(...) Sono sempre stata dell’avviso che la definizione corretta debba essere quella di lavoratori che meritano, pur con costi per la collettività, di essere salvaguardati dagli effetti del recente inasprimento dei requisiti per il pensionamento. E lo meritano in quanto, rimasti privi di lavoro, avrebbero avuto, in un arco temporale ridotto, accesso alla pensione secondo le regole previgenti. Chiunque può vedere, in questa definizione, una commistione di elementi economici, giuridici, sociali e anche etici che riduce la misurabilità oggettiva dell’aggregato. (...)
Per mitigare gli effetti della riforma ci si è proposti fin dall'inizio di salvaguardare i precedenti requisiti pensionistici nei confronti di chi avesse conseguito i requisiti del previgente ordinamento entro il 31 dicembre 2011, e di chi, prossimo al pensionamento, avesse perso o lasciato il suo lavoro proprio per accedervi in un arco temporale ragionevole. In questo secondo caso, proprio perché il diritto alla pensione non era ancora maturato, non si tratta però di garantire diritti acquisiti. Si tratta, piuttosto, di tener conto delle comprensibili aspettative dei lavoratori verso un prossimo pensionamento, operandone un contemperamento con le contrapposte esigenze di stabilizzazione finanziaria.
La finalità primaria della norma di salvaguardia è pertanto quella di evitare che lavoratori ormai privi di lavoro perché prossimi al pensionamento si trovino senza alcuna copertura reddituale (...) Come Ministro del Lavoro, e di concerto con il Ministro dell’Economia, ho
pertanto ritenuto prioritario dare risposta ai lavoratori in più immediata situazione di necessità e quindi preparare il decreto per la salvaguardia del contingente già uscito dal lavoro, secondo un naturale criterio di equità tendente a dare precedenza ai soggetti con maggiore rischio di trovarsi senza reddito e senza pensione. (...) Anzitutto, respingo, con forza, ogni insinuazione che io abbia fornito informazioni non vere relativamente al numero di lavoratori interessati (questa non è mai stata mia abitudine, e non voglio certo infrangere la regola in questa mia breve parentesi da ministro tecnico), o che io abbia inteso sottrarre dati alla pubblica conoscenza e discussione. Rivendico anzi di avere assunto, coerentemente con la oggettiva complessità e con la scansione temporale del problema, un atteggiamento di chiarezza e trasparenza, volto a risolvere subito i problemi più prossimi e a cercare soluzioni eque per quelli più lontani, nel rispetto di stringenti vincoli finanziari.
Ribadisco altresì quanto già affermato: la tabella è parziale e, ove non corredata da adeguate spiegazioni, fuorviante, così da prestarsi a facili strumentalizzazioni. Parziale perché essa non contiene tutti gli accordi di mobilità i cui effetti si perfezioneranno nei prossimi anni (e sui quali il governo sta per l'appunto facendo la ricognizione, come dirò dopo); ma anche fuorviante perché essa individua un insieme eterogeneo di soggetti costituenti la base dati entro la quale è stato individuato il contingente effettivo dei 65.000 lavoratori salvaguardati con il decreto. (...) Stabilire con precisione quanti siano i lavoratori interessati da accordi di mobilità, ma che ancora non hanno risolto il contratto di lavoro non è semplice, come - purtroppo inascoltata - ho cercato più volte di dire. Alle difficoltà della stima numerica si aggiunge necessariamente la ricerca di criteri di equità e di sostenibilità finanziaria, come la vicinanza alla pensione e l’età anagrafica/contributiva del lavoratore. (...) Con riguardo a questa platea, va da subito precisato che non è possibile, attraverso i dati a disposizione del Ministero del lavoro e dell’Inps, pervenire a una esatta quantificazione, né soprattutto alla scansione temporale delle uscite. Gli accordi, infatti, sono noti per i contingenti in aggregato, ma non indicano le anagrafiche sottostanti e non distinguono tra i soggetti che raggiungeranno i requisiti pensionistici al termine della stessa mobilità e altri. Inoltre, per molti di essi la mobilità è volontaria: pertanto, la fruizione della stessa potrebbe essere fortemente influenzata dal perimetro della nuova eventuale salvaguardia (...) Le soluzioni dovranno tenere conto delle diverse platee descritte e delle loro rispettive peculiarità, e non necessariamente consistere per tutti in una deroga alla nuova disciplina pensionistica. Occorre anzitutto essere pienamente consapevoli dell’onere che il ripristino dei vecchi requisiti per l’accesso alla pensione di questa nuova platea di lavoratori comporta e della corrispondente sottrazione di risorse rispetto ad altri possibili impieghi, magari egualmente meritevoli di attenzione sotto il profilo sociale. Oneri e coperture dovranno perciò essere attentamente vagliati. La strada che era stata indicata nel decreto Mille Proroghe di finanziare l’intervento solo ricorrendo a un aumento dell’aliquota contributiva a carico delle imprese, per esempio, determinerebbe un aumento del costo del lavoro, in Italia già strutturalmente troppo elevato e quindi si porrebbe in contrasto con l’obiettivo di aumentare l’occupazione. (...) Per quanto riguarda i lavoratori meno anziani, il mix delle soluzioni può muovere dall’estensione del trattamento di disoccupazione a formule di sostegno all’impiego di queste persone: per esempio con incentivi contributivi e fiscali nella direzione indicata dallo stesso disegno di legge di riforma del mercato del lavoro. Non vanno escluse la partecipazione, su base volontaria, a lavori di pubblica utilità, che possono essere gestiti dagli enti territoriali, utilizzando loro fondi, né previo accordo con le parti sociali, l’uso dei fondi interprofessionali. (...) Vorrei concludere con alcune considerazioni che vanno oltre la contingenza di cui ci stiamo occupando. La riforma delle pensioni prevede l’allungamento della vita lavorativa dei cittadini di questo Paese, coerentemente con la dinamica della speranza di vita e del miglioramento delle condizioni di vita.
La nuova cultura del lavoro deve liberarsi dall’idea che superati i cinquant’anni ci si avvii verso un declino progressivo delle capacità e dell’impegno lavorativo e che, pertanto, sia impossibile per un sessantenne trovare un lavoro, anche solo part-time. A tal fine, occorre far funzionare meglio il nostro mercato del lavoro, e in tal senso la riforma che è ora in discussione presso la Camera dei Deputati è un tassello fondamentale di questo disegno e della nuova cultura che lo deve accompagnare. Il problema dei lavoratori ultrasessantenni in attività può e deve essere affrontato con interventi articolati, che accompagnino questo mutamento di cultura, anche a vantaggio delle imprese e della loro competitività. (...)
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