie senza problemi, con il rischio che noi europei si rimanga i cantori isolati di un libero mercato, che è in realtà anche un'arena politico - istituzionale - monetaria, dove gli Stati giocano un ruolo non secondario

Il rischio - se non si creano i presupposti per un'Europa più forte - è che il quadro fosco che si preannuncia per il 2012 crei un rigetto nei confronti del libero mercato, e dell'integrazione europea, facendoci rivivere incubi nazionalisti. 

Possiamo scegliere nuove strade, e dobbiamo farlo. Presto.

Francesco Maria Mariotti


(...) Non è più tempo di ripensamenti, ma di decisioni e queste non possono se non essere che la Bce provveda a svolgere pienamente la funzione di lender of last resort (prestatore di ultima istanza, ndr) e l'Ue metta a punto gli eurobond per rilevare i titoli acquistati dalla Bce e negoziare con i Paesi la ristrutturazione del debito, garantendone il rimborso. L'Italia deve pretendere che il giusto momento di serietà che ci viene richiesto sia bilanciato da un altrettanto giusto momento di verità sul futuro dell'Unione. Cedere una larga dose di sovranità fiscale senza questa contropartita sarebbe un secondo grave errore politico.
Agli inizi degli anni Novanta l'Italia ha vissuto un periodo in cui i timori di insolvenza del debito pubblico erano crescenti, con i tassi dell'interesse sui Btp che superavano il doppio di quelli attuali. Il Paese mostrò di sapere fronteggiare la pericolosa situazione, ma aveva il diretto controllo del cambio e della creazione monetaria.
Il costo fu l'inflazione, che innestava però un circolo vizioso con il cambio e il costo del danaro, in atto dalla tempesta dei prezzi petroliferi. Fu questa esperienza che spinse l'Italia a ricercare il vincolo esterno dell'euro. Quello che ha operato prima dell'euro non è certamente un meccanismo socialmente accettabile, ma ha almeno il pregio che gli italiani erano direttamente responsabili delle scelte del loro governo e non, come oggi, delle esitazioni e dei rifiuti dell'Ue, mischiando colpe ad alibi.
Una caduta del reddito e dell'occupazione ottenuta aumentando la pressione fiscale – anche se fosse distribuita equamente, sulla qual cosa lo scetticismo è storicamente dovuto – non risolverebbe il problema dei danni che subirebbe il bilancio pubblico e i bilanci delle imprese e delle famiglie, dato che uno spread così elevato si va trasmettendo all'economia privata, mettendo in difficoltà il mercato del credito. Se anche mostrassimo il coraggio di imporre una deflazione senza perdere il controllo della stabilità sociale – la qualcosa appare problematica – non è pensabile che il mercato riduca questo spread a valori inferiori a quelli che si vanno delineando in Europa, per esempio in Francia. Se non si mette in sicurezza l'euro seguendo una strada simile a quella qui indicata, ogni nostro sacrificio non avrebbe successo, in quanto sotto attacco è l'intera costruzione economica europea. (...)

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