venerdì 6 dicembre 2013

Nelson Mandela: i molti volti della storia di un uomo

E' morto Nelson Mandela. Di seguito il richiamo ad alcuni articoli commemorativi apparsi in queste ore, con alcune sottolineature (i grassetti sono miei) che credo siano importanti da fare, per rendere meglio tutta la complessità di una grande figura storica, che sarebbe errato semplificare in "eroe della non-violenza", e con uno sguardo anche sul lato personale, sempre terribilmente difficile per chi dedica la propria vita alla battaglia politica. In questo senso, segnalo in particolare l'ultimo articolo - del 2005 - in cui si ricorda il coraggio di parlare pubblicamente della morte del figlio per Aids, in un paese che aveva molte difficoltà ad affrontare la questione.

FMM

Nelson Rolihlahla Mandela nasce nella tribù Thembu il 18 luglio 1918. Studia nelle scuole riservate agli studenti neri e si laurea in giurisprudenza. Nel 1944 diventa membro dell'Anc (African National Congress) ed inizia a condurre campagne non violente contro l'odioso regime segregazionista dell'Apartheid. Con il suo amico e avvocato Oliver Tombo da vita allo studio legale che assiste gratuitamente molti neri disagiati. Nel 1960 la svolta che segna per sempre la sua vita: Il regime di Pretoria, nel massacro di Shaperville, elimina molti militanti dell'ANC. L'African National Congress è dichiarato fuorilegge e a Mandela, sfuggito alla strage, non resta che darsi alla macchia dando vita ad un'organizzazione militarista con lo scopo di mettere alle corde il regime con azioni di guerriglia e sabotaggi

di Stefano Biolchini - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/Sp4Jd

Dopo numerose manifestazioni di protesta e duri scontri in piazza, tra cui il massacro di Sharpeville in cui 69 neri vennero uccisi dalla polizia, nel 1960 il National Party mise fuori legge l’ANC: Mandela, che era vicepresidente nazionale del movimento, entrò in clandestinità e abbandonò la lotta non violenta, appoggiando una campagna di attentati e sabotaggi. Nel 1961, infatti, fu tra i fondatori del braccio armato dell’ANC, la Umkhonto we Sizwe (“lancia della nazione”, abbreviato in MK): in quegli anni i suoi modelli erano le lotte armate di Castro e di Mao. I giornali, visto il suo ruolo di spicco nell’organizzazione e la sua latitanza, lo chiamavano “la primula nera”.


La madre lo spinge a studiare. A 21 anni entra all’università per neri di Fort Hare, fondata da missionari scozzesi. Studia inglese, antropologia e legge. Adora ballare. Quando però il capo villaggio decide per lui nozze combinate, scappa con un amico a Johannesburg, procurandosi i soldi del viaggio vendendo un paio di mucche del capo. Vive nella township di Alexandra, studia a lume di candela. Nel ’43 si laurea per corrispondenza a Fort Hare, conosce Evelyn. Si sposano nel ’44. Nelson ha 26 anni. Studia da avvocato alla Wits, unico nero della classe. Abita a Soweto. Negli anni successivi il Sudafrica dei bianchi e del nuovo Partito Nazionale costruisce i muri dell’apartheid: no ai matrimoni misti, sì alla divisione razziale (Population Act) e alla segregazione dei neri in zone apposite (Group Areas Act). Mandela è eletto capo dei giovani dell’African National Congress (Anc). Con l’amico Oliver Tambo apre uno studio legale. Primo vero arresto nel 1956, in seguito alla Freedom Charter: detenuto (in attesa di processo) con altri 155 al Vecchio Forte. Esce dopo due settimane e trova la casa vuota: Evelyn, che non sopporta il suo impegno politico (e la latitanza familiare), se n’è andata con i figli (e le tende). Nella sua vita entra Winnie, che lui ha intravisto alla fermata dell’autobus.(...) 
Ritorna l’11 febbraio 1990: libero, senza condizioni, dopo più di 10 mila giorni di prigionia. Comincia la sua terza vita: Mandela il riconciliatore. «I bianchi sono nostri concittadini, chi rifiuta l’apartheid sarà accolto nella lotta comune per un Sudafrica democratico e non razziale». 

Nel ’92 Nelson si separa da Winnie, la donna più amata l’ha tradito con altri, è diventata un’estranea. (...)


«Non chiamatemi, chiamo io». Così disse ridendo Nelson Mandela l' estate scorsa a Johannesburg, il giorno in cui convocò i giornalisti per annunciare la decisione di abbandonare la vita pubblica. Era di buon umore Tata, papà, come lo chiamano i collaboratori. Ha scherzato: «Quando ho detto a un amico che volevo andare in pensione, mi ha risposto brusco: "Tata, ma tu sei già in pensione" (Mandela ha lasciato la politica attiva nel ' 99). D' accordo, vorrà dire che oggi annuncio che mi pensiono dalla pensione». Poi la preghiera: «Don' t call me, I' ll call. Nessuno mi darà dell' egoista se alla fine della mia vita vorrò passare un po' di tempo con la mia famiglia e con me stesso». Ha chiamato lui. Ieri. Ha convocato una conferenza stampa nel giardino della sua casa a Houghton, verde quartiere residenziale di Johannesburg. Accanto a lui la terza moglie, Graca Machel, la figlia Makaziwe, alcuni nipoti. «Vi ho chiamato per annunciare che mio figlio è morto di Aids». Così, con otto parole, il superpensionato Rolihlahla Nelson Mandela, premio Nobel per la pace nel ' 94, tata di tutti i sudafricani e un po' anche del tempo nostro, a 86 anni è tornato alla politica attiva. In Sudafrica, nessuna confessione privata può avere un' eco pubblica più forte: un padre, il padre della patria, tata, che dice: «Mio figlio Makgatho, 54 anni, l' unico maschio che mi era rimasto, è morto di Aids». Non è solo il dolore vuoto e pulito di un uomo che ha già sofferto la perdita di un figlio: Mandela era dietro le sbarre di Robben Island nel 1969, quando apprese che Madiba Thembekile era morto in un incidente stradale. Dopo 27 anni in galera scrisse nell' autobiografia «Un lungo cammino verso la libertà»: «Cosa si può dire di una tragedia simile? Non ho parole per esprimere il dolore, il vuoto che sentii». Questa volta il dolore privato si riempie di un messaggio politico, nel Sudafrica del 2005 dove l' Aids è ancora un tabù. «Parliamo dell' Hiv-Aids, non nascondiamolo - ha detto Tata nel giardino di casa -. Questo è l' unico modo per farla apparire una malattia normale come la tubercolosi, come il cancro. L' unico modo è uscire allo scoperto, dire che qualcuno è morto per l' Hiv-Aids: così la gente smetterà di considerarlo qualcosa di straordinario». Mandela parla di Hiv-Aids, unisce in una sola parola il virus e la malattia. Lo fa di proposito. E' quella coppia mortale che ha ucciso il figlio Makgatho, avvocato d' affari, e un anno prima di lui la moglie Zondi. Nel mondo è un dato risaputo. In Sudafrica no. Fino all' anno scorso il delfino di Mandela, l' attuale presidente Thabo Mbeki, metteva in dubbio il legame tra l' Hiv e l' Aids, mentre la sua ministra della Sanità per molto tempo ha consigliato di curare il malanno con le erbe della savana, al limite con i limoni. 



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