Con un voto favorevole di 15 a 14 (e due assenti) il parlamento della Groenlandia ha votato per abolire il divieto totale di estrazione dell’uranio. Si tratta del primo passo per permettere alle compagnie straniere di cominciare a estrarre il minerale dell’isola, anche se difficilmente sarà possibile cominciare prima di due anni o forse più.
L’obiettivo delle compagnie minerarie in realtà non è tanto l’uranio, quanto le cosiddette “terre rare”, che in Groenlandia si trovano spesso mischiate con il minerale radioattivo e quindi, secondo la legge, non possono essere estratte. Le terre rare sono un componente fondamentale per molti prodotti tecnologici, come ad esempio gli smartphones. Fino al 2012 la Cina estraeva da sola circa il 90 per cento di tutte le terre rare (ma la sua percentuale di mercato sta scendendo).
La Greenland Minerals, una compagnia mineraria australiana, ha già compiuto dei sopralluoghi nel sud del paese, dove si trovano le principali riserve di terre rare e ha stimato che sarebbe in grado di estrarne fino a 40 mila tonnellate l’anno. Nel 2013 si prevede che la produzione totale di terre rare arrivi a quasi 130 mila tonnellate, di cui almeno 87 mila estratte nella sola Cina.
Uno dei problemi nello sfruttamento dei giacimenti della Groenlandia è che l’isola è tuttora un territorio semi-indipendente dal regno di Danimarca, abitato da circa 57 mila persone in gran parte di etnia inuit. Il ministro del Commercio danese ha già dichiarato che lo sfruttamento delle miniere nell’isola avrà implicazioni sulla politica estera e sui problemi della sicurezza e della difesa della Groenlandia, temi sui quali il paese non ha ancora autonomia. (...)
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