Trasformare
la tragedia in opportunità dovrebbe essere il senso della
politica. Quanto successo a Prato non meraviglia, ci dice di un
percorso che non può essere portato avanti solo sul fronte
della repressione, anche se non devono esserci timidezze su questo
versante.
Viene infatti da domandarsi: si conoscono i nomi di chi guida la mafia cinese in Italia? E' possibile accordarsi con la Cina per rimpatri immediati di chi si verificasse essere responsabile di queste forme di schiavitù? Stiamo facendo veramente tutto il possibile a livello di persecuzione legale dei capi perché questa mafia non si radichi irreparabilmente nella nostra società?
La
partita più importante è quella però che la
comunità cinese - le nuove generazioni soprattutto - dovrà
giocare con se stessa, sfidandosi all'integrazione nella legalità.
La democrazia italiana può crescere solo se si usano
sapientemente durezza e incentivazione politica, inclusione e
esclusione.
Perché comunque cittadinanza non è - forse non può essere - totale apertura; né ovviamente chiusura impaurita.
La posta
in palio è costruire una comunità che può
vincere la scommessa del futuro, facendo giustizia dell'orrore
esplicito di questi giorni, e dei tanti piccoli orrori silenziosi che
l'hanno preceduto e lo seguiranno.
FMM
(...) Da un lato una comunità cinese paludata con la tendenza a vivere di regole impenetrabili, dall’altro l’emorragia di un distretto ormai lontano dai fasti che ne fecero uno dei miti fondativi della Terza Italia. Ma un conto sono i cinesi di Prato, un altro i cinesi di Cina. La difficoltà del nostro tessile non è dovuta alla presenza cinese in città. Confondere i piani serve solo da alibi per coprire un sistema industriale spesso incapace di tenere il passo dell’innovazione. Dal distretto non sono mai emersi gli emuli di Benetton, Tod’s o Zegna, ossia brand capaci di imporsi sui mercati con propri prodotti. Un gran lavoro per il mondo della moda ma poco distintivo e riconosciuto. Questo è un punto importante, troppo spesso nascosto sotto l’alibi dell’invasione cinese.(...)
Claudio Bettazzi, attuale presidente della Cna di Prato, è titolare di un laboratorio per filati da guglieria e lavora gomito a gomito con Wang. Sua moglie è impiegata proprio in un’azienda cinese. Anche suo figlio ha amici cinesi così come alle feste di paese, intorno a Prato, spuntano le prime coppie miste. Certo preoccupano gli abusi e la criminalità interna alla comunità, ma c’è un pezzo di seconda generazione che si sta integrando. Nel frattempo cominciano a intuirsi i vantaggi commerciali di una presenza così radicata. A Prato arrivano parenti cinesi facoltosi che comprano agli Outlet, gustano il buon vino, alloggiano negli alberghi della zona. Nessuno fa il francescano ma solo così si sviluppano occasioni di business. La stessa veglia funebre dell’altra sera, con mille cinesi che hanno reso omaggio ai loro caduti, è un fatto nuovo e sintomatico che va consolidato. È come fossero usciti all’improvviso dall’ombra dei laboratori, si sono fatti visibili alla comunità locale, dicendo di voler rispettare le leggi italiane. Siamo solo all’inizio di un lungo percorso, ma se si riusciranno a fare passi avanti sulla trasparenza, le regole, l’integrazione e le vere ragioni di una crisi di sistema del nostro tessile, senza accampare facili scuse, forse il rogo non sarà successo invano.
Per non andare tanto distante riavvolgiamo il nastro allo scorso anno. 7 dicembre 2012, commissione parlamentare antimafia. A parlare davanti ai commissari è l’allora prefetto di Firenze Luigi Varratta: «All'interno della mafia cinese – afferma - sono state distinte tre tipologie criminali. Rilevante è quella delle triadi, che opera nel settore dello sfruttamento dei clandestini, del gioco d'azzardo, della prostituzione e dei centri di benessere. Qualche giorno fa è stata condotta a Firenze un'operazione congiunta, tra Forze dell'ordine, Inps, Inail, Asl e Direzione provinciale del lavoro, su 11 centri di benessere gestiti da cinesi. Per due centri è stata sospesa l'attività per mancanza di autorizzazione. Va detto che non è stata notata presenza di clandestini; le irregolarità più importanti rilevate riguardano l'aspetto fiscale e l'assunzione di lavoratori in nero. A parte queste attività, il settore nel quale la criminalità gialla è più permeata è quello della contraffazione, in virtù del fatto che il tessile e la pelletteria sono molto floridi in Toscana. Stesso scenario troviamo anche Prato, Pistoia e nel Valdarno fiorentino. Dagli elementi che abbiamo sulla presenza della criminalità cinese si può forse dire che questa criminalità, che tra quelle straniere è quella che rappresenta il maggior pericolo per la sicurezza e per la legalità del territorio non solo fiorentino, ma toscano in generale, potrebbe diventare la quarta o quinta mafia».
(...) La storia della Chinatown in riva al Bisenzio è rimasta per troppo tempo sotto traccia, sono stati compiuti errori macroscopici dalle amministrazioni locali e dalle autorità nazionali quando si sono chiusi tutte e due gli occhi mentre nasceva un distretto parallelo del tessile-abbigliamento, un agglomerato industriale che ha via via fatto dell’illegalità il modello di business vincente.
Sia chiaro, il declino di Prato e della sua straordinaria storia di imprenditoria dei tessuti non è avvenuto per esclusiva colpa dei cinesi (i nuovi arrivati si sono posizionati con il loro “pronto moda” a valle delle manifatture locali) ma è nato comunque qualcosa di storto. Abbiamo permesso che nel cuore della civilissima Toscana in centinaia di laboratori clandestiniimprenditori cinesi senza scrupolo obbligassero i loro connazionali più deboli e ricattabili a lavorare come schiavi.
A dormire accanto alle macchine da cucire, ad allattare i bambini rubando il tempo alla produzione. Grazie a questo tipo di sfruttamento il distretto cinese di Prato si è rivelato negli anni una straordinaria macchina da soldiche ha venduto sui mercati di mezza Europa quantità incredibili di un made in Italy griffato di lavoro illegale, intimidazione ed evasione fiscale.
Se è questa la storia che c’è dietro il rogo di Prato è necessario chiedersi cosa fare, come conciliare la convivenza con le comunità cinesi con il pieno rispetto della nostra civiltà e dei diritti elementari del lavoro. Non possiamo tollerare zone franche ma in parallelo dobbiamo essere capaci di costruire un dialogo che veda protagoniste le autorità dei due Paesi e passi, però, anche dentro la società civile.(...)
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